Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 33 - ottobre 1992

- I - ~JLBIANCO '-XILROSSO ilii•Kilii• Maastrichitl:sì francese imponecorrettiveiconcretezza di Luigi Colajanni nutile dire quanto sia importante che i francesi, seppure con un «sì»assai risicato, abbiano lasciata aperta la strada ad un ulteriore passo, vedremo quanto ampio ed impegnativo, verso l'Unione europea. Ora dobbiamo tutti interrogarci sulla ampiezza del «no» e chiederci quanto, oltre ai gravissimi errori di un percorso poco democratico, abbiano pesato sia le insufficienze del Trattato in materia di poteri democratici, sia la debolezza delle politiche di intervento nell'economia e nel sociale per controbilanciare l'espansione selvaggia del mercato, sia la contraddittoria e debole architettura della politica estera e di sicurezza, come anche l'avvio importante, ma ancora insufficiente, dei diritti di cittadinanza europea. Su questo bisogna lavorare adesso, soprattutto deve farlo la sinistra, per migliorare il Trattato e convincere i cittadini del continente. Questo ha detto il Parlamento europeo e, speriamo, diranno anche i Parlamenti nazionali, a cominciare da quello italiano. Ma la sinistra deve interrogarsi più a fondo per comprendere se, nel Trattato di Maastricht, insieme all'elemento fondamentale di una scelta epocale d'unione, non ci siano anche elementi di irrealismo che vanno corretti. L'analisi del voto francese indica alcuni punti di riflessione. Intanto, la ristretta maggioranza del «sì» uscita dalle urne del referendum francese non è stata una sorpresa, dopo una campagna in cui i partigiani del «no» avevano mescolato le critiche anche giuste ai limiti del Trattato e alle sue lacune, con questioni di politica interna direttamente o indirettamente legate alla gestione socialista del potere e alla presidenza mitterrandiana. Certamente grande peso, in questo quadro già confuso, ha avuto l'improvviso risveglio di un sentimento di frustrazione davanti al timore di una riduzione della sovranità nazionale, davanti al dilatarsi della potenza economica e monetaria tedesca e alle tempeste 8 monetarie provocate dalla Bundesbank; davanti alle incognite del Trattato sulle questioni sociali, nel momento in cui la Francia denuncia tre milioni di disoccupati e paventa una nuova ondata migratoria facilitata dalla soppressione delle frontiere interne a partire dal 1993. Eppoi la gran massa dei contadini, che addossano alla Pac la responsabilità del calo dei loro redditi, la spaccatura politica di tutti i partiti che contano, da quello socialista a quelli di Chirac, e di Giscard, anche se in misu - ra minore per quest'ultimo. È in questo contesto che i francesi sono andati alle urne per una scelta decisiva alla quale erano del tutto impreparati, come del resto buona parte di cittadini di altri paesi comunitari. Di questo portano una grave responsabilità i governi che hanno scelto di trattare in clandestinità, ai vertici, senza coinvolgere né i Parlamenti ed i partiti, né i cittadini. Alla fine dei conti ha avuto ragione Delors quando, in sede di commento del voto, ha affermato che due mesi di campagna elettorale sul Trattato di Maastricht, di cui solo gli addetti ai lavori conoscevano a fondo il contenuto, non potevano cancellare 40 anni di ignoranza su tutto quello che i vari paesi della comunità avevano ottenuto, sul piano economico e anche su quello sociale, grazie all'esistenza della comunità stessa. Detto questo, e constatata la difficile situazione politica in cui viene a trovarsi oggi la Francia a seguito del referendum (e con una tornata elettorale «legislativa» in calendario per il prossimo marzo), quel che conta per l'Europa, per il varo definitivo del Trattato, è il «sì»pronunciato dalla maggioranza del popolo francese il 20 settembre scorso. Un «sì» che comunque libera i «partners» europei dalle angoscie vissute nella settimana precedente il voto, e in piena bufera monetaria, pensando alle conseguenze catastrofiche che avrebbe avuto per il futuro dell'Europa una vittoria del «no». Ciò non significa affatto che la strada verso la

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