Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 34 - novembre 1992

1)1), BIANCO '-XILROSSO iit•®ilil Controil nuovoMedioevo unsocialism«onuovo» - I grandi fenomeni che dal 1989vanno accompagnando l'evolversi (o l'involversi?) delle società europee sembrano più inclini ad iscriversi in un cerchio che in un quadrato. E dove sinistra, socialismo, socia!- - democrazia, ex comunismo, si stemperano alla soglia di nuove formule. Anzi, meglio nuove esistenze. Come sappiamo, nella sua forma grafica il cerchio appare molto più «spaziale» del quadrato, non avendo, nel contempo, «opposizioni» di angoli, di spigoli, di parallele, di perpendicolari. Elementi che in termini socioeconometrici sottintendono equiparazioni e comparazioni fra ideologie diverse. La socialdemocrazia svedese poco o nulla ha a che spartire con quella spagnola e quella italiana è ben distante da quella tedesca. Eppure per anni, si può dire per decenni, l'afflato ideologico dello Stato sociale ha accomunato disuguaglianze così clamorose. È che alle spalle delle disarmonie suppliva la forza ideologica, il bene o l'obiettivo comune, del riformismo, del togliere al «terzo» per dare ai «due terzi». E tuttavia, nel quadro, dagli anni '50 alla fine degli '80, premeva un'ansia forsennata, angosciosa di dicotomie che sapevano di contiguità così divaricate, di ricorrenti utopie illiberali, inique, prima che incongrue sotto il profilo politico. Dopo che l'Europa del «quadrato» si avvia ad assumere l'immaginario del «cerchio», c'è da chiedersi quali proiezioni essa abbia da accendere e da esaltare. Il riformismocui si è votata la socialdemocrazia, e in Italia la quota più avvertita del socialismo,sembra aver fatto il suo tempo. Almeno, nella direzione di stabilire un esperanto socio-politico,salvacondotto per ogni stagione. Difformemente andrebbe assecondata la strategia di una riallocazione della «politic energy» nella spazialità più di Carlo Ciliberto che nell'ideologia. Ebbene se proprio di spazialità occorre parlare, va subito notato che da essa provengono i segnali più interessanti e più inquietanti di questo decennio. Da nord a sud, da est ad ovest. Il rimescolamento di carte e di popolazioni, di regimi e di economie, di exodus e di conservazione, fino alle ultime espressioni di fastidio e di intolleranza, cela una riflessione che va al di là delle formule consuete. In un momento - è opportuno tenerlo a mente - in cui i «due terzi» assumono comportamenti a riccio, di più avida conservazione, rispetto alle crescenti istanze di omologazione da parte delle invadenti diversità etnoeconomiche. Se si muovono fermenti di mutazione, di epoca, degni di rivoluzionare gli assetti precedenti, sarebbe miope non assecondarne più che la domanda, piuttosto il tipo di richiesta. Non siamo più davanti ad una popolazione stratificata, stanziata etnicamente sul territorio, quanto ad una migrazione che sovverte equilibri, secolari. Rispetto al passato, al nostro passato, prima dell'emigrazione d'oltreoceano dei primi anni del secolo e successivamente di quella dal Sud al Nord del Paese e dell'Europa, ambedue responsabili di aver stravolto molte parti del Paese e quasi l'intera area del Mezzogiornoe delle isole italiane, quella attuale si differenzia perché il «viaggio» è diventato più «piccolo», cioè più universale. Acquisendo consapevolezza e capacità di comunicazione. Serbo sempre nella memoria l'approccio Nord-Sud di Gramsci nell'auspicio di mandare a braccetto gli operai del nord ai contadini del sud. Utopia felice, ma ahimè rimasta allo stato di crisalide, i secondi essendosi lasciato alle spalle della propria valigia di fibra lari e penati (non più, o non tanto più, redenti); e gli altri, industriali ed 25 agrari, ad appropriarsi di un ampio differenziale di locupletazione. E Io Stato? Prima corrivo e imbelle, e successivamente, divenuto, meglio ridivenuto, nei decenni, invece che «sociale» ed equo ridistributore di risorse e di equità, un parcellizzatore, un volano di favori e di privilegi. Quando osservo gli extracomunitari che affollano i nostri marciapiedi e le nicchie del lavoronero, e le giovani polacche o russe che vanno ad aggiungersi nelle case della borghesia alle filippine, nutro speranze per una società polietnica, multirazziale. Quali sono le domande o le richieste, le petizioni e i desideri di questi nuovi conterranei che vanno a numerarsi agli indigeni? Interrogativi che rimandano, e spero non per molto, ad una risposta di cultura e di solidarietà. Ma è sufficiente auspicare l'una e l'altra? No, di certo. Occorre quindi confezionare una nuova ideologia che «riformi»noi e loro in una simbiosi di più alta e soprattutto più proficua convivenza. Deriva da queste riflessioni contingenti il quadro di una nuova filosofiapolitica spaziale. Dal villaggio di McLuhan, preannunciato da mille ed una cometa nell'inferno più che nel cielo, si sprigiona un filo di Arianna che, questo sì, propende ad omologare i diversi popoli d'Europa, ed in particolare quelli italiani. Proprio in questa svoltadove si misurano insofferenzerazziali e disparità economiche, si può formulare una strategia socialista di stampo nuovo. Al quesito, dunque, se debba insorgere del socialismo una costruzione tutta nuova, rispondo affermativamente. E non tanto per il fallimento in specie in Italia dei codici consueti, quanto perché la morte delle ideologie postula, necessariamente, la nascita di nuove. «Il re è morto, evviva il re». Se questo dunque è lo scacchiere insieme fisico, spaziale e ideologico in cui muo-

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