Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 34 - novembre 1992

~.tLBIANCO '-.XILROSSO ii id 11i I iN#■tl lt4 (i)ij i Elezionedirettae doppio turnouninominale di Stefano Ceccanti Una riforma istituzionale incisiva coinvolge diversi temi, un regionalismo di ispirazione federalista, il superamento del bicamerismo perfetto, la riforma della pubblica amministrazione che dia ad essa trasparenza ed efficienza. Si tratta di temi che però appaiono già terreno sostanzialmente consensuale. È il nodo elettorale (e le relative connessioni con la forma di Governo) quello su cui c'è bisogno di trovare un'intesa di alto profilo. Per passare ad una democrazia improntata al principio maggioritario, non è adeguata la soluzione del premio di maggioranza che si limita solo a realizzare una correzione su un impianto che resta proporzionalistico che lascia i partiti inalterati costringendoli solo ad apparentarsi tra di loro. I mali del sistema verrebbero collocati nell'instabilità delle coalizioni o comunque solo in un eccesso di litigiosità tra i partiti e non anche all'interno di essi, nel rapporto distorto tra ciascun partito ed il proprio elettorato. Sia ricorrendo al voto di lista in grandi circoscrizioni, sia con l'uso del collegio uninominaleproporzionale sul tipo di quello del Senato, manca il rapporto diretto elettori/eletto e si conserva di fatto un sistema correntizio e lobbistico. Non basterebbe poi a garantire l'autorevolezza dell'esecutivo rispetto ai partiti un Cancelliere che potesse essere eletto (in seconda votazione) con la maggioranza relativa (quindi di norma espressione del partito di maggioranza relativa). Esso sarebbe prigioniero di partiti e correnti della sua coalizione, senza dei quali non disporrebbe di una reale maggioranza parlamentare. Escludendo il premio di coalizione fra liste apparentate, peraltro sconosciute da altre democrazie, resta allora la via maestra del collegio uninominale maggioritario. Di esso vanno sottolineati due aspetti: anzitutto la semplicità del meccanismo, il criterio per cui chi vince, vince fino in fondo, obbligando l'opposizione a concorrere non per po59 sizioni subalterne e consociative. In secondo luogo lo stretto raccordo col territorio che spinge ad una rappresentanza generale del territorio stesso tagliando così in orizzontale gli interessi settoriali. Nel nostro Paese l'uninominale è stato in vigore in tempi di suffragio ristretto, di una democrazia non ancora stabilizzata ed aperta ai ceti popolari, pertanto su esso si riverberano miti di segno opposto che sono legati non alla realtà dell'uninominale, ma a quella del suffragio ristretto. C'è chi profetizza il ritorno al notabilato e la fine dei partiti popolari, ma niente di tutto questo si trae dall'esperienza di altri Paesi: dove c'è l'uninominale accompagnato dal suffragio universale i partiti svolgono un ruolo importante solo che diventano più responsabili. Al contrario il sistema delle preferenze che vige oggi per la Camera e che, anch'esso, non ha riscontro in nessuna altra grande democrazia, è in realtà il massimo di distruzione dei partiti come forze dotate di un minimo di coerenza programmatica ed il massimo di espansione del moderno notabilato, quello che realizzano singole personalità collegate a «comitati elettorali» e alle lobbies, disponibili a favorire congegni personali spesso di costo elevato. L'uninominale non favorisce, inoltre, nessuna soluzione partigiana rispetto ad un'altra: si è certo avuto un decennio thatcheriano in Inghilterra, ma con quello stesso sistema il Labour Party nell'immediato secondo dopoguerra, col Governo Attlee ha decolonizzato l'impero, ha nazionalizzato banche e industrie pesanti e ha dato vita ad un modello di welfare che ha funzionato ottimamente per decenni. Con l'uninominale a doppio turno vi è stata un'egemonia moderata in Francia fino al 1981, ma poi grazie ad esso hanno potuto governare anche le sinistre. Vi sono tuttavia due problemi da tenere presenti e che consigliano cautela sulla scelta dell'uni-

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