Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 35 - dicembre 1992

La storia delle varianti del socialismo recente si è articolata a seconda della miscela di questi tre elementi. Si può addirittura dire che le varianti hanno oscillato a seconda che la diffusione del potere di spesa fosse giudicato o no come subalterno ad un sistema neo-capitalistico e consumistico. Ma anche questo era uno dei modi in cui si poneva il rapporto tra economia e democrazia, o tra ragioni della produzione eragioni della libertà. C'è stato, in verità, un altro giudizio critico: che lo sviluppo fosse incompatibile con le ragioni dell'uguaglianza, e - con esso giudizio- siamo alle revisioni neoliberiste. Dunque, il cosiddetto stato sociale è stato criticato dall'estrema sinistra («esso è il neo-capitalismo») e da destra («esso è dispendiosamente antieconomico»). La critica estrema di sinistra può far correre rischi pauperistici e la critica di destra è a radice individualistica. La posizione socialista è, invece, legata a due teoremi: espansione del benessere e valore della comunità sovra-individuale. La difficoltà della posizione socialista, e quindi i suoi problemi da risolvere, sono sostanzialmente connessi alla compatibilità di due valori: quello della tecnica (che alimenta lo sviluppo), quello della uguaglianza sociale. Come si vede, sono due valori non coniugabili spontaneamente e meccanicamente, ma solo attraverso una difficile e complessa azione della volontà e della politica. Si pensi solo alla difficoltà del punto di equilibrio tra espansione della spesa pubblica e conseguente ripartizione della pressione fiscale. Ne consegue che, oggi, i tre versanti - che si presentavano all'inizio del nostro ragionamento - vanno reinterpretati in modo dinamico e attuale. Del resto, che si debba continuamente «attualizzare» i valori, fa parte dell'essenza stessa della politica. Dunque: l) Versanteistituzionale. È il permanente problema della legittimitàlegittimazione degli stati. Se non si può rinunciare allo «stato», esso che dimensione deve avere (sarà «nazionale»? o regionale?)? Ma, al fondo, su quale contratto sociale deve essere poggiato? E, poi, come va effettivamente riformulata la bilancia dei poteri, oggi che latripartizione di Montesquieu si è arricchita icl.U, BIANCA) lXIL RO&',O l•ii#ii•N e complicata? 2) Versantedei dirittieconomici. I:intuizione di Marx che il mio lavoro debba tradursi in riappropriazione dei suoi frutti è ancora giusta. I:esperienza settantennale del socialismo reale ha mostrato che l'espropriazione dei lavoratori anche per fini - presunti - giusti è fallimentare. Oggi, bisogna capire come il conferimento dei frutti del mio lavoro alla comunità (tasse, etc.) abbia un punto critico. Tale punto critico non è meramente quantitativo (percentuali svedesi o statunitensi?) ma è fortemente determinato dall'orientamento della spesa e, pertanto, dalla legittimazione del livello politico: il lavoratoreproduttore non accetta di conferire i risultati del suo lavoro ad un governo (o stato) non sentito come «suo». Ma, anche se lo sente «suo», il lavoratore-produttore vuole mantenere nelle proprie mani il potenziale che gli consente di sentirsi titolare di un diritto di dissenso e di critica, e tale potenziale non può essere astratto, ma deve consistere in una serie di diritti e proprietà concrete e non formali. 28 3) Versantedei dirittipolitici. I diritti politici non sono meramente formali, ma si sostanziano nel possesso di requisiti (indisponibili) per contrastare gli altri poteri e soprattutto quelli del potere istituzionaleburocratico. La situazione rischia di divenire inestricabile in un'epoca caratterizzata dalla espansione mondiale della produzione tecnico-industriale che, orientata da grandi centri finanziari anonimi, può soffocare l'uomo. I:uomo deve transvalutarsi in associazioni e organizzazioni di promozione e difesa dei suoi interessi fondamentali. Ma è necessario dotarlo di forti poteri «critici». In sostanza, occorre ricongiungere lavoro e cultura. Il potere di lavorare deve tendere a coincidere con un potere di capire e di difendere il proprio punto di vista e interesse. Risolvere, allora, a questo punto del discorso, se quello che proponiamo sia o no «socialista»o solo «democratico» di sinistra è un compito che potrebbe presentare più di una difficoltà, perché il binomio socialismo - democrazia in termini moderni ripropone le stesse ambivalenze delle discussioni di un tempo: la democrazia è l'essenza del socialismo e questo dà senso compiuto alle ragioni della equità secondo giustizia. Ma in realtà solo nel termine socialismo democratico e liberale vive una tensione di eguaglianza e di solidarietà che va rinnovata e riproposta, non superata orimossa. Nel momento in cui, alle soglie del nuovo millennio, si ripropone l'antico problema di come l'uomo in comunità possa affrontare la sfida della soddisfazione dei suoi bisogni e dei suoi diritti - anche di liberazione - attraverso il suo lavoro, la sua vita e la sua formazione, si ripropone nelle forme inedite dell'attuale complessità, che ritorna per questa strada, nell'azione politica, la possibile e necessaria unità tra i valori del cristianesimo e della fede e quelli dell'ispirazione del socialismo democratico. E ciò, a maggior ragione, in un mondo che si profila più integrato e dalle circolazioni più fitte. Ma soprattutto perché non avrebbe senso e, anzi, sarebbe davvero antistorico non riconoscere la fondamentale importanza del cristianesimo nella formazione della civiltà europea, civiltà di tolleranza, e nella stessa idea di democrazia e di socialismo.

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