i.>.lL BIANCO lXILROSSO Mi•Ciliri ratifica definitiva del Trattato, e la sua entrata in vigore alla data prevista, sia ormai senza ostacoli. John Major, presidente di turno della Comunità fino al 31 dicembre, ha convocato per il mese di ottobre un «vertice» europeo dove, a quanto si dice, potrebbe rimettere in discussione alcuni aspetti del Trattato, a cominciare da quelli monetari, nutrendo non pochi dubbi sull'esito del dibattito per la ratifica al Parlamento. Secondo il portavoce del governo tedesco, Dieter Vogel, si dovrebbero operare «aggiunte e chiarificazioni» al Trattato stesso per piegare le resistenze degli «euroscettici» inglesi. E l'Italia? Consolata del «sì»francese ma in piena crisi monetaria, fuori dallo Sme e stravolta dalla pesante «manovra»di risanamento economico progettata dal governo Amato, anche l'Italia comincia a dar segni di esitazione in attesa che la Camera, dopo il Senato, decida la ratifica del Trattato: è così che Craxi chiederebbe una «ridefinizione» di questo Trattato«in alcuni aspetti non secondari», che i missini propongono di organizzare un referendum come in Francia, che quelli di «Rifondazione» affermano che il «sì» francese conta ben poco perché è stato estorto con una campagna «ricattatoria». Ne deriva che il dibattito alla Camera per la ratifica potrebbe anche slittare dopo il vertice europeo d'ottobre. Quel che invece dovrebbe e deve imporre la situazione creatasi dopo il «sì» francese è un'accelerazione del processo di ratifica, è insomma una presa di coscienza politica del valore storico di un Trattato il cui obiettivo è di fare dell'Europa una Unione. Ed è dopo, dopo l'entrata in vigore .del Trattato, all'inizio del 1993, che - come dicevamo all'inizio - i Parlamenti nazionali, il Parlamento europeo e, in essi, le sinistre, dovrebbero seriamente affrontare la battaglia per l'indispensabile miglioramento del Trattato. Questa è la sola strada percorribile per chi ha la volontà politica di realizzare l'Unione. Tutte le altre non provocherebbero che dilazioni e ritardi, col rischio - in definitiva - di bloccare un processo di cui nessuno, in buona fede, può negare la portata storica, per l'Europa e per un nuovo equilibrio mondiale. Unarinascit«aculturale» perla «questionmeorale» di Paolo Giammarroni e he effetto vi fa vedere, per settimane, nella classifica estiva dei libri più venduti le memorie di Falcone e le formiche di Gino & Michele, le analisi su Tangentopoli e i raccontini surreali di Gene Gnocchi? A me ha fatto venire voglia di parlare di cultura ed etica. Il ritorno dello sdegno è un segnale troppo bello per farci sopra mille distinzioni. Ben venga questa ondata di «basta!», gridata nella Padania davanti ai politici corrotti o nelle provincie meridionali dove la mafia conviveva da sempre con il profumo delle zagare. Sui limiti, comunque, di una «nuova»politica da fondare esclusivamente su questo sentimento co9 mune o sull'onestà autodichiarata di aspiranti dirigenti del paese, su queste pagine è già stato scritto abbastanza. Più blanda avverto una discussione di fondo. Se la morale vuol tornare, come giusto, ad un suo ruolo orientante, di quale morale parliamo? E soprattutto: abbiamo idea su cosa vada fondata? Si può rispondere rapidamente che i valori sono già nella Costituzione, in quell'intreccio di valori laici su cui si sono ritrovate da sempre anche le coscienze religiose. Eppure la cultura laica, per non parlare di quella strettamente liberale, vive a dir poco un momento di confusione totale. Pesante è oggi l'incertezza tra
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