i.>-lL BIANCO l.XtLllOSSO 1\11 ,., 1111 re anche nell'economia, oltre che nella morale. Una struttura economica e istituzionale robusta come quella di Milano è stata messa in ginocchio e rischia la paralisi se non si cambia profondamente il modo di funzionare della politica e dei partiti. La giunta Borghini ha l'obiettivo di tamponare l'emergenza e di mostrare che qualcosa si può fare di buono nonostante tutto: ma non può (e non vuole reggere) se non si cambiano presto le regole del gioco (e quindi con tutta probabilità anche i giocatori). Non c'è dubbio che le esigenze di mutamento politico istituzionale sono profonde e riflettono una crisi non solo italiana. Lo confermano le difficoltà del processo di integrazione europea che Maastricht voleva accelerare e che invece hanno provocato profonde reazioni di rigetto, non solo economiche, ma anche politico istituzionali. Senonché la crisi italiana ha gravità particolare e specificità sue proprie, su cui solo noi possiamo intervenire. Il dibattito avviato su questa rivista ne ha fatto una diagnosi molto precisa. Concordo sul fatto che l'elemento storico più vistoso è la mancanza di ricambio della classe politica emblematizzato dalla longevità della Dc sia istituzionale sia del suo «personale direttivo». Sottolineare questo elemento è tuttora importante perché la Dc non ha intenzione di farsi «ricambiare». Ma non è sufficiente: dopo tutto esiste almeno un caso importante, il Giappone, che non ha avuto grande ricambio di maggioranze politiche. Eppure né l'economia nè la politica giapponese sono ridotte come le nostre. Il punto è che il non ricambio politico italiano ha contribuito a causare una vera e propria mutazione istituzionale perversa del nostro sistema, che è fra le radici più profonde e specifiche della nostra crisi. I partiti, invece che operare come strumenti di organizzazione della rappresentanza politica, sono diventati amministratori della cosa pubblica. Ha cominciato la Dc, come sottolinea Baget Bozzo, ricordando il contributo decisivo al riguardo di Moro. Poi gli altri partiti si sono associati, anzi «consociati» in modi, luoghi e tempi diversi a seconda delle posizioni rispettive. Il connubio partitiamministrazione ha alterato l'intero assetto istituzionale. Ha contribuito all'ipertrofia dei partiti e dei loro apparati, e insieme all'ipertrofia del pubblico. Nessun altro sistema europeo ha partiti così «pesanti» e un potere politico così «invasivo»del12 la società e così occupato dai partiti. Questo connubio è stato tanto più perverso in quanto si è trovato a operare in una pubblica amministrazione debole e insicura come quella italiana e non è stato contrastato dalla presenza di un forte senso dello stato (quale si riscontra in altri paesi). La occupazione stabile e concordata delle istituzioni pubbliche (comprese quelle operanti nell'economia) da parte dei partiti è alla base del diffondersi della corruzione pubblica; ma prima ancora ha provocato la deresponsabilizzazione e il degrado progressivo della pubblica amministrazione. Per tale motivoquel che in altri paesi è stato utile e decisivo in momenti di crisi, le grandi coalizioni politiche e sociali, da noi si è tramutato in un consociativismo spartitorio. E i danni economici diretti della corruzione pubblica si sono sommati ai danni economici oramai insopportabili di uno stato inefficiente e di un welfare mostruoso nei suoi costi e nelle sue storture. Istituzioni pubbliche ipertrofiche, inefficienti e consociative non correggono, ma accrescono le fragilità e i possibili dualismi della società. Il peso di queste storture politico-istituzionali ha inquinato profondamente larghi strati della società (le piccole tangenti e disonestà quotidiane). Esso grava come un macigno su un'economia come quella italiana, che pur è potenzialmente vitale, ma anch'essa fragile e senza strategie definite. Uscire dalla tempesta economica europea è difficile per tutti, compresi i forti sistemi francese e tedesco. Se l'Italia non si libera presto da questi pesi è escluso che possa uscirne. Per questo riformare partiti e istituzioni e rompere l'attuale perverso connubio è anche una esigenza di sopravvivenza economica. Non a caso la lega di Bossi fa appelli espliciti in questo senso. Mostra alle zone ricche e avanzate dell'Italia (Mantova insegna) il rischio del decadimento economico: un rischio avvertito come reale e che tale può essere. E la Lega non fa fatica a individuare i responsabili, nei partiti tradizionali e nello stato centralistico; anche perché non sono solo i rigurgiti localistico-antimeridionalistico, pur presenti nelle leghe, a giustificare tale accusa. La sfida di Bossi è forte perché indica pericoli e responsabili reali, e perché ha radici profonde. La tradizione italiana dei Comuni è più forte in certe zone di quella dello stato. Il progetto di espugnare le città principali padane per separare il
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