_p.fl. BIANCO lXltROSSO 1i11111A ii 11 cali, ma questo potrebbe apparire irriguardoso per la volontà degli elettori. I partiti politici nazionali non esistono più, e questo lo avevamo già capito dalle elezioni politiche dell'aprile scorso. Essi soprattutto non svolgono più le funzioni che avevano svolto nei lunghi decenni del dopoguerra: la funzione di mantenere l'unità nazionale, di creare il consenso attorno al sistema politico-istituzionale, di evitare al paese le eccessive tensioni provocate da estremismi politici inseriti a pieno titolo nelle competizioni elettorali. L'unità nazionale forse non è ancora minacciata esplicitamente, ma è certo indifesa in un ambiente e in una tradizione dove molto congiura contro di essa. Il consenso, il supporto dei cittadini, ovvero il combustibile che alimenta ogni sistema politico è diventato una risorsa rarissima. I tradizionali partiti, non solo con la loro presenza, ma anche con la loro immagine, producono automaticamente dissenso. Riappaiono gli estremismi politici, quelli che erano stati tenuti ai margini del sistema politico per tutto il periodo del dopoguerra. Riappare una destra tradizionale ed una ambigua nuova destra, si riodono i clangori di un estremismo di sinistra, sicuramente démodé nel panorama europeo. La società è fortemente divisa, ed il sistema elettorale proporzionale fotografa impietosamente questa frammentazione. La società quasi scopre il gusto di sentirsi divisa, e di esprimersi senza più la gabbia delle grandi contrapposizioni in blocchi politico-ideologici. Nella espressione politica tale società (per alcuni versi post-moderna, anche se il termine potrà non piacere) ritrova alcuni tratti comuni, quelli contro il vecchio sistema, ma non sufficienti a creare estese nuove identità. Il vecchio sistema politico-partitico è certamente crollato, o sfarinato, come ha detto qualcuno. L'elettorato premia le liste che dichiarano, e provano, la loro distanza dai partiti tradizionali. All'interno di questi ultimi, nello spazio di pochi mesi, sono diventate ottime risorse per la carriera politica quei caratteri che proprio rappresentavano un ostacolo insormontabile in queste carriere, ad esempio la distanza dalla vita dei partiti. Di qua la caccia agli esterni, ma questa volta non per mere ragioni di belletto. Ma il nuovo, un nuovo spendibile nel sistema politico istituzionale dov'è? Non si intravede un nuovo capace di creare alleanze stabili ed equilibri politici. Forseperché tutte le nuove 3 identità sono contro il vecchio, e come tale destinate a decomporsi o ad appannarsi man mano che il vecchio crolla. Diverse sono le identità per la costruzione di nuovi equilibri, destinate a rafforzarsi con la crescita ed il rafforzamento degli equilibri stessi. Ma questi nuovi equilibri non possono prescindere dai conflitti economici, sociali, culturali. L'assenza di uno spirito di ricostruzione, e soprattutto di istituzioni che favoriscano la diffusione di un tale spirito, sospinge verso manifestazioni non tranquilizzanti. Cosa pensare del consolidarsi della estrema destra (più o meno neo-fascista) in una fase nella quale l'Europa è traversata da inquietanti paure e minacce? Cosa pensare dell'avanzata di una forza (come le leghe) che si costruisce e si definisce attraverso la doppiezza, una faccia per i militanti e per attivare gli istinti, l'altra per convincere (invero al momento senza fatica) una opinione politica moderata? Ma cosa pensare anche del successo di una forza che, come se nulla fosse accaduto, si presenta con un progetto di «rifondazione comunista»? Su questo sfondo potrebbe prevalere il pessimismo sui destini a breve e medio periodo del nostro sistema politico. Solo le riforme istituzionali (e non solo elettorali) potrebbero costituire una forzatura capace di imporre linee di ricomposizione alla società ed alle sue espressioni politiche. Capace di favorire una riaggregazione per il nuovo, e non semplicemente una alleanza contro il vecchio. Se si vuole parlar chiaro, è evidente che questa forzatura sarà possibile solo-attraverso il varo di un sistema elettorale che fornisca non tanto la possibilità di esprimere le divisioni della società, quanto la sua volontà di governare. Un sistema dunque che privilegi e faciliti la «presa della posizione» e cioè un sistema maggioritario. Anche perché sarebbe colpevole proporre agli elettori solo la scelta (attraverso la proporzionale corretta) fra le coalizioni dei «vecchi», e le disordinate compagini dei «nuovi». Questa forzatura potrà non essere traumatica solo se i partiti tradizionali favoriranno la transizione, attraverso un radicale rinnovamento dei gruppi dirigenti. È troppo ingenuo richiederlo, o solo pensarlo? D'altra parte aspettare non si può più, come ci indicano gli eventi del martedi postelettorale, ben più dirompente delle elezioni stesse. Di solito le transizioni avvengono guidate da un grande leader politico, che poi ha la capacità
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