~!I~ BIANCO '-.XlLROSSO DOSSIER C'è unfuturop, er il socialismiotaliano? Questo Dossier. Che il socialismo sia in crisi ovunque è un dato, non una risposta al problema della crisi del Psi, e della sinistra in genere, che morde anche noi. Su questo tema abbiamo inviato ad un gruppo di amici, politici e intellettuali, le seguenti riflessioni. Ecco una prima serie di repliche. Continueremo nel prossimo numero. L'attualità del socialismo è ormai divenuta un problema non solo speculativo, ma pratico-politico. Dal punto di vista speculativo, ben poco è rimasto di marxismo o socialismo scientifico, e neppure i vari disegni di una «società giusta», progettata come tale, e da realizzarsi d'un tratto o con gradualità, hanno resistito all'usura dell'esperienza. Il finalismo è tramontato, e con esso il principale degli strumenti che furono ideati per la realizzazione della società giusta: la socializzazione della proprietà, la proprietà collettiva, le nazionalizzazioni, il mutamento dei rapporti di produzione dalla forma capitalistica a quella socialista. I.:azione socialista ha segnato, invece, un pieno successo sul piano di quelli che furono sovente designati come gli obiettivi intermedi, le tappe di una costruzione il cui compimento si spostava sempre più nel tempo: vale a dire, in sintesi, la costruzione dello Stato sociale. Nella maggior parte dei Paesi dell'Occidente, lo Stato sociale è una realtà. Pone però problemi di risorse, di sprechi e di necessari sfrondamenti di privilegi che si sono annidati nella costruzione che aveva come obiettivo quello di eliminarli. Ma è una realtà in larga parte consolidata, e raramente contestata nella sua essenza di valori. Vi è anzi da osservare che l'evidente esaurimento del ciclo neoliberista fa ritenere possibile un rilancio dell'idea dello Stato sociale anche in Paesi permeati di una cultura ostile, come gli Usa. Nell'Occidente europeo, la realtà dello Stato sociale si coniuga con il protagonismo dei partiti socialisti, che quasi sempre occupano l'area della «sinistra»; una sinistra formatasi come movimento sociale, ma dimostratasi capace di assimilare i valori propri di nuovi movimenti, come i «diritti civili» e l'ambientalismo. Da questo punto di vista, si potrebbe affermare che la ragione della mancata espansione dei valori socialdemocratici oltre i confini dell'Occidente sia soprattutto un trascinamento della disfatta del comunismo, in parte per un tragico gioco di continguità, ma in parte più consistente per effetto di una frattura storica, che ha cancellato la memoria stessa della socialdemocrazia, anche dove era stata operante. Il problema italiano si colloca in un'area atipica e di difficile interpretazione. Ha avuto luogo indubbiamente un effetto indotto dalla disfatta comunista, in un Paese che vantava il partito comunista più forte dell'Occidente. Ma ad essa ha fatto argine un troppo fragile partito socialista, quasi travolto dalla questione morale e dall'esplosione dei localismi. La domanda che è stata posta esplicitamente, se !'«etichetta» socialista sia da considerarsi superata, e se ad essa debba sostituirsi una sinistra «democratica», appare plausibile. Ecco la questione: in Italia vi è ancora spazio e prospettiva per un socialismo rinnovato, oppure la nuova sinistra deve essere una costruzione tutta nuova? Ci si deve muovere dal presupposto, che per altro andrebbe dimostrato, del fallimento o del definitivo superamento del movimento socialista democratico? E in tal caso per quali ragioni specifiche il problema viene proposto in questi termini soprattutto in Italia, mentre nel resto dell'Europa il socialismo democratico continua a costituire il riferimento imprescindibile di una politica progressista ispirata ai valori di libertà, di equità e di giustizia? 19
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