molti aspetti spiazzato ogni prospettiva finalistica. E questo per almeno due motivi, in buona parte fra loro contradditori. A motivo dei successi del socialismo democratico, che ha plasmato non pochi aspetti degli equilibri sociali, economici, politici della società capitalista, contribuendo a configurare quegli assetti costituzionali liberaldemocratici che regolano oggi tutte le società europee occidentali. Ma a motivo anche degli insuccessi dei movimenti socialisti (o laburisti) nel fornire mete collettive praticabili nei passaggi, non sempre indolori, verso le società post-industriali. Le trasformazioni della struttura sociale hanno indebolito tutte le proposte politiche e di regolazione sociale orientate verso obiettivi ugualitari. Proposta nata in una fase caratterizzata dalla presenza estesa di una omogenea classe lavoratrice industriale (in primo luogo le proposte di costruzione della cittadinanza sociale attraverso le politiche di welfare). La decandenza per il «messaggio» socialista sembrerebbe dunque inarrestabile. Intendiamoci, questa decadenza non comporta per necessità un contemporaneo appannarsi della «sinistra». Il sostenere questo implicherebbe una accettazione di una concezione «pacificata» della società che non è solo sociologicamente infondata, è anche smentita in modo clamoroso dalle vicende politiche che stiamo vivendo in questi mesi in non pochi luoghi della vecchia Europa. Il socialismo è finito con la società industriale, sembra sostenere qualcuno, ricostruiamo le speranze, le ambizioni, il consenso attorno a movimenti radicaldemocratici, che sappiamo contrastare, da una parte, i ritorni preoccupanti della destra più o meno venati di populismo, dall'altra l'opinione conservatrice più o meno neo-liberale, sembrerebbero dire altri. E fra questi anche i fondatori del Pds italiano, che forse hanno respinto l'aggettivo socialista non solo per comprensibili esigenze di distinzioni dal Psi. Se si accetta questa impostazione, potremmo fermarci qui, prevedendo un futuro nel quale saranno sempre più deboli le ragioni sulle quali differenziare una presenza socialista europea all'interno della sinistra politica. Ma le cose stanno veramente così? Certamente le trasformazioni ricordate incidono profondamente sul messaggio socialista, soprattutto quelle nell'ambito ~JJ,BIANCO l.XILROSSO i•Xi®iiil Anna Kuliscioff della struttura sociale. Ed esse hanno iniziato ad incidere sulla vitalità e sulla capacità propositiva delle forze socialiste anche prima del «formidabile» 1989.La questione morale da cui sono coinvolti alcuni partiti socialisti, e quello italiano fra i primi, è un segnale di questa nuova situazione. Da questo punto di vista, e non sembri paradossale, alcuni pa titi socialisti non sono in difficoltà perché sono corrotti, sono incorsi in fenomeni piu o meno estesi di corruzione in quanto entrati da tempo in una fase di decadenza, in un tunnel di incertezze politiche e culturali. Ma potremmo fermarci qui solo se condividessimo una visione determinista ed evolutiva delle forme di regolazione politica della società, quasi una sorta di misto fra marxismo volgare ed una nuova versione delle teorie della modernizzazione. Se non si accetta questa visione si è portati a 24 scoprire come non siano scomparse le ragioni di distinzione nella sinistra politica fra le componenti socialiste e quelle che, per brevità, potremmo chiamare forze radical-democratiche. Alcuni decenni di esperienze europee ce lo stanno a dimostrare. Socialismo democratico significa attenzione per la democrazia economica e industriale, quasi come un correttivo ad una inadeguata ed incompleta democrazia politica. Significa costruzione di grandi movimenti socio-politici, nei quali le componenti sindacali non giocano necessariamente un ruolo subalterno ai partiti politici. Significa volontà di privilegiare sicurezza e protezione della società sulle impostazioni di stampo esclusivamente produttivistico. Significa impegno su obiettivi culturali che non siano necessariamente ondeggianti fra gli estremi della cultura di massa e della gratificazione individualista. Significa non rimanere, nella gestione dell'economia o delle politiche sociali, legati ad una alternativa drastica pubblicoprivato, ma provare almeno a pensare alla iniziativa sociale, o al cosiddetto terzo settore. Significa soprattutto affermazione di un progetto politico costruito a partire dal lavoro e per il lavoro. Un progetto che, ad esempio, traduca nella pratica sociale quanto previsto nello straordinario articolo primo della Costituzione italiana. Un progetto per il quale la frase «potere del lavoro» non suoni di necessità in modo inquietante o retro. Certo è questo un riconoscimento, ed una prospettiva politica, che possono suonare come segnati da un volontarismo eccessivo.Ma ogni prospettiva socialista è stata sempre una forzatura sugli equilibri sociali e politici della società industriale. Senza forzature di questo tipo non si sarebbero certo affermati quegli assetti liberaldemocratici che caratterizzano tutte le società avanzate dell'occidente. Quello che è importante è che tale prospettiva costiuisca una occasione di applicazione o di evoluzione di questi assetti, forse necessaria per impedire un ritorno verso il passatodel processo di costruzione della cittadinanza industriale (o post-industriale). Per una tale forzatura sono sempre però necessarie delle dirigenze forti e rappresentative. Proprio quello che difetta nel socialismo europeo dopo la scomparsa di leaders indimenticabili come Olof Palme e Willy Brandt.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==