Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 34 - novembre 1992

~.lL BIANCO l.XILROSSO MiikKilid li, sapendo che gli squilibri economici e particolarmente le situazioni di miseria e di emarginazione sono causa di tensioni sociali, ma che anche motivazioni etniche e razziali provocano guerre locali ed ampi conflitti, come sta avvenendo nella ex Jugoslavia e nell'Est. Ma ora che la cooperazione italiana è in profonda discussione non solo per gli elevati sprechi di gestione e per i diversi episodi di corruzione, ma soprattutto per la scarsa efficacia degli interventi, per le errate scelte politiche dei Ministri degli Esteri e dei passati Governi ed ultimamente anche per l'esigenza di ridurre drasticamente la spesa pubblica, tutta la politica di cooperazione va rivista e ridefinita. Il nostro Paese, nel sollecitare nuove politiche internazionali a livello Cee ed Onu, dovrà anche meglio definire le direzioni d'intervento per aree e per paese e conseguentemente far approvare dal Parlamento l'orientamento dell'Assemblea dell'Onu di aumentare gradatamente, fino all' 1 %, la percentuale del Pil da destinare agli aiuti ai Pvs. Inoltre la gestione di tali aiuti va mutata, sia specializzando il tipo e la qualità degli interventi delle Ong, sia indirizzando quelli delle imprese italiane a iniziative di cooperazione e non di assistenza o peggio di concorrenza e di speculazione, ma per far crescere le economie e le imprese locali. Negli ultimi anni infatti le Ong hanno dimostrato che la collaborazione diretta tra organizzazioni italiane e quelle locali, tra nostri volontari ed operatori dei Pvs promuove e sostiene la crescita economica e sociale di quei paesi. La ricchezza dell'esperienza del volontariato internazionale, che ha mostrato come la solidarietà non è solo aiuto da parte dei paesi ricchi, ma «interscambio» tra economie e società diverse, collaborazione tra culture, razze e religioni differenti, può essere ricreata ed estesa anche in Italia. Sta aumentando ogni giorno, e sempre più aumenterà, l'arrivo di immigrati, non solo perché fuggono dalla miseria dei paesi africani, o dall'oppressione e dai conflitti dell'Albania o della ex Jugoslavia, ma anche perché il nostro assetto produttivo ha spesso bisogno di manodopera, anche perché molti lavori pesanti o dequalificati vengono da tempo rifiutati dai lavoratori italiani. Da una crescente immigrazione nascono, anche da noi, se non il razzismo, certamente il fastidio, l'intolleranza, l'isolamento e l'emarginazione. Occorre allora non solo l'atteggiamento di ac15 coglienza e l'aiuto per nuovi bisognosi (questa è doverosa assistenza), ma soprattutto la comprensione, il dialogo, la collaborazione tra persone e gruppi, per realizzare vera solidarietà. Siamo in una società che è già multietnica e multirazziale e dobbiamo porci non tanto il compito di «sopportare» altri, quanto di conoscere e capire la loro cultura e costumi, di accettare la loro diversità, di costruire relazioni e rapporti non tra eguali (perché non si può chiedere agli immigrati di integrarsi alla nostra cultura ed alle nostre abitudini), bensì tra «simili», che individuano obiettivi comuni e modi di realizzarli insieme. Tra questi il miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita, ed insieme progetti di cooperazione tra popoli diversi, tra varie comunità, per superare le condizioni di sottosviluppo dei paesi di provenienza, anche per facilitare il ritorno in patria, a condizioni migliori delle attuali. Questi obiettivi vanno affrontati sia dal Governo che dovrà rapportarsi diversamente con i paesi in via di sviluppo, sia dagli Enti Locali e dalle varie associazioni, per realizzare proposte di gemellaggio con specifici paesi dai quali provengono gli immigrati. 2) raggravarsi della situazione economica e soprattutto del deficit pubblico, determinato dalla irresponsabilità, dall'incompetenza e dalle esplicite contraddizioni dei passati Governi, chiede un impegno «solidale» delle forze politiche progressiste, per poter individuare e prendere alcune decisioni tempestive e necessarie per il risanamento economico-finanziario del paese e per una tutela reale dell'occupazione e del lavoro. La manovra del Governo Amato - pur coi suoi limiti - mostra un avvio di tale risanamento, che però chiede molto più tempo ed interventi ancor più drastici. Bisogna allora ripensare ad un patto «di solidarietà» generale tra governo - forze economiche - forze sociali, anche per contrastare quella crescente frammentazione corporativa che acuisce la disgregazione sociale. Si richiede un ripensamento delle politiche economiche che affrontino più decisamente i nodi del deficit pubblico, della crisi dello stato sociale, dello squilibrio del Mezzogiorno, delle crescenti difficoltà dell'industria, dell'arretratezza ed esosità della pubblica amministrazione ed insieme dell'aumento delle diseguaglianze di reddito tra categorie ed aree diverse.

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