per il deterioramento collettivo del modo di far politica, l'ultimo apprezzamento è venuto meno, e non vi è altra strada per recuperare il terreno perduto che quella di costruire un modello di partito impermeabile al malaffare, controllato democraticamente dai militanti e non gestito ai vari livelli in modo verticistico e autoritario. Ma si tratta pur sempre di ricostruire, rifondare, una forza socialista e di sinistra, non già di mettere da parie il socialismo come cosa vecchia e pensare ad altre cose, quali non è molto chiaro. Quando in Francia la Sfio era giunta al lumicino, Mitlerrand e tanti altri hanno ridato vita a un nuovo partito socialista, completamente rinnovato, non a una formazione di diverso tipo. In un orizzonte europeo - che comprende anche l'Italia, a patto che il suo socialismo sappia rinnovarsi - credo che i partili socialisti e socialdemocratici debbano compiere un serio sforzo per adeguare politiche e programmi a una società in rapida trasformazione, col fine immediato di contrapporsi al neo liberismo e alla sua «ideologia del mercato» (che è cosa radicalmente diversa da una pratica corretta dell'economia di mercato) difendendo un Welfare State che è sì una realtà nei Paesi dell'Occidente (come osserva la «traccia di riflessione generale» che introduce questo dibattilo),ma una realtà parecchio insidiala (si pensi alla Gran Bretagna), in ogni caso da aggiornare eliminando sprechi ed economizzando risorse, ma senza cancellarne i connotali fondamentali, quelli che fanno la società europea profondamente diversa dalle società statunitense o giapponese. È solo questo il compilo del socialismo del futuro? No di certo, basta pensare a questioni «nuove», come quella dell'ambiente (ed ecco un tema specifico sul quale sono possibili vaste alleanze «trasversali»);ma io vorrei evocare soprattutto il grande tema, tipicamente socialista anche se non esclusivamente socialista, della solidarietà. Qui ritrovo la mia esperienza quotidiana di sindacalista chiamato a dirigere una grande organizzazione internazionale, e dal mio osservatorio posso cogliere la straordinaria, lacerante contraddizione di questomondo del posi comunismo che non riesce a tradurre in realtà le speranze che erano maturate con la caduta del muro di Berlino. {)lL BIANCO l.XILROSSO iit•®hitl Filippo Turati ventenne (1877) Si era detto che, tramontata la «guerra fredda» risorse immense utilizzale per rendere sempre più potenti e distruttivi gli arsenali militari dei due blocchi potevano finalmente essere riciclate a favore di un più equilibrato sviluppo mondiale, di un graduale superamento dello squilibrio fra il Nord e il Sud del pianeta. Ma nulla di simile per ora è avvenuto, né accenna ad avvenire, e ne sanno qualcosa proprio i governi e i popoli dei Paesi ex comunisti, ai quali si offre la prospettiva di un «capitalismo selvaggio» piuttosto che di una solida democrazia. E non parliamo dell'Africa e delle drammatiche condizioni di povertà in vaste aree dell'America Latina. Quando più sopra ho parlato di carenza di socialismo anche fra i socialisti, pensavo in particolare a questo tema della solidarietà, sempre evocalo ma poco e male praticato da «socialismi» spesso allenti ai fatti e fatterelli di casa loro più che agli altrui drammi sociali ed umani. Ecco, non vorrei che il giusto superamento di una visione classista si traducesse nell'accettazione più o meno dichiarala di un tipo «elitistico» di società, non tanto nelle rispettive «patrie» quanto rispetto alle aree più deboli e più povere sparse nel mondo: aree esterne che tuttavia ci giungono in casa con gli emigranti che premono ai confini del «doralo occidente» cercando di sfuggire a un destino di miseria e di fame. Credo di poter concludere proprio in questa chiave. La solidarietà è oggi un pun27 lo di riferimento essenziale, penso il più importante, per dare smalto e credibilità a un movimento socialista che sappia tenere il passo coi tempi senza rinunciare a un suo specifico ruolo. Se il crollo del comunismo ha condotto con sé il crollo dell'ideologia «rivoluzionaria» sul cambiamento globale della società, l'esistenza e la «buona salute» del socialismo sono viceversa necessari per rendere concreta la prospettiva riformista di un'evoluzione verso una società più equa ed egualitaria, di un ordine economico mondiale più giusto e anche più razionale. Infatti, una solidarietà correttamente intesa non è soltanto un imperativo etico, è anche una precisa opposizione politica ed economica, perché i Paesi poveri non hanno bisogno di carità, ma di aiuti veri allo sviluppo; e i Paesi ricchi hanno bisogno di più scambi, di mercati più vasti, insomma di un benessere più diffuso. Ho parlato di queste cose a Caracas, in occasione del Congresso della Confederazione Internazionale dei Sindacati Liberi; ho ripreso recentemente l'argomento a Casablanca, discutendo con i nostri associati africani. Qui mi limito a dire che proprio occupandosi più a fondo di questa materia, che richiede un serio sforzo di approndimento economico non meno che una forte carica di passione, di «eticità», un socialismo rinnovato può caratterizzarsi, a mio avviso, come una forza motrice essenziale in una società democratica e pluralistica. Anche in Italia, naturalmente, dove si dovranno scontare le conseguenze di colpe e di errori, ma dove una tradizione socialista di tutto rispetto - pensiamo a Turati, a Buozzi, a Rosselli; pensiamo a Nenni, a Lombardi, a Pertini - ha grandi possibilità di recuperare la fiducia della gente. Anche andando controcorrente, naturalmente, opponendosi ai fenomeni diffusi di egoismo, di corporativismo, talora di razzismo, ritrovando il gusto di educare, di convincere, di far comprendere che essere solidali è una cosa giusta, una cosa bella e anche una cosa intelligente. Il riferimento all'Internazionale Socialista, l'organizzazione che ha avuto fra i suoi massimi esponenti WillyBrandi, può essere un buon avvio per il rilancio in Italia di una realtà socialista valida, incisiva, restituita a un grande rigore morale, disponibile a confronti e alleanze, ma gelosa della sua identità e del suo ruolo.
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