,P_fLBIANCO lXILROSSO iliAMCilld ta la leadership del partito perdente in modo che il partito antagonista possa essere affrontato a livello nazionale e/o a livello locale un'altra volta con armi nuove). Oltre tutto non è affatto provato che un sistema elettorale, nella specie il collegio uninominale (a unico turno), provochi il ricambio: lo provoca o lo può provocare se si coniuga e si applica a un sistema politico bipolare. 2. Se così è, il problema delle riforme elettorali e istituzionali non consiste né nell'evitare i referendum, né nel determinare la «successione» generazionale: la richiesta dei primi e l'assenza della seconda non sono altro che riflessi della anomalia di funzionamento del sistema politico italiano. La storia si fa con i «se», contrariamente a quel che vuol far credere la storiografia crociana (per la quale tutto ciò che è reale è razionale). Taleanomalia non è imputabile né alla Costituzione repubblicana, né alla «proporzionale» (scelta nel 1919, semplicemente confermata nel 1946 e ratificata di nuovo all'Assemblea Costituente): a) il passaggio alla proporzionale (1919) in sequenza al suffragio universale, non a caso mantenuto a collegio uninominale all'atto del suo avvento (1912), fu più di interesse del «polo» cattolico nascente (il P.p.i., 1918), che del «polo» socialista, il primo e il prevalente fra i partiti organizzati (la scissione di Livorno non sarebbe avvenuta prima del 1921): «se», come allora in Gran Bretagna, il suffragio universale si fosse accop'piato anche in Italia alla conservazione del collegio uninominale (magari reso a unico turno, anziché doppio), i due «poli» maggiori o addirittura esclusivi sarebbero stati (nel dopoguerra) il liberale in senso lato e il socialista (con o senza repubblicani e radicali), con l'onere per i cattolici-popolari o di confluire, separandosi, in entrambi gli schieramenti o di restare subalterni nell'alleanza con l'uno o con l'altro o di sostituire, prima o poi, il «polo» liberale (non certo quello socialista); b) la carta costituzionale, con il suo esplicito regime parlamentare e col suo formale agnosticismo in materia elettorale, e la legge proporzionale nuovamente applicata non hanno favorito la bipolarizzazione del sistema politico italiano, ma di sicuro non l'hanno impedita. «Se» il «polo» di sinistra si fosse caratterizzato prevalentemente come «socialista» e non come «comunista» (il Pci è diventato il maggior partito dopo la scissione socialista del 6 gennaio 1947), cioè se non fosse stato privo di legittimazione finché avesse continuato a definirsi in tal modo, cioè per oltre quarant'anni (la e.cl. conventio ad excludendum non è stata altro), il sistema politico italiano avrebbe potuto essere bipolare, pur con la Costituzione e la proporzionale. 3. Il problema delle riforme istituzionali ed elettorali non consiste neppure nell'andare alla scoperta della miglior forma di governo (che non esiste) e del miglior sistema elettorale (che non esiste), né, ancor meno, nell'inventare col genio italico - dopo due secoli di storia costituzionale - nuove forme di governo, combinate con nuovi sistemi elettorali, per il XXIsecolo e per il terzo millennio. L'elezione popolare diretta del Primo Ministro, per esempio, è una vecchia idea del prof. Galeotti, accolta o subita dal prof. Miglio nel gruppo di Milano nel 1983 fors'anche per non restarvi solo, presa in considerazione già allora con lui dal prof. Barbera e dal medesimo trasferita poi nel Pci-Pds alla ricerca di contromisure da opporre al presunto autoritarismo del presidenzialismo socialista e teorizzata come «democrazia immediata» (invero inesistente ché la democrazia è diretta o rappresentativa) attraverso un'estrapolazione dal prof. Duverger. Eppure in Francia la scienza del diritto pubblico non possiede il rigore dogmatico tedesco, né la scienza politica la accumulazione empirica anglossassone, e, in particolare, i costituzionalisti francesi, reputando il Paese al centro del mondo, hanno dato o sogliono dare una definizione del loro regime (e una classificazione universale dei regimi) che risulta diversa non solo per ogni loro riforma costituzionale, ma anche per ogni riforma elettorale e, addirittura, per ogni mutato esito elettorale. Altrettanto inesistente, in diritto costituzionale e in scienza politica, dunque in storia delle istituzioni (che ne è l'uso diacronico), appare la categoria della «democrazia dell'alternanza», sponsorizzata dai giuristi comunisti nostrani al fine di definire in negativo la anomalia suddetta imputandola alla presunta conventio ad excludendum per non doverla attribuire a una carenza di legittimazione, che, secondo loro, si stava protraendo troppo a lungo per essere solo la caratteristica comune di ogni organizzazione politica sorta in opposizione all'assetto in atto (cattolici versus liberalismo, socialisti versus capitalismo, repubblicani ver-
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