Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 35 - dicembre 1992

~lLBIANCO '-XILROSSO MENSILE DI DIBATTITO POLITICO Unmalesseraennunciato. Rinnovamenetolucidità L di Gian Primo Cella o sapevamo già . Le elezioni amministrative parziali del 13e 14dicembre hanno mostrato che è finito il sistema politico fondato sui tradizionali partiti nazionali, che la società è fortemente frammentata, che il vecchio crolla, ma il nuovo stenta a trovare una identità, che questa assenza di «ricostruzione» provoca il riapparire di fenomeni inquietanti. Almeno dal punto di vista conoscitivo le elezioni sono state inutili. Forse lo sono anche state per la risoluzione dei problemi degli assetti politici lo35 ANNO III0 • DICEMBRE1992 • L. 3.500

Gian Primo Cella Giuliano Cazzola Rino Cavlglioli Salvatore Cafiero Gabriele Olini Giuliano Cazzola Giovanni Gennari Rossella Artloli Anna Carli Fabrizio Cic:chitto Guglielmo Epifani Francesco Forleo Claudia Mancina Guido Martinottl Roberto Speciale Valdo Spini Giorgio Tonini IN QUESTO NUMERO EDITORIALE Un malessere annunciato. Rinnovamento e lucidità ATTUALITÀ Elogio di un Governo più forte dei suoi numeri Perché questo silenzio dei «boiardi» del Sud? Politica per il Mezzogiorno: una proposta della Svimez Occupazione: cronaca di una crisi Sanità: perché tanta polvere contro la riforma? Come la pensa vostra Eccellenza? Del pluralismo culturale e teologico dei vescovi italiani DOSSIER C'è un futuro. per il socialismo italiano? Per un nuovo Psi: i cambiamenti necessari Il futuro è di un socialismo di nuovo onesto e credibile Oltre la crisi: Psi e Pds in 1,mpolo laburista I due cardini del socialismo: sviluppo e uguaglianza sociale Il futuro è possibile, per chi «governa la transizione» Cambiare le istituzioni e «identificare» la Sinistra Dopo il decennio di errori, il Psi è all'anno zero Ricostruire la Sinistra ripensando lo Stato sociale Il «craxismo» è finito. Insorgere per risorgere! Nella politica in crisi il Psi è in doppio ritardo VITADELL'ASSOCIAZIONE Centralità nel lavoro e nuovo regionalismo (Bologna 11 dicembre 1992) Immagini: dalla storia del socialismo italiano pag. 1 pag. 5 pag. 7 pag. 9 pag. 11 pag. 14 pag. 15 pag. 22 pag. 23 pag. 25 pag. 27 pag. 29 pag. 30 pag. 32 pag. 36 pag. 38 pag. 40 pag. 43

_p.fl. BIANCO lXltROSSO 1i11111A ii 11 cali, ma questo potrebbe apparire irriguardoso per la volontà degli elettori. I partiti politici nazionali non esistono più, e questo lo avevamo già capito dalle elezioni politiche dell'aprile scorso. Essi soprattutto non svolgono più le funzioni che avevano svolto nei lunghi decenni del dopoguerra: la funzione di mantenere l'unità nazionale, di creare il consenso attorno al sistema politico-istituzionale, di evitare al paese le eccessive tensioni provocate da estremismi politici inseriti a pieno titolo nelle competizioni elettorali. L'unità nazionale forse non è ancora minacciata esplicitamente, ma è certo indifesa in un ambiente e in una tradizione dove molto congiura contro di essa. Il consenso, il supporto dei cittadini, ovvero il combustibile che alimenta ogni sistema politico è diventato una risorsa rarissima. I tradizionali partiti, non solo con la loro presenza, ma anche con la loro immagine, producono automaticamente dissenso. Riappaiono gli estremismi politici, quelli che erano stati tenuti ai margini del sistema politico per tutto il periodo del dopoguerra. Riappare una destra tradizionale ed una ambigua nuova destra, si riodono i clangori di un estremismo di sinistra, sicuramente démodé nel panorama europeo. La società è fortemente divisa, ed il sistema elettorale proporzionale fotografa impietosamente questa frammentazione. La società quasi scopre il gusto di sentirsi divisa, e di esprimersi senza più la gabbia delle grandi contrapposizioni in blocchi politico-ideologici. Nella espressione politica tale società (per alcuni versi post-moderna, anche se il termine potrà non piacere) ritrova alcuni tratti comuni, quelli contro il vecchio sistema, ma non sufficienti a creare estese nuove identità. Il vecchio sistema politico-partitico è certamente crollato, o sfarinato, come ha detto qualcuno. L'elettorato premia le liste che dichiarano, e provano, la loro distanza dai partiti tradizionali. All'interno di questi ultimi, nello spazio di pochi mesi, sono diventate ottime risorse per la carriera politica quei caratteri che proprio rappresentavano un ostacolo insormontabile in queste carriere, ad esempio la distanza dalla vita dei partiti. Di qua la caccia agli esterni, ma questa volta non per mere ragioni di belletto. Ma il nuovo, un nuovo spendibile nel sistema politico istituzionale dov'è? Non si intravede un nuovo capace di creare alleanze stabili ed equilibri politici. Forseperché tutte le nuove 3 identità sono contro il vecchio, e come tale destinate a decomporsi o ad appannarsi man mano che il vecchio crolla. Diverse sono le identità per la costruzione di nuovi equilibri, destinate a rafforzarsi con la crescita ed il rafforzamento degli equilibri stessi. Ma questi nuovi equilibri non possono prescindere dai conflitti economici, sociali, culturali. L'assenza di uno spirito di ricostruzione, e soprattutto di istituzioni che favoriscano la diffusione di un tale spirito, sospinge verso manifestazioni non tranquilizzanti. Cosa pensare del consolidarsi della estrema destra (più o meno neo-fascista) in una fase nella quale l'Europa è traversata da inquietanti paure e minacce? Cosa pensare dell'avanzata di una forza (come le leghe) che si costruisce e si definisce attraverso la doppiezza, una faccia per i militanti e per attivare gli istinti, l'altra per convincere (invero al momento senza fatica) una opinione politica moderata? Ma cosa pensare anche del successo di una forza che, come se nulla fosse accaduto, si presenta con un progetto di «rifondazione comunista»? Su questo sfondo potrebbe prevalere il pessimismo sui destini a breve e medio periodo del nostro sistema politico. Solo le riforme istituzionali (e non solo elettorali) potrebbero costituire una forzatura capace di imporre linee di ricomposizione alla società ed alle sue espressioni politiche. Capace di favorire una riaggregazione per il nuovo, e non semplicemente una alleanza contro il vecchio. Se si vuole parlar chiaro, è evidente che questa forzatura sarà possibile solo-attraverso il varo di un sistema elettorale che fornisca non tanto la possibilità di esprimere le divisioni della società, quanto la sua volontà di governare. Un sistema dunque che privilegi e faciliti la «presa della posizione» e cioè un sistema maggioritario. Anche perché sarebbe colpevole proporre agli elettori solo la scelta (attraverso la proporzionale corretta) fra le coalizioni dei «vecchi», e le disordinate compagini dei «nuovi». Questa forzatura potrà non essere traumatica solo se i partiti tradizionali favoriranno la transizione, attraverso un radicale rinnovamento dei gruppi dirigenti. È troppo ingenuo richiederlo, o solo pensarlo? D'altra parte aspettare non si può più, come ci indicano gli eventi del martedi postelettorale, ben più dirompente delle elezioni stesse. Di solito le transizioni avvengono guidate da un grande leader politico, che poi ha la capacità

~lLBIANCO '-XltROSSO 1l 1Hk11 81ill e la forza di scomparire (di «abbandonare le cose prima che le cose lascino lui», come diceva il Generale De Gaulle). Ma di tale leadership non si vede traccia sulla scena italiana, il che non è del tutto male. Tuttavia l'esigenza di un orientamento, di un riferimento stabile resta. Ci pare che l'attuale ' . i ~~ ~ ,;. ''· . ·, ':" -~1-:::,".· ._ .......~ .~ .. ,. ~. .•' ~·~ ·(<., ~ : · .. _:,_..';['. fw1!""f'. •'-~ - ·li#,'-:~~- ,...,..._ ,.. . •, ' ~' i_.' ·--- _ _,. ,.,~..·..,..~""'~ ••t,4•...- I lit• ,....c.._/ ' ,~ . . ~ .. ~ . -,, ... /,: __ ,·, r-::-,.·-,.., .. . ' k,,c.. ~ ,.. ....._, ,......... I governo abbia dato prove sufficienti per costituire tale orientamento e tale riferimento. Non si commetta, specie nella sinistra, l'errore di distruggere anche quest'ultimo ponte per la transizione. Ma, si sa, le tentazioni sono spesso forti, travolgenti, anche nella vecchiaia. ·.:- ~ J;r •"' te:" -:;·..,.;'.......... ~~~~-- ~ -.··. -. ~ . :=:-:t: F. Turati: Testoautografodall'ultimodiscorso(30n/1931) 4

' .Pll~ BIANCO lXILROSSO ATTUALITÀ Elogiodi unGoverno piùfortedeisuoinumeri di Giuliano Cazzola E singolare. Ormai sulla scena della politica italiana si recita da mesi una commedia dall'intreccio complicato e dal finale imprevedibile, nella quale tuttavia gli attori hanno scelto parti ben definite e ruoli ancora più netti. Protagonista principale è il Governo Amato, essere ricordata come il governo che ha modernizzato il Paese facendogli assumere risolutamente una fisionomia europea. Ha avuto dal sistema politico un'ampia delega ad affrontare la fase dell'emergenza; il Governo non si è certo tirato indietro e ne ha fattobuon uso. Al suo fianco, sia pure in posizione dialettica, hanno svolto un ruolo importante le Confederazioni sindacali: in generale sempre responsabili, a volte a corto d'idee, altre volte a caccia di farfalle. Eppure, l'autunno del 1992, anche grazie a Cgil, Cisl e Uil è potuto trascorrere in un contesto di sopportabile e comprensibile conflittualità sociale, visti i cambiamenti che sono stati necessariamente portati in alcuni capisaldi del vivere civile. una sorta di «malato immaginario» che tuttavia dà costantemente prova di buona salute e di una vitalità sorprendente, ben superiore a quelle, che sulla carta, sembrano essere le sue forze. Il Governo ha superato prove di enorme difficoltà, si è misurato con sfide inaudite e, nello stesso tempo, si è preso la briga d'impostare (e realizzare) un cambiamento tanto radicale e profondo del Paese e dei suoi più reconditi e custoditi «santuari», da sollecitare in tutti gli osservatori solo stupita ammirazione. Il fatto che in pochi mesi si sia potuto mettere ordine (certo, si poteva fare meglio) in settori vitali come la previdenza, la sanità, il pubblico impiego, la finanza locale, le privatizzazioni (ovvero lo smantellamento del nostro socialismo reale), tra l'altro con una maggioranza esausta, infida e ridotta per di più all'osso, è la prova evidente che la governabilità non dipende soltanto dalle riforme istituzionali e dai meccanismi elettorali, ma anche dalla chiarezza degli obiettivi politici e dalla determinazione con cui si perseguono. Così la compagine del dottor Sottile si avvia ad 5 E i partiti? Quale ruolo svolgono nella nostra commedia? Il discorso si fa più confuso, dato che essi sono rimasti sullo sfondo, recitando spesso con svogliatezza, dimenticandosi la parte, scambiandosi i costumi e le maschere, osservando l'azione del governo come se si trattasse dell'esecutivo di un altro Paese. In generale, hanno pensato alle riforme o a rifondare il sistema politico. I loro gruppi dirigenti si sono spaccati: alcuni si sono dedicati ai lavori dell'apposita Commissione bicamerale che è diventata il salotto buono delle forze più legate al sistema politico della prima Repubblica; altri, più disinvolti, si sono dedicati a far germogliare nuo-

i>JLBIANCO lXILROS.SO Eii•i••il vi schieramenti, a tessere alleanze trasversali, come se la gente fosse contenta di comperare il solito vino dal solito oste soltanto perché è cambiata la ditta. Sullo sfondo dell'azione drammatica è sempre rimasta incombente la minaccia dell'improvvisa apparizione ora dell' «angelo vendicatore» (la Magistratura alla caccia di tangentomani), ora del «flagello della peste» (la Lega di Umberto Bossi). Per il resto, la commedia va avanti con il ritmo sgangherato di una telenovela, come se fosse a disposizione un tempo infìnito e l'unico problema rimanesse quello di aggiungere puntate senza senso ad altre inutili e noiose. Il Governo continua a lavorare, il sindacato ad arrancare dietro sempre più faticosamente, la Confindustria rimane a guardare; mentre tutti gli altri aspettano .... La Dc ha investito le sue ultime risorse (sono ancora tante) e già vede nel movimento di Mario Segni l'alternativa a se stessa. Il Pds di Occhetto lo troviamo da tutte le parti, a volte con «i tradizionalisti»e a volte con «gli innovatori». Sembra quell'ospite che viene invitato a tutte le feste non già perché è importante e simpatico, ma perché gli altri si divertono a prenderlo in giro. In ogni caso c'è. Nel frattempo, Rifondazione comunista si appresta a divenire una piccola (non troppo) Lega rossa fermamente decisa a difendere gli interessi di VIICongressoPsi. Imola1902 6 una classe operaia che ormai esiste soltanto nella testa della «terribile coppia Cossutta-Garavini». La Malfa e Orlando per ora fanno molto rumore, ci auguriamo per nulla. E il Psi? Non lo riconoscereste più! Diviso e lacerato quanto era unito e monolitico, in forte calo elettorale e in piena disgrazia politica, il partito del garofano ha perso in pochi mesi tutto quel consenso che aveva raccolto in tanti anni, senza per altro aver visto crollare Muri ed ideologie. Non è neppure sufficiente dare la colpa ai mariuoli. Nessun altro partito ha gestito così male gli effetti della comune disgrazia di Tangentopoli. Ci sono stati, e grandi, degli errori soggettivi del gruppo dirigente e del segretario del partito, il quale, con il suo accanimento, non difende più alcuna prospettiva, ma solo se stesso e la sua famiglia. Non è certo un buon servizio che rende al Psi. Soprattutto dimostra ancora una volta di non aver capito la situazione e che per lui è venuto il tempo di fare altre esperienze. Per fortuna, il governo Amato ha non solo retto l'emergenza, ma anche salvato l'onore dei socialisti e del sistema politico, il quale non è stato travolto ed ha avuto l'opportunità di rinnovarsi, grazie ad un governo che in un momento difficile ha saputo parlare al Paese con il franco linguaggio della chiarezza e del coraggio.

,P.tL BIANCO lXILROSSO ., ..• , .• Perchéquestosilenzio dei«boiardie»lSud? di Rino Caviglioli on l'approvazione, anche da parte dell'altro ramo del Parlamento, del decreto legge di ri- e finanziamento della legge 64/86 viene sancita, di fatto, la fine dell'Intervento Straordinario nel Mezzogiorno e vengono tracciate le linee del nuovo intervento, non più «straordinario» bensì «ordinario», dello Stato a favore dello sviluppo delle aree economicamente più deboli del Paese, e quindi non più solo del Mezzogiorno. È la fine di un'epoca durata oltre quarant'anni: un mutamento radicale di rotta che cancella con un sol colpo strutture come la Cassa per il Mezzogiorno - dall'86 si chiama Agenzia per la promozione dello sviluppo del Mezzogiorno - che ormai fanno parte nel bene e nel male della storia e del costume del Paese. Sia ben chiaro che non vi è nessuna nostalgia per il passato: la politica meridionalistica è in crisi da moltissimi anni; la più recente normativa dell'Intervento Straordinario non ha conseguito i suoi obiettivi e l'azione delle amministrazioni ordinarie e del sistema delle autonomie, ai quali la suddetta normativa aveva affidato il compito di concorrere alla programmazione e all'attuazione degli interventi, è stata caratterizzata da ritardi ed inefficienze. Ciò tuttavia non può indurre a ritenere che non sia più necessaria un'azione pubblica di sviluppo aggiuntiva e differenziata - dal punto di vista normativo ed organizzativo - rispetto a quello destinato alla generalità del territorio. Occorre invece - come suggerisce la Svimez nella sua «Proposta di nuovo sistema di intervento per lo sviluppo del Mezzogiorno» - «un'azione radicalmente diversa da quella seguita finora: soprattutto un'azione più efficiente e, quindi, molto meno onerosa per la finanza pubblica, tale cioè da non contraddire l'esigenza, urgente e pregiudiziale, del risanamento economico-finanziario: risana7 mento in assenza del quale saremmo emarginati dall'Europa e ci sarebbero quindi precluse le opportunità che l'unione e la solidarietà europea possono offrire, in prospettiva, soprattutto al Mezzogiorno». Intorno a queste problematiche è davvero rilevatore il silenzio dei managers, degli intellettuali, dei politici e dei Ministri che negli ultimi dieci anni, hanno teorizzato, voluto, costruito e gestito l'intervento straordinario nel Mezzogiorno. Tranne qualche isolata voce, nei giorni in cui si gridano le accuse verso i meridionalisti dissipatori e inefficienti, i tanti protagonisti degli anni facili sembravano preoccupati solo di non farsi riconoscere. Non difendono, non giustificano, non spiegano. Ed il nuovo rischia così di nascere sugli stessi equivoci, errori, debolezze del passato. Presidente dello Iasm - un Ente operante nell'ambito delle leggi per il Mezzogiorno - da pochi mesi, chiamato a ricoprire tale responabilità per una particolarissima congiuntura politicoistituzionale-amministrativa, sono rimasto in silenzio per senso della misura. Ma ora che il Parlamento ha affidato al governo la delega per superare l'Intervento Straordinario per «riordinare, privatizzare o liquidare la relativa strumantazione» vorrei testimoniare dall'interno a dire la mia. Perché la legge 64/86 «... non solo non ha funzionato, ma nel giro di sei anni ha prodotto quasi solo sprechi, residui passivi, fallimenti, malversazioni»? Quel «quasi solo» a me sembra eccessivo, ma alla domanda rispondo, per ciò che ho visto: l. - le decisioni prese, nel corso degli anni, dall'autorità politica (Cipe, Cipi, singoli Ministri) si sono avvalse pochissimo di apporti tecnici qualificati, hanno falciato i campi dell'interesse politico particolare con la massima discrezionalità: quale migliore scivolo per approdare a scelte di favore per cordate

.{)Jt BIANCO lX1tnosso MiiiCilid e clientele? Si aggiungano inoltre, sotto questa voce, la grande instabilità e soggettività dei singoli ministri, spesso portatori di scelte contradditorie, immobilizzanti, destrutturanti, rispetto a quelle dei loro predecessori. 2. - È mancata unità di comando. Per esempio, i progetti attualmente gestiti dallo Iasm attraversano ben cinque passaggi decisionali: approvati dal Cipe, transitano per il Dipartimento, l'Agenzia, lo Iasm (soggetto attuatore), l'Impresa prescelta (soggetto realizzatore). Ciascuno di questi transiti è costretto a misurarsi con la cultura, i tempi; le professionalità, i conflitti di potere interni a ciascuna struttura, ed in ciascun passaggio ci si può imbattere in una sorta di potere di veto non dichiarato, nascosto nelle procedure e nei cavilli della burocrazia, ma ciononostante assai efficace, come confermano i ritardi annosi nella realizzazione di molti progetti. 3. - Si è affermata una insufficiente specificità degli Enti di Promozione. Non dico che tutti fanno tutto, ma quasi ed è difficile individuare il filo logico che ha spinto l'autorità politica a decidere le diverse assegnazioni. Lo Iasm ha oggi in gestione progetti che impegnano complessivamente, su base pluriennale, circa 410 miliardi, dei quali oltre 100miliardi a cofinanziamento comunitario. 4. - I criteri con i quali sono stati nominati gli amministratori e difiniti i loro poteri: rigida spartizione tra partiti e correnti, rappresentazione diretta di interessi locali, lunga pratica della prorogatio, sistematiche commistioni tra poteri di amministrazione e poteri di gestione. Queste le risposte più strutturali, al perché iniziale. Poi ce ne sono altre che coinvolgono i comportamenti delle persone, che tali restano anche quando interpretano ruoli sociali. C'è una insufficiente attitudine alla «gestione» da parte della nostra classe politica. La buona gestione è silenziosa, raramente viene celebrata, necessita di tempi lunghi e di ade8 guate competenze: costa troppo e dà troppo poco. Ma ogni scelta politica, per essere efficace, deve inglobare una buona dose di gestione. Per fare un esempio: qualora il Ministro Reviglio non elaborasse in fretta un piano per la transizione dell'Intervento Straordinario all'Ordinario, ci troveremmo - di qui a pochi mesi - di fronte al più vasto contenzioso amministrativo-giudiziario-istituzionale che la storia della nostra Repubblica ricordi. Sul versante del lavoro, infine, la normativa nasconde la responsabilità, ipergarantisce tutti, invoglia verso le più burocratiche sicurezze. E dunque il governo - visto che avrà la delega del Parlamento - decida pure i criteri e le forme del superamento dell'intervento straordinario, decida e entità e qualità degli incentivi per lo sviluppo delle aree deboli del Paese. Di proposte di ingegneria istituzionale ne sono state avanzate molte. Ma che si scelga la «Banca di sviluppo», o «l'Autority», o «l'Agenzia polifunzionale» magari integrata da supporti tecnici, raccomanderei comunque di non trascurare alcuni elementari ma decisivi criteri di organizzazione: che ciascuna «società» possa decidere dell'intero ciclo del prodotto ad essa delegato, che ci sia una specializzazione di ruoli e di funzioni, che il lavoro sia organizzato secondo criteri di autonomiaresponsabilità potere, che si definiscano parametri tali da consentire giudizi di efficienza-efficaciacongruità nell'utilizzo delle risorse pubbliche, che si affidino compito di monitoraggio sistematici sull'esito dell'intervento pubblico nelle aree di sviluppo ritardato. In tale contesto credo sia lecito avanzare proposte per non disperdere il patrimonio professionale dei tecnici e dei manager degli Enti disciolti, senza essere immediatamente sospettati di voler riciclare, sotto rinnovate eppur mentite spoglie, un discutibile passato. In tale contesto il nucleo forte dell'esperienza e della professionalità dello Iasm attuale, si candida ad esercitare un ruolo nazionale di supporto tecnico alle politiche per la industrializzazione delle aree deboli del Paese, anche tramite la migliore utilizzazione dei fondi comunitari.

i.>JJ, BIAN(;() l.X11,nosso MiiiKiliil Politicaper il Mezzogiorno: unapropostdaellaSvimez di Salvatore Cafiero o scorso 2 dicembre è stata illustrata a Roma, nelL la Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani, alla presenza dei Presidenti del Senato e della Camera dei Deputati, la proposta della Svimez su un nuovo sistema di intervento per lo sviluppo del Mezzogiorno. Per una fortuita, ma significativa, coincidenza nello stesso giorno l'aula di Palazzo Madama ha approvato la legge di conversione del decreto del Governo che, mentre reintegra i fondi originariamente assegnati alla legge 64 e successivamente dirottati su altre leggi, sancisce la fine dell'attuale intervento straordinario nel Mezzogiorno a decorrere dal 1 ° maggio 1993. La Svimez condivide la necessità di porre fine al vecchio sistema. Ma avverte anche la necessità che si pervenga al più presto alla definizione di un nuovo sistema di intervento pubblico, che sia rigorosamente mirato alla promozione di attività in grado di acquisire competitività sui grandi mercati. A questo fine la sua proposta è stata formulata e offerta al dibattito. L'iniziativa della Svimez trae origine da un duplice ordine di considerazioni: da un lato, la consapevolezza che, l'intervento nel Mezzogiorno dell'ultimo quindicennio - che di straordinario aveva ormai conservato soltanto il nome - ha finito col mancare i suoi obiettivi; dall'altro, il radicato convincimento che il Mezzogiorno non può essere abbandonato a se stesso e un intervento specifico è tuttora indispensabile. Come ha ricordato il Presidente della Svimeznel suo intervento introduttivo, l'attuazione dei valori di solidarietà e unità nazionale - solennemente affermati dalla nostra Carta Costituzionale - deve essere affidata anche all'impegno di risorse comuni a sostegno dello sviluppo delle regioni in ritardo o in crisi. Del resto il trasferimento di risorse dalle regioni forti alle regioni deboli è la naturale conseguenza dell'attuazione dei principi, pro9 pri dello Stato moderno e iscritti nella Costituzione repubblicana, della progressività delle imposte e del diritto dei cittadini a servizi pubblici di uguale valore, quale che sia la regione in cui risiedono. A fondamento della proposta della Svimez vi è la convinzione che non si possono affrontare con strumenti e ordinamenti uniformi situazioni molto diverse, quali sono quelle delle regioni da tempo intensamente industrializzate del Nord, che si trovano a dover affrontare oggi difficoltà gravi, ma di natura transitoria, e quelle delle regioni del Sud, dove l'elevata percentuale di inattivi e di disoccupati ha carattere strutturale e, in assenza di un'adeguata base industriale, l'occupazione terziaria ha, per una parte notevole, carattere pletorico e parassi ario. Da qui la necessità di un intervento speciale. L'azionepubblica per lo sviluppo del Mezzogiorno dovrà però essere radicalmente diversa, e cioè più efficiente e soprattutto meno onerosa, di quella seguita finora. Il primo obiettivo della proposta Svimez è quello di assicurare la compatibilità dell'intervento nel Mezzogiorno con l'esigenza, che è pregiudiziale, del risanamento della finanza pubblica. È stato pertanto delineato un intervento speciale il cui campo d'azione - sia nel settore delle dotazioni infrastrutturali, sia in quello della promozione delle attività produttive - è rigorosamente delimitato. Per quanto riguarda le infrastrutture, l'intervento dovrebbe essere riservato esclusivamente a quei sistemi complessi di opere, come i sistemi idrici e il risanamento delle aree metropolitane, la cui realizzazione e gestione non possono essere affidate a singole amministrazioni statali o a singole regioni, in quanto richiedono una programmazione unitaria e, sul piano dell'attuazione, il coordinamento di una molteplicità di soggetti. Il finanziamento pubblico dovrebbe peraltro limitarsi, ove

.{)!I, BIANCO lXII, RClS.'iC) Mii•Ml•h possibile, alla quota di investimento non ammortizzabile con i ricavi di una gestione privata delle opere. Per quanto riguarda la promozione delle iniziative produttive, l'intervento dovrebbe essere destinato solo all'industria manifatturiera ed ai servizi ad essa complementari - che costituiscono, nell'insieme, la sezione dell'economia maggiormente esposta alla concorrenza sul mercato internazionale - ed essere limitato nel territorio, nell'intensità e nel ventaglio delle misure agevolative. Andrebbero quindi soppresse le forme di incentivazione potenzialmente lesive della concorrenza e non coerenti con la politica regionale della Comunità Europea. In particolare la Svimez propone di abolire, oltre che la riserva di commesse pubbliche, anche, per ragioni di concorrenza e di trasparenza del mercato del credito a medio termine, il credito agevolato; propone inoltre, per quanto riguarda il costo del lavoro, che la fiscalizzazione degli oneri sociali sia gradualmente sostituita da contributi alla formazione e, soprattutto, da un'articolazione territoriale della contrattazione, che consenta di tener conto delle differenze di produttività, di costo della vita, di ampiezza della disoccupazione. Alle imprese dovrebbe essere lasciata facoltà di scegliere il ventaglio più adatto di incentivi entro un determinato tetto di «equivalente sovvenzionenetta» e di optare tra l'autoliquidazione attraverso il credito d'imposta e l'erogazione monetaria. Dovrebbe essere, inoltre, potenziata la politica delle aree attrezzate e la loro gestione dovrebbe far capo ad un soggetto, al quale partecipino le imprese localizzatenelle stesse aree, e che risulti pertanto dotato di adeguata capacità imprenditoriale. 10 Nel prospettare questo complesso di interventi specificamente diretti al Mezzogiorno, la Svimez ricorda che, ai fini della localizzazione di iniziative industriali nuove, o sostitutive di quelle divenute obsolete, la competizione non è tra Mezzogiorno e Nord, ma tra Mezzogiorno e altre regione europee od extraeuropee che possano offrire condizioni comparabili con quelle offerte dal Mezzogiorno sotto il profilo dell'essenza di congestione ambientale, della disponibilità, qualità e costo del lavoro, dell'intensità dell'intervento pubblico di sostegno. Sul piano istituzionale, il principio fondamentale ispiratore della proposta è quello di una rigorosa distinzione tra decisioni politiche e decisioni tecniche. Spetta naturalmente all'autorità di Governo - con l'attiva partecipazione delle Regioni, nell'ambito della Conferenza Stato-Regioni - definire le linee della politica di sviluppo del Mezzogiorno, armonizzandola con la politica territoriale nazionale e con quella comunitaria. Ma le decisioni tecniche, relative all'attuazione dell'intervento, andrebbero riservate ad un'autorità amministrativa, di cui sia garantita l'indipendenza dell'esecutivo attraverso la nomina parlamentare dei suoi vertici, la lunga durata del mandato e norme rigorose di incompatibilità. L'autoritàdovrebbe disporre di un ristretto nucleo tecnico di elevatissima professionalità. Esclusa ogni responsabilità di esecuzione degli interventi, all'Autorità andrebbero affidate la programmazione e la vigilanza sull'attuazione dell'azione infrastrutturale. Ad essa, inoltre, dovrebbero raccordarsi anche l'amministrazione degli incentivi, le azioni di promozione e l'offerta di servizi alle imprese.

.P.tL BIANCO \Xli. ROS.SO ., .• ,.•• Occupazione: cronaca di unacrisi di Gabriele Olini Atto primo: primi segnali La causa prossima dell'accentuata fase di difficoltà occupazionale nel nostro paese è nel rallentamento produttivo, che inizia nel corso del 1989. Da allora la crescita economica frena vistosamente, particolarmente nell'industria, e tutti gli indicatori del clima di fiducia degli operatori economici danno segnali negativi. Anzi all'inizio, proprio gli indicatori occupazionali sembrano andare in controtendenza ed, almeno per qualche tempo, continuano a svilupparsi favorevolmente, a parte la veloce crescita degli interventi ordinari della Cassa Integrazione Guadagni e le richieste di prepensionamento di qualche grande gruppo. In effetti l'ultima fase espansiva trascina negli anni successivi positivi sviluppi occupazionali. Il biennio 1990-91conosce una crescita della domanda di lavoro, nonostante la decelerazione dal ciclo produttivo; si determina la situazione opposta rispetto a quanto avvenuto del 1985 al 1989, allorché la crescita sostenuta del Pil non si traduceva in un consistente aumento dell'occupazione. Ancora nel 1991vi è, da una parte, una crescita del numero degli occupati di circa 200 mila unità ed il ritorno, dopo molto tempo, del tasso di disoccupazione sotto l'll %, dall'altra l'aumento del 25% della Cig. Si sovrappongono così immagini tranquillizzanti ad allarmate previsioni di eccedenze di manodopera, con un quadro complessivo che appare contraddittorio ed assolutamente non univoco. Il mercato del lavoro presenta in quell'anno una situazione a macchia di leopardo; crescita occupazionale nel terziario e riduzione nell'industria, con situazioni, all'interno di quest'ultima, molto articolate per settore (migliori per le produzioni di beni finali di consumo, peggiori per i beni di investimento),per area territoriale (qualche buon segnale per il Mezzogiorno, ma anche per l'industria 11 del Nord Est, mentre difficoltà consistenti nel triangolo industriale tradizionale e per le micro imprese marchigiane). Le statistiche dell'Istat segnalano anche impatti diversi tra grande industria, che pare interessata da una nuova fase di ristrutturazione, e piccola e media industria, che sembra continuare ad assorbire manodopera. Ma che cosa determina la crisi recessiva? Mi pare riduttivo interpretare questa come conseguenza di una drammatica caduta dei margini di profitto. La ridotta profittabilità si verifica certamente in ragione della crisi, delle cadute della domanda e della produttività collegate al rallentamento produttivo; ma il calo dei margini è un effetto, un'ulteriore aggravente della crisi, più che la sua origine. Altrimenti non si riesce a spiegare perché l'inversione congiunturale si determina nel momento in cui i profitti sono elevati e la loro quota sul valore aggiunto al livellomassimo, appunto nel biennio 1988/89. L'innesco della crisi avviene non sul versante del commercio estero, che risente positivamente degli effetti di trascinamento dell'unificazione tedesca, ma da quello degli investimenti; le attese diventano fortemente negative al riguardo in coincidenza con l'invasione irakena del Kuwait (estate 1990). Si sviluppa in quei giorni una profonda sfiducia sulla capacità del nostro paese a porre riparo alle tante emergenze, che la caratterizzano (istituzionale, di finanza pubblica, per la criminalità). Le incertezze maggiori si sviluppano soprattutto in relazione al processo di integrazione europea; la distanza tra i nostri parametri e quegli obiettivi, che si vanno delineando, esplicita l'inadeguatezza del nostro quadro politico nel governare la transizione. E gli investimenti sono la variabile più sensibile ai cambiamenti del clima di fiducia e la più pesantemente colpita dall'incertezza; è anche la variabile che, determinando la capacità produttiva, ha maggiore impatto nel medio

.,P_tJ. BIANCO lXII.HOSSO _,, .• ,, .• periodo nel determinare l'andamento dell'occupazione. La crisi recessiva è crisi di sfiducia; i problemi degli anni delle vacche magre vengono quasi sempre dagli anni delle vacche grasse. E questo è senz'altro vero per la fase che oggi attraversiamo; durante il periodo di espansione economica non sono stati affrontati i nodi strutturali del nostro paese (elevata inflazione, perdita di competitività, debito pubblico fuori controllo, alto costo del denaro, mancata innovazione del prodotto); questo, unito all'incertezza sul quadro istituzionale e politico, diventa incertezza degli operatori economici e, quindi, fuga dagli investimenti. Atto secondo: la crisi peggiora e si trasforma Nel corso del secondo semestre del 1991 si registra un deciso appesantimento della situazione; continua il rallentamento produttivo; le imprese, che fino a questo momento hanno dovuto ricoprire carenze di manodopera ereditate dalla precedente fase di espansione, rallentano ulteriormente la domanda di lavoro. Diminuiscono i livelli assoluti dell'occupazione nell'industria (-2,4% nel 1991per i dipendenti dell'industria in senso stretto); continua molto forte l'espulsione della manodopera dalla grande industria; con tassi nel periodo gennaio-luglio 1992 pari al -4,8% rispetto all'analogo periodo dell'anno precedente, si hanno valori di riduzione netta doppi rispetto all'estate '91. Ma l'elemento di novità maggiore rispetto al recente passato è il sensibile rallentamento del terziario; sembra profilarsi un drastico ridimensionamento della capacità di assorbimento di questo settore. Incidono sia la ridotta espansione del valore aggiunto, che i probabili processi di ristrutturazione in molti dei comparti, con un calo dell'occupazione legato al recupero di efficienza. Si tratta di un fenomeno completamente nuovo rispetto all'esperienza italiana. Intanto nel corso del '92 un altro elemento negativo si somma ai precedenti; è il drastico rialzo dei tassi di interesse, in linea con l'aumento del costo del denaro in Germania e con il tentativo, poi fallito, di difendere il tasso di cambio della lira. In una situazione congiunturale già pesante, la crescita dei tassi reali costituisce un ulteriore aggravamento dei bilanci aziendali. Durante la crisi valutaria di settembre questo elemento rischia di 12 sfuggire di mano e si sfiora la crisi finanziaria; tassi di interesse sempre più elevati non servono a riportare la lira dentro la fascia di oscillazione, ma determinano oneri sempre più pesanti sull'occupazione; essi si traducono, infatti, in aumento delle crisi aziendali per le situazioni più esposte etaglio degli investimenti per le altre imprese. Atto terzo: quali prospettive per il '93? Le previsioni occupazionali per il 1993 scontano l'effettocombinato di due tendenze opposte; da una parte si ha, infatti, il permanere di una situazione congiunturalmente debole, rafforzata dagli effetti recessivi sui consumi e sugli investimenti della manovra di finanza pubblica. Per il prossimo anno infatti i maggiori centri di previsione non accreditano tassi di crescita del Pil superiori ali' 1-1,5%. D'altra parte si attendono dinamiche dei costi del lavoro, in particolare per unità di prodotto, particolarmente favorevoli.Se ne avvantaggeranno probabilmente di più i settori esportatori ed esposti alla concorrenza internazionale a causa della forte svalutazione della lira. Ciò si riflette sulle dinamiche attese dell'occupazione; nel '93 la crescita dei servizi, che ha tradizionalmente mantenuto il ruolo di settore «spugna», sarà in ulteriore rallentamento, anche in conseguenza dell'avvio di importanti ristrutturazioni. In termini relativi più favorevole appare la situazione nell'industria, dove dovrebbe rallentare il calo dell'occupazione dipendente (-1 %). Il saldo delle posizioni, in termini di occupati aggiuntivi, continuerebbe a risultare molto debole (+0,2%). Ma la crisi economica ed occupazionale non potrà essere superata, se non si ricostruiscono ragionevoli certezze; innanzitutto fiducia, che, chi rappresenta e governa il paese ai diversi livelli, non solo non abbia nulla a che fare con tangenti e mazzette, ma riesca ad emarginare chi è compromesso. E poi certezza di una strategia concertata di politica economica per uscire dall'ingovernabilità; l'accordo del 31 luglio ha determinato uno scenario di politica dei redditi che, per quanto da perfezionare, completare e portare a regime, è un passo importante di una strategia anti inflazione. Ma troppe timidezze e troppi pentimenti l'hanno finora depotenziato. Proprio l'emergenza occupazionale mostra, in-

.PJLBIANCO l.X1t nosso ilii•iiil•ii vece, che la concertazione va portata anche a livello decentrato; senza una svolta partecipativa nella gestione del mercato del lavoro, nel governo della mobilità e della formazione professionale, anche il rilancio degli investimenti e dello sviluppo economico rischia di emarginare fasce consistenti della forza lavoro, spiazzate dalla ristrutturazione. Tab. 1 Forze di lavoro (*) 1991(**) 1992 1993 Var. o/o Var. o/o Var. o/o Forze di Lavoro 24244 .4 24317 .3 24390 .3 Occupati Totale 21592 .9 21657 .3 21700 .2 Occupati alle Dipendenze 15479 .8 15532 .3 15563 .2 Occupati Autonomi 6113 1.3 6125 .2 6137 .2 Disoccupati 2653 -3.6 2660 .3 2690 1.1 Tasso di disocc. 10.9 10.9 11.0 (*) definizioni dell'indagine delle forze di lavoro Istat (**) le variazioni percentuali per il 1991 sono calcolate sui dati ricostruiti dall'Istat per il 1990 secondo i criteri introdotti a gennaio 1991 Tab. 2 Occupati Dipendenti (*) 1991 1992 Var. o/o Var. o/o Agricoltura 713 -3.9 706 -1.0 Industria s.s. 4373 -2.4 4299 -1.7 Costruzioni 1126 1.7 1131 .3 Serv. dest. vend. 5550 2.7 5650 1.8 Serv. non dest. vend. 4285 .8 4302 .4 TOTALE 16050 .4 16089 .2 Unità standard di lavoro - secondo la contabilità nazionale rivista Fonte: Monitor-Rapporto di previsione 2/1992 13 1993 Var. o/o 700 - .8 4256 -1.0 1131 .O 5729 1.4 4311 .2 16128 .2

__p_(L BIANCO l.XILROS50 Mii•MIMH Sanità: perché tanta polvere controlariforma? di Giuliano Cazzola a «riforma della riforma» prende corpo, riceve L una fisionomiapiù definita di quella tracciata dalle norme di una delega eccessivamente programmatica, aperta ad un arco di soluzioni non univoche. E già è iniziata, con un fragore assordante, la rivolta degli interessi lesi. In sostanza, si sta sollevando un grande, indecoroso polverone con lo scopo non già di migliorare lo schema di decreto, ma di non cambiare nulla, visto che l'equilibrio d'interessi realizzatosi in quel comparto dell'economia che è la sanità, richiede che tutto resti immutato, a scapito di una crescente spesa e di una perdurante inefficacia del servizio. Basta scorrere le righe dei comunicati infuocati che rimbalzano nei titoli dei giornali, per non trovare alcuna obiezione di merito, né proposte di modifica, ma soltanto anatemi conditi di un ideologismo di contrabbando, usato a copertura di piccole operazioni a tutela della bottega. Ecco allora che il «governo vuole smantellare la sanità pubblica», che «vuole aprire al privato», a fameliche assicurazioni pronte a succhiare il sangue dei nostri vecchi e dei nostri bambini. Ecco che si pretende di «tornare alle mutue» e soprattutto che si tenta d'instaurare un dualismo sanitario: una sanità pubblica per i poveri, una privata per i ricchi. In realtà, tutta questa confusione produrrà il peggiore dei risultati: o il fronte conservatore avrà la meglio bloccando sul nascere ogni proposito di innovazione e la sanità continuerà a marcire e a perdere ogni ulteriore credibilità agli occhi dell'opinione pubblica; oppure, in mezzo a questa impresentabile ed ingiustificata canea, il governo deciderà, di tenere duro e il decreto passerà senza sostanziali modifiche di cui pure ha bisogno. Infatti, non si può certo dire che lo schema di decreto delegato sia assolutamente immune da critiche, né che giovi alla sua causa l'appeal piuttosto logorato e scadente del ministro De Lorenzo, trovatosi immeritatamente al momento giusto nel ero14 cevia della riforma. Così, insieme ad un interessante disegno istituzionale imperniato sul decentramento, la responsabilità, il ricorso all'autofinanziamento da parte delle Regioni, ad un nuovo modello gestionale che valorizza la forma «azienda» e la direzione manageriale, ad un interessante criterio di remunerazione delle strutture e dei servizi conesso prevalentemente all'erogazione effettiva delle prestazioni, permangono piccoli sotterfugi a favore ora di questa ora di quella categoria medica, ora dell'industria farmaceutica, ora delle burocrazie ministeriali. Il «buco nero» del riordino consiste, però, nel tentativo d'introdurre {per chi lo desidera e per la durata di almeno un triennio) una forma d'assistenza indiretta che finirebbe inevitabilmente per ricondurre, nell'ambito della protezione pubblica, anche gran parte della spesa attualmente privata. Il cittadino, cioè, avrebbe la facoltà di curarsi dove ritiene opportuno, fuoriuscendo dal Servizio sanitario nazionale, facendosi rimborsare le prestazioni dallo Stato entro i limiti di un apposito tariffario. Tutto ciò si affiancherebbe al settore pubblico e alla sostanziale riconferma di un settore autorizzato o ex-convenzionato. È su questo punto che si sono concentrate le principali critiche delle organizzazioni confederali. Il passaggio opzionale all'assistenza indiretta non ha senso, è destinato ed aumentare i costi e a favorire veramente un livellodi tutela legato al reddito a spese dello Stato. Se questa proposta non è condivisibile, assai stimolante sembra invece quella, contenuta nello schema di decreto, relativa al sostegno di strumenti e forme d'organizzazione della domanda. Si tratta di un tentativo di rompere l'autoreferenzialità del sistema sanitario, conferendo ai cittadini non solo un diritto astratto alla salute, ma anche, loro tramite, un apporto di risorse alle strutture in grado di fornire prestazioni qualitativamente migliori, orientandone così l'attività.

.,P.tL BIANCO \XILROS&> Ml•Mlih ComelapensavostraEccellenza? Del pluralismoculturale teolcgioodei vescovi italiani di Giovanni Gennari bbiamo parlato, di recente, su queste pagine (n. 33), della situazione per cui nel silenzio A della politica italiana, in cui i partiti paiono in crisi profonda, e sembrano non trovare più le parole giuste per conservare il consenso, si verifica il fatto, singolare, che i vescovi italiani, e la Chiesa in genere, pare trovare invece maggiore ascolto e maggiore credibilità che in passato. Poche settimane fà, Gianni Vattimoha scritto, su «LaStampa», un articolo sui vescovi «nuoviintellettuali», cui ha fatto seguito una discussione animata, sui media. Contenti o no, i fatti dicono questo: oggi la gente non sente più i politici, in genere, neppure gli intellettuali, mentre conserva ancora attenzione, anche quando non concorda, verso le posizioni di uomini di Chiesa e di pensiero cattolici, ben distinguendoli dai politici e dagli intellettuali semplicemente democristiani, che partecipano in prima fila del discredito generale, anche ingiusto, che ha colpito politica e cultura ad essa legata. E tuttavia appare difficile, per l'opinione pubblica, percepire il fatto che anche dentro la Chiesa cattolica italiana non tutto equivale a tutto, non esiste un solo pensiero, per esempio in politica, e ci sono diversi orientamenti culturali, e anche religiosi, su numerose questioni che sono alla frontiera tra religioso e civile, e anche su questioni religiose che non sono definite dalla fede unica. Esiste, cioè, un pluralismo all'interno della Chiesa cattolica, anche ai suoi massimi livelli. Il cardinale Carlo Maria Martini, per esempio, arcivescovo di Milano, fa notizia e trova ascolto ben al di là dei confini della Chiesa. Eppure su tanti problemi il suo orientamento culturale, la sua visione della realtà, il suo modo stesso di indirizzarsi all'opinione pubblica sono profondamente originali, e personali, e del tutto diversi, per esempio, dalle corrispondenti posizioni e prospettive di altri 15 cardinali, per esempio del cardinale Giacomo Biffi, arcivescovodi Bologna. Penso, per esempio, alle recenti posizioni di ambedue sui mezzi di comunicazione, sulla Tv.A leggere i rispettivi documenti, scritti da Martini e Biffi, ci si trova di fronte a posizioni anche contrastanti, e la cosa non dovrebbe scandalizzare nessuno. E invece non è così. Per pigrizia mentale, per abitudine storico politica, per ignoranza effettiva di ciò che si muove dentro quella complessa realtà storica che è la Chiesa, in Italia si tende ad appiattire tutto ciò che è cattolico, e tanto più tutto ciò che è ecclesiastico, su una posizione unica, che nella stragrande maggioranza dei casi vuol dire trascurare parte, e spesso grande parte, della opinione cattolica. Non aiuta, certo, a questa opera necessaria di discernimento, il fatto che siamo l'unico paese al mondo in cui ufficialmente la Chiesa cattolica si è identificata, per vari decenni, con una unica formazione politica. Uno degli effetti più gravi di questa identificazione, ma solo uno, è la immediata valenza politica che i media cercano in ogni pronunciamento della Chiesa, spesso snaturandone i fini e i contenuti. È un regalo, pesante per la credibilità e per la verità della presentazione di Chiesa e Vangelo, della nostra storia recente. E allora in questo articolo sarà il caso di guardare un po' dentro la realtà della Chiesa italiana, per vedere come si articolano i suoi vertici, in Vaticano e sul territorio nazionale, in particolare i vescovi italiani. Chi sono? Cosa fanno? Come la pensano? Come si organizzano? Come si dividono, se ci sono differenze e divergenze anche tra loro? I numeri dell'Istituzione: dal Papa in poi - Cominciamo dai numeri. Il primo dei vescovi italiani è polacco. Giovanni Paolo Il, Karol - - . ·. ' . '.. ' ", . .~· ., , ... _ . ;

~-lLBIANCO lXILROSSO iliiiilillD CongressocostitutivoC.G.L. Milano:settembre 1906 Wojtyla, vescovo di Roma e Primate d'Italia, 72 anni, è nato a Wadowice, presso Cracovia. Gli altri circa 260 vescovi italiani, sono organizzati nella Conferenza Episcopale, detta brevemente Cei. Questa ha un presidente, nominato dal Papa, in Camillo Ruini, emiliano di Sassuolo (RE), 61 anni, già teologo e vescovo, organizzatore pragmatico ed efficiente, attento alla politica e ai rapporti di forza nella società. Segretario della Cei, invece, è Dionigi Tettamanzi, 58 anni, milanese, molto apprezzato dal Papa, già teologo e vescovo di Ancona. Per funzionare la Cei ha i suoi organi, e cioè il Consiglio di Presidenza, una specie del nostro Consiglio di Gabinetto, con 5 membri, il ComitatoPermanente, come il Consiglio dei Ministri, con 26 vescovi, le 10 Commissioni di lavoro, una specie delle Commissioni parlamentari, con 70 vescovi, e l'Assemblea Generale, come il nostro Parlamento, con tutti i 260 vescovi. Va tenuto presente, però, che nella Chiesa non c'è democrazia vera e propria, e che i vescovi discutono e votano in Assemblea, certo, ma i risultati valgono solo se e quando sono approvati dal 16 Papa, che li promulga e li pubblica solo se vuole, e non è mai tenuto a farlo. I vescovi, poi, governano le Diocesi, cioè le varie circoscrizioni ecclesiastiche, che sono circa 230. Le grandi città, con il vescovoprincipale, hanno anche alcuni vescovi aiutanti, detti ausiliari. In ogni Diocesi, poi, alle dipendenze dei vescovi, ci sono gli Uffici della Curia e le varie Parrocchie, che coprono tutto il territorio. In Italia le Parrocchie sono 26.000.A lavorare nelle Diocesi, sotto i vescovi, nelle Curie, nelle Parrocchie, e nei Conventi, ci sono attualmente 38.000 preti e 25.000 frati. Va tenuto conto, infine, che in Italia ci sono, al servizio della Chiesa e dei fedeli, in scuole, ospedali, ospizi, e altro, anche 140.000 suore. Le «correnti» dei vescovi italiani - Ma una volta dati i numeri, ci possiamo chiedere come la pensano, i vescovi italiani? Sono tutti e sempre dello stesso parere, o hanno vedute diverse, per esempio, sui rapporti con la politica e con i partiti? È noto, per esempio, che il cardinale

.{)-l.L BIANCO lXILROS.SO Mi•Mil•d Ruini ha molto insistito, prima del 5 aprile, sulla unità politica dei cattolici, e cioè in fin dei conti sul voto alla Dc, ma che ha incontrato anche tra i vescovi, e non solo tra i fedeli elettori, parecchi dissensi, anche pubblici. La verità è che tra i vescovi ci sono diversità di sensibilità teologica e pastorale, sociale e politica, con varie posizioni sui grandi temi, per esempio sulla valutazione del Concilio Vaticano II, che è stato il grande incontro dei vescovi cattolici promosso prima da papa Giovanni XXIIIe poi da papa Paolo VI tra il 1962 e il 1965, e che ha cambiato tanto, per qualcuno quasi tutto, nell'atteggiamento della Chiesa cattolica verso il mondo, verso la politica, verso la pace, verso i protestanti, verso gli ebrei, e così via ... E allora azzardiamo una descrizione sommaria, e quindi talora solo indicativa e imprecisa, delle diverse tendenze presenti oggi tra i vescovi italiani. Per farlo utilizziamouno schema artificiale, preso con qualche ingiustizia dalla politica, e perciò parliamo di Centro, di Destra e di Sinistra, con varie sfumature al loro interno. a) Al Centro, e forse è meglio chiamarlo Centrodestra, c'è un nutritissimo gruppo di vescovi, attorno al presidente Ruini. Sono i vescovi congeniali in tutto al programma del Papa, e alla attuale guida della Cei, e cioè coloro che vogliono una Chiesa più presente e più forte, una vera «forza sociale» efficace anche sul piano delle leggi e del costume pubblico. Perciò questo gruppo guarda alla Dc come unica garanzia dei valori cattolici. Esso ha l'appoggio, potente, del Papa e del Sostituto della Segreteria di Stato, Giovanni Battista Re, bresciano di 58 anni, l'uomo forte della Curia vaticana. A questo gruppo appartengono il cardinale di Napoli, Michele Giordano, un lucano di 62 anni, quello di Torino, Giovanni Saldarmi, milanese di Cantù, 68 anni, e quello di Genova, Giovanni Canestri, di Alessandria, 74 anni. Tra i vescovi si segnalano gli stretti collaboratori di Ruini, e perciò il segretario della Cei, Tettamanzi, e poi Salvatore De Giorgi, leccese di Vernale, 62 anni, incaricato di seguire l'Azione Cattolica italiana, mezzo milione di iscritti, punto chiave della strategia ruiniana. Ci sono poi Cesare Nosiglia, genovese, 48 anni, ed EnzoDieci, di Sassuolo (Modena), 58 anni, ambedue ausiliari di Roma. Può aggiungersi Giuseppe Matarrese, barese, 57 anni, vescovodi Frascati, e fratellodel presidente della Federcalcio. Con questi anche Sergio Goretti, 17 umbro di Città di Castello, 63 anni, vescovodi Assisi, e Attilio Nicora, lombardo di Varese, 55 anni, vescovo di Verona, e forse futuro successore, a Venezia, del cardinale Marco Cé, per altro ancora lontano dall'età della pensione, che per i vescoviarriva a 75 anni ... Enaturalmente ci sono molti e molti altri, nel gruppo nettamente di maggioranza. b) Sulla Destra del Centro può collocarsi il cardinale di Bologna, Giacomo Biffi, milanese, 64 anni. È la versione dura e poco diplomatica del disegno del Centro, e non ha paura di strapazzare i bolognesi e gli emiliani e i loro costumi. È il leader dell'ala della Chiesa italiana vicina a Comunione e Liberazione. Con lui ci sono anche un gruppetto di vescovi di media età, tra i 50 e i 65: Angelo Scola, milanese di Melgrate, 51 anni, vescovo a Grosseto, già teologo principale dei ciellini; Alessandro Maggiolini, milanese di 61 anni, arcivescovo di Como; Girolamo Grillo, calabrese di Tropea, 62 anni, vescovo a Civitavecchia, e altri. Oggi i vescovi filociellini sono in qualche difficoltà: in alto non piace la versione «sbardelliana» del loro braccio politico, il Movimento Popolare. c) C'è anche, sebbene conti poco, la Destra vera, che una volta aveva come leader il cardinale di Genova, Giuseppe Siri, oggi defunto. È la corrente dei tradizionalisti, che si opposero invano alla novità di Giovanni XXIII e del Concililo, e che avrebbero visto con piacere che lo scisma di monsignor Lefébvre, consumatosi nel 1988, non fosse avvenuto, per poter continuare la battaglia per il ritorno ai tempi passati, del «muro contro muro», di una Chiesa schierata anche con i dittatori, purché fosse mantenuto l'ordine. Oggi questo gruppo, pur riscuotendo simpatie in Curia, non ha praticamente aderenti, tra i vescovi italiani. In Vaticano ci sono, tuttavia, un paio di cardinali ormai in pensione, come l'estroverso Silvio Oddi, piacentino, 82 anni, o il silenzioso Pietro Palazzini, marchigiano, 80 anni, che non hanno mai nascosto le loro simpatie per i tempi di Pio XII, o addirittura per quelli del Papa re, come per esempio Pio IX (1836-1878). d) E arriviamo al Centro-sinistra, che si qualifica per l'atteggiamento positivo nei confronti del Concilio Vaticano II e della sua eredità, e per la

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