__p_(L BIANCO l.XILROS50 Mii•MIMH Sanità: perché tanta polvere controlariforma? di Giuliano Cazzola a «riforma della riforma» prende corpo, riceve L una fisionomiapiù definita di quella tracciata dalle norme di una delega eccessivamente programmatica, aperta ad un arco di soluzioni non univoche. E già è iniziata, con un fragore assordante, la rivolta degli interessi lesi. In sostanza, si sta sollevando un grande, indecoroso polverone con lo scopo non già di migliorare lo schema di decreto, ma di non cambiare nulla, visto che l'equilibrio d'interessi realizzatosi in quel comparto dell'economia che è la sanità, richiede che tutto resti immutato, a scapito di una crescente spesa e di una perdurante inefficacia del servizio. Basta scorrere le righe dei comunicati infuocati che rimbalzano nei titoli dei giornali, per non trovare alcuna obiezione di merito, né proposte di modifica, ma soltanto anatemi conditi di un ideologismo di contrabbando, usato a copertura di piccole operazioni a tutela della bottega. Ecco allora che il «governo vuole smantellare la sanità pubblica», che «vuole aprire al privato», a fameliche assicurazioni pronte a succhiare il sangue dei nostri vecchi e dei nostri bambini. Ecco che si pretende di «tornare alle mutue» e soprattutto che si tenta d'instaurare un dualismo sanitario: una sanità pubblica per i poveri, una privata per i ricchi. In realtà, tutta questa confusione produrrà il peggiore dei risultati: o il fronte conservatore avrà la meglio bloccando sul nascere ogni proposito di innovazione e la sanità continuerà a marcire e a perdere ogni ulteriore credibilità agli occhi dell'opinione pubblica; oppure, in mezzo a questa impresentabile ed ingiustificata canea, il governo deciderà, di tenere duro e il decreto passerà senza sostanziali modifiche di cui pure ha bisogno. Infatti, non si può certo dire che lo schema di decreto delegato sia assolutamente immune da critiche, né che giovi alla sua causa l'appeal piuttosto logorato e scadente del ministro De Lorenzo, trovatosi immeritatamente al momento giusto nel ero14 cevia della riforma. Così, insieme ad un interessante disegno istituzionale imperniato sul decentramento, la responsabilità, il ricorso all'autofinanziamento da parte delle Regioni, ad un nuovo modello gestionale che valorizza la forma «azienda» e la direzione manageriale, ad un interessante criterio di remunerazione delle strutture e dei servizi conesso prevalentemente all'erogazione effettiva delle prestazioni, permangono piccoli sotterfugi a favore ora di questa ora di quella categoria medica, ora dell'industria farmaceutica, ora delle burocrazie ministeriali. Il «buco nero» del riordino consiste, però, nel tentativo d'introdurre {per chi lo desidera e per la durata di almeno un triennio) una forma d'assistenza indiretta che finirebbe inevitabilmente per ricondurre, nell'ambito della protezione pubblica, anche gran parte della spesa attualmente privata. Il cittadino, cioè, avrebbe la facoltà di curarsi dove ritiene opportuno, fuoriuscendo dal Servizio sanitario nazionale, facendosi rimborsare le prestazioni dallo Stato entro i limiti di un apposito tariffario. Tutto ciò si affiancherebbe al settore pubblico e alla sostanziale riconferma di un settore autorizzato o ex-convenzionato. È su questo punto che si sono concentrate le principali critiche delle organizzazioni confederali. Il passaggio opzionale all'assistenza indiretta non ha senso, è destinato ed aumentare i costi e a favorire veramente un livellodi tutela legato al reddito a spese dello Stato. Se questa proposta non è condivisibile, assai stimolante sembra invece quella, contenuta nello schema di decreto, relativa al sostegno di strumenti e forme d'organizzazione della domanda. Si tratta di un tentativo di rompere l'autoreferenzialità del sistema sanitario, conferendo ai cittadini non solo un diritto astratto alla salute, ma anche, loro tramite, un apporto di risorse alle strutture in grado di fornire prestazioni qualitativamente migliori, orientandone così l'attività.
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