Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 34 - novembre 1992

politica pragmatica e liberista del socialismo spagnolo sono tutti fenomeni e processi indipendenti dalle vicende del comunismo. Se questo è vero per tutta l'Europa, e cioè che il crollo del comunismo ha inciso limitatamente nella crisi del socialismo, perché non dovrebbe essere vero anche per l'Italia? Anche in Italia la crisi del socialismo ha cause proprie, endogene che sono in parte comuni con quelle del socialismo europeo, in parte sono domestiche, italiane. Ma messe insieme esse costituiscono fattori reversibili: un'opera di riforma e di rinnovamento può restituire al socialismo italiano forza di espansione, capacità di attrazione, spazi e consensi. Ecco la mia seconda conclusione. Il socialismo italiano non è una «etichetta scaduta», come non lo è quello francese o tedesco o inglese o spagnolo. La nostra crisi è forse più grave ma non è qualitativamente diversa. Lo dimostro con una ipotesi a contrario. Se socialisti e comunisti, dopo il crollo del muro di Berlino si fossero riavvicinati, uniti nel nome dei comuni valori del socialismo democratico, oggi avremmo in Italia una sinistra, un movimento socialista forte e in ascesa come forse in nessun altro paese europeo. E non formulo una ipotesi astratta si coelum dito tetigeris - poiché l'unità dei due partiti, una volta che erano caduti i motivi seri della divisione, era, sarebbe stata, sarebbe dovuta essere un'operazione naturale, nell'interesse dei due partiti e della sinistra nel suo complesso. E allora la specificità italiana va individuata nella specificità, diciamo nella cecità o nell'incapacità dei gruppi dirigenti. E se su questa realtà deprimente ci mettiamo un'altra etichetta: «alleanza democratica», «nuova sinistra» e simili, il prodotto resterà «scaduto».Perciò invece di inseguire l'illusione che con le etichette risolviamo i problemi, cerchiamo di capire quali sono i fattori della crisi e applichiamoci a cercare i rimedi. Se lo faremo ci accorgeremo che ciò che non va nel socialismo italiano sono i gruppi dirigenti, mancano le idee e i programmi, si è spenta la tensione etica. Eppure, c'è tanto bisogno di una forza riformista, pulita, capace di aggregare forze e proporre programmi di risanamento sociale ed economico del paese e soprattutto di elaborare un disegno di riforma istituzionale e battersi coerentemente per es- ~JtBIANCO '-X-IL ROSSO iit•®ilil so. Torna l'antico detto di Turati: che bella cosa il socialismo,peccato che ci siano i socialisti. Ma gli uomini possono e debbono cambiare, il socialismo può e deve vivere e per vivere può e deve rinnovarsi. Vorrei allargare il discorso e trarre una terza conclusione. Qual'è la differenza tra sinistra e socialismo? È un punto importante altrimenti non si capisce che cosa può cambiare abbandonando il socialismo per andare verso una nuova sinistra. Quando poniamo questa questione noi ci imbattiamo in una pregiudiziale che occorre sgomberare per procedere con il nostro ragionamento, ed è l'affermazione così diffusa che oggi sono sparite le differenze tra «destra» e «sinistra». Credo di capire o per lo me36 no debbo supporre che chi considera il socialismo italiano una «etichetta scaduta» neghi implicitamente la teoria della omologazione tra «destra» e «sinistra». Altrimenti, a che pro' cambiare, se la sinistra non c'è più. Ora io sono socialista perché sono di sinistra. Mi spiego: ragazzo mi sono rivoltato contro le ingiustizie, contro lo sfruttamento, contro i privilegi; ho creduto che bisognava cambiare la società, dare voce e potere ai diseredati, garantire la libertà a tutti. Ben presto ho realizzato che le mie proteste e le mie aspirazioni erano nei programmi e nelle lotte sociali e politiche del movimento socialista. Oggi mi sembrerebbe insensato dichiarare il socialismo superato e confermare la mia adesione alla sinistra. Chiarisco: credo che chi sostiene che non c'è più differenza tra destra e sinistra affermi implicitamente che la storia è finita: è un allievo, consapevole o no del «teorico» Fukujama che ha avuto un gran successo dopo il crollo del comunismo e del quale non si parla più. Fine della storia perché la sinistra è una categoria della storia, anzi dello spirito, è la spinta al cambiamento, la speranza di un mondo migliore, l'utopia, la rivoluzione, la riforma, è la giovinezza del mondo. Senza dialettica tra conservazione e progresso, tra essere e dover essere, saremmo ancora all'età delle palafitte. La teoria del cambiamento e la conseguente lotta per realizzare un mondo migliore sono stati nel nostro mondo il socialismo e il movimento socialista. Poiché il mondo nel quale viviamo è, anche se in modo diverso rispetto al passato, ingiusto, non libero; poiché guerre, odi, discriminazioni, oppressioni, privilegi, fame, razzismo,povertà, criminalità, inquinamento popolano la nostra terra, la battaglia della sinistra è tutt'altro che superata. Possiamo chiamarla con tanti nomi, anche «pinco pallino»: io preferisco chiamarla socialismo perché storicamente è il movimento socialista che l'ha condotta con risultati tutt'altro che disprezzabili, perché non vedo in giro un nome più significativo, una bandiera più gloriosa, perché questo grande patrimonio ha solo bisogno di essere rinnovato e riabilitato dallo scempio che di esso hanno fatto persone, dirigenti che ne hanno usurpato il nome. E perché nelle «novità»mi pare di vedere anche ambizioni personali e spirito di rinuncia.

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