Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 35 - dicembre 1992

,l'.V, BIANCO lXILROS.sO l11■ i#ilil Il futuro è possibile, per chi«governla transizione» D iversi sono i punti di sofferenza culturale e politica che rendono il caso italiano del socialismo democratico singolare e di difficile lettura. Il primo è facilmente individuabile nello stato in cui versa la sinistra italiana, nell'assoluta e totale inconciliabilità delle rispettive posizioni che non sono legate solo, anche se non si tratta di questione di poco conto, alle «storie» di leader o presunti tali, ma a radicamenti socio politici ancora forti nel mondo della sinistra. La seconda è individuabile nella più generale crisi del sistema politico basato essenzialmente sul circuito partitico per cui la magistratura si trova, necessarimente, a esercitare un ruolo di primissimopiano, enfatizzato dalle cronache dei mass-media. Il terzo, non minore, risiede nella assoluta subalternità dell'amministrazione pubblica, sia centrale che periferica, ai partiti e financo alle correnti che ha ingenerato quell'abile maneggio di procedure burocratiche, mortificando gli interessi della collettività e frustrando il cittadino utente. Il quarto deriva dalla incerta e contradditoria evoluzionedel mondo sindacale impigliato nelle sacche pregiudiziali dell'ideologia politica, i duri interessi dei partiti e la catasta delle rivendicazioni corporative. Sono queste le questioni specifiche che rendono in parte peculiare, in un contesto mondiale in trasformazione e in crisi, la situazione del nostro Paese. Ed è anche per queste ragioni che il socialismo democratico ha faticato e fatica a proporsi quale stabile e affidabile riferimento di una politica progressista. Inoltre se la ragione basata sull'esperienza di quanto è accaduto nei paesi a sociadi FrancescoForleo lismo reale dovrebbe allontanarci da qualsivoglia forma di radicalismo e di massimalismo, le attuali condizioni, di fatto, ne favoriscono il facile attecchimento. Accade così che a un Pci «centrista», prudente e con un forte senso dello Stato, subentrino un Pds «centrifugo»e movimentista e un partito quale Rifondazione Comunista saldamente ancorato a quanto resta della classe operaia nella speranza di rappresentarsi, nell'attuale complicato scenario politico, come classe generale del Paese. Se questa può essere la sintetica rappresentazione dell'esistente, credo che si renda necessario analizzare le cause della situazione, peraltro non solo complessa negli elementi che la compongono, ma anche rigidamente avversa ai tentativi innovativi che si sono manifestati nel corso del tempo. Saremmo tratti in inganno se collegassimo la crisi della politica nel nostro Paese alla crisi del comunismo sovietico. Il sistema Italia è entrato in crisi negli anni settanta, epoca nella quale il Pci avrebbe dovuto celebrare la propria Bad-Godesberg e, come Amendola auspicava, la costruzione di un unico partito dei lavoratori. Lo stesso comportamento di Papa Giovanni XXIIInegli anni del Concilio Vaticano II aveva determinato l'apertura di un nuovo periodo storico molto più eclatante di quanto non apparve al momento, paragonabile, per certi versi, alla caduta del muro di Berlino. Del resto straordinariamente forte fu l'emozione suscitata, nel mondo «libero»e in particolare in Italia, dalla diffusione delle immaginidel comunistaAjubej, genero del segretario generale del Pcus Kruscev, che varcava il portone di bronzo dei palazzi vaticani. La chiusura del sistema a qualsivoglia tentativo di innovazione politica del pae29 se, attenuata solo in parte, dal radicarsi e dispiegarsi del consociativismoe del «conciliarismo» di demitiana memoria, suscitò e alimentò reazioni forti, di segno e provenienza politica diversa, ma tutte tendenti a modificare lo statico e rigido equilibrio fino ad allora esistente. I.:eliminazione, non ancora chiara, del massimo architetto del consociativismo e delle «convergenze parallele», non diede la stura al rinnovamento e al cambiamento ma, paradossalmente, ne bloccò ulteriormente, per più di un decennio lo sviluppo, e, solo con la caduta del Muro, anche da noi e con molto ritardo sul resto dell'Europa, si manifestaronodelle crepe, contraccolpi che hanno portato alla situazione attuale. Ma anche allora si rispose tentando di colpire gli effetti senza accertare le cause, con la conseguenza di far prevalere gli elementi di conservazione anziché quelli della innovazione e della trasformazione. Fu anche compiuto, scomparsoMoro, un errore drammatico da parte della Dc, che non osò pensare al dopo, perché troppo ghiotta si presentava l'occasione di logorare il Pci. Quando Andreotti enunciò la politica dei «due forni», quella politica era già consumata perché al Psi non era toccata sorte migliore dell'ex Pci. Gli anni settanta segnano, nel contempo, la condanna della Dc. Questa, da sempre attenta al futuro, probabilmente influenzata, positivamente influenzata, dalla cultura cattolica, si laicizza eccessivamente e commette un errore di scarsa lungimiranza politica. Così mentre la Chiesa cattolica si defila dal contesto italiano ed europeo per dispiegare la sua azione ecumenica nell'intero planisfero, la Dc consuma l'esistente esaurendo la saggia politica fondata sulle al-

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