Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 34 - novembre 1992

vitabilmente stagnazionista e pauperistico, la tradizione revisionista ha tentato una redifinizione del socialismo come risposta ai punti alti dello sviluppo, come opzione di società colte e sviluppate: non più socialismo o barbarie ma la riforma socialista come possibile torsione, delle possibilità offerte dallo sviluppo, in senso redistributivo e perequativo. Sia detto per inciso: per questa ragione il riformismo ha ritenuto sempre insensata la disputa sul superamento o meno del capitalismo. Il riformismo ha i>lL BIANCO lXILROSSO i•Xi®hOI affermato una visione della «democrazia del benessere» che non può essere ridotta agli schemi keynesiani o neocapitalistici. I.:effettoredistributivo in senso di diffusione delle chances di vita e di realizzazione, cioè la redistribuzione di diritti (e non solo di reddito) come opportunità offerta da uno sviluppo espansivo dell'economia e della società è una componente decisiva di una coerente cultura riformista. Tra gli anni trenta/quaranta questa cultura ha prodotto, nell'incontro con il riformismo liberaldemocratico e cristiano l'edificio del Welfare State. Nell'epoca attuale, a partire da nuovi contenuti e condizioni, la strategia socialista di una società ecologica, riorganizzata nei tempi di lavoro, caratterizzata dalle pari opportunità per uomini e donne, multietnica e solidale è una nuova frontiera di quell'orizzonte mobile cui si è racchiusa la strategia della cittadinanza. Primadi passarelamano il Pdssi unisca l Governo ggi è di scarso interesse affrontare la questione socialista in Italia, semplicemente sul piano della teoria politica. o Più che di questione socialista in Italia dovremmo parlare dell'esperienza «socialdemocratica all'italiana». Dovremmoparlare del sistema consocia - tivo che ha retto il governo del paese per quasimezzo secolo, senza ricercarne la teoria o l'ideologia prevalente che l'ha ispirato, ma valutarne pragmaticamente i risultati constatando, proprio ora che il regime è alle corde, che le politiche sin qui perseguite erano forse quanto di più a sinistra possibile, in un paese capitalista, per evitare di scivolare nel socialismo reale. Si è infatti verificato il paradosso, di un Paese occidentale in cui governi non dichiaratamente pro labour hanno progressivamenterealizzalo, salvo qualche parentesi, una sostanziale politica laburista paragonabile alle socialdemocrazie europee. Si è avuto come risultato una importante collocazionefra i paesi più industrializzati di CarloStelluti del mondo, la diffusione di condizioni di vita dignitosa, la creazione di uno stato sociale, di ammortizzatori sociali e di assistenza sicuramente importanti. Ciò non significa che non permangono forti squilibri fra Nord e Sud, sacche di emarginazione e di povertà, gravi disfunzioni ed inefficienza dello stato sociale; significa piuttosto che la politica di questi anni è stata la risultante di due direttrici. La prima basata su un'economia scarsamente governala dal potere politico, lasciata alle decisioni di poche potenti famiglie, che ha generato un'imprenditoria viziata e abbondantemente sovvenzionata dallo Stato. La seconda basata su interventi di sostegno, in taluni casi demagogici, tesi a correggere ed a coprire le conseguenze sociali delle libere scelte imprenditoriali ed a sedare le proteste di piazza. Le componenti popolari, presenti sia al governo con la tradizione democratica cattolica e socialista, sia all'opposizione con quella comunista, hanno realizzato di fatto un'alleanza nella creazione di uno Stato, che se da un lato accolse e sostenne le logiche dell'impresa, dall'altro divenne 33 promotore di sostegno al «sociale».Nei primi anni della Repubblica, fu questa una giusta attenzione, che favorì lo sviluppo, ma degenerò ben presto in forme ingiustificate di finanziamento e di assistenza, con l'uso dello Stato come strumento clientelare per l'acquisizione del consenso partitico. Questo metodo è stato tollerato da tutti, in cambio della sostanziale lealtà occidentale e della possibilità di dar vita ad un sistema economico, in verità molto «liberal», con sicure facilitazioni, protezioni, nicchie fiscali e stato sociale diffuso. Il patto ha infatti progressivamente coinvolto tutte le parti sociali ed ha retto finché non è cambiato l'elemento primario dello scenario internazionale con la «caduta del muro» e finché non solo stati raggiunti i limiti delle disponibilità finanziarie del bilancio pubblico. Si sono in sostanza ridotte le capacità redistributive dello Stato, non solo e non tanto per mancanza di risorse, quanto per una loro cattiva finalizzazione e per un aumento spropositato dei clienti. Questo modo di governare è sostanzialmente finito. La discrasia esistente fra le enunciazio-

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