I Verdi hanno al loro interno una corrente di Verdi federalisti. Che in teoria non avrebbe ragione di esistere, in un movimento che si è strutturato fin dall'inizio come «federazione delle liste verdi». Ma un perverso sistema interno di gestione del potere, e delle risorse, e persino del simbolo elettorale, ha fattodel suo gruppo dirigente una oligarchia parlamentare che non risponde assolutamente a nessuno, spingendo diverse liste locali ad autonomizzarsi di fatto, costituendo liste con simboli e nomi appena diversi. Tra i quali si è già visto spuntare anche quello dei Verdi federalisti, per l'appunto. La Rete, un movimento per altri versi simile alla Lega, e che in parte compete sullo stesso mercato e offrendo il medesimo prodotto (federalismo escluso), al recente festival nazionale dell'Unità così si è espressa, secondo parole del suo leader Leoluca Orlando: «Per ora è impossibile pensare che dal centro si possa cambiare l'Italia, meglio iniziare a liberare alcune zone del paese». Pensava presumibilmente alla Sicilia, ma come stupirsi che ci abbia pensato qualcuno anche in Lombardia? Infine, persino la sinistra Dc, per il tramite di un suo esponente di spicco, Martinazzoli, si è espressa per la costituzione di una Dc del nord, anche se poi non ha fatto nulla per costruirla sul serio e ormai, dopo le varie Tangentopoli, rischia di non trovare nemmeno più i mattoni per farlo. Sono segnali, e non secondari. Nel peggiore dei casi, di disorientamento. Enel migliore, di recupero di una tradizione illustre: quella del federalismo e dell'autonomia di sinistra (e cattolici: perché non ricordarsi per esempio del municipalismo e del federalismo di Sturzo?). Per non andare troppo lontano, non è stata la sinistra, Pci in testa, a volere le regioni? E non erano intellettuali e politici socialisti a teorizzare la repubblica delle autonomie? Se questo è vero, però, non può non nascere un legittimo sospetto: che le si volessero allora perché si poteva sperare di governare solo localmente, e che ce ne si sia dimenticati quando gli uni si sono stabilmente insediati nel governo (anche se c'erano andati già da prima), e gli altri hanno cominciato a vedere concrete speranze di arrivarci, prima con la fase dell'unità nazionale e poi forse accontentandosi del {)JLBIANCO '-XILROSSO 1W1 NIMIW1 N consociativismo, di far parte di quel «partito unico pluralistico» di cui parlava Bettiza nello scorso numero di questa rivista. Del resto, le tradizioni di provenienza sono piuttosto giacobine e accentratrici che non liberali e federali. Ma cospicui filoni di pensiero d'altra impostazione non sono certo mancati. Si tratta di recuperarli. Che fare? Necessità delle riforme La democrazia funziona, tra le altre cose, quando c'è controllo. Una delle forme del controllo è la divisione dei poteri. Che in Italia c'è stata poco, per la ragione che c'è qualcuno che ha i suoi tentacoli in tutti e tre i poteri, e questo qualcuno sono i partiti (che, in più, hanno occupato ampi spazi anche nel quarto potere e nel quinto, per non parlare dell'economia parastatale). Ma un'altra forma di controllo, e non meno importante, è il controllo delle periferie sul centro. E questo è mancato. C'è stata al contrario una progressiva occupazione delle periferie da parte del centro. Ancora una volta, per mezzo dei partiti, e purtroppo per la sinistra, di tutti: tutti conniventi perché cointeressati, e in termini molto concreti, come l'inchiesta di Di Pietro a Milano e le altre che hanno coinvolto altre città del nord, e ancora di più quelle che, lo speriamo vivamente, si apriranno domani a Roma, a Napoli, a Palermo, hanno dimostrato al di là di ogni aspettativa. Ebbene, vogliamo lasciare questo nobile argomento in mano alla Lega? La sinistra può contribuire a un progetto di riforma che sia anche federalista, o se si preferisce una parola meno compromettente, fortemente «regionalizzante», di sostanziale riequilibrio dei poteri. Sarà capace di farlo? Saprà rendersi conto che c'è uno spazio, e ampio, anche per lei, perché dopo tutto la Lega, per fortuna, non può fare le riforme da sola? O vogliamo continuare a occuparci solo del sistema elettorale uninominale, di Segni o di Giannini, dell'elezione diretta del Capo dello Stato o di quella del Capo del Governo, e, insomma, delle riforme tutte e solo centraliste? Se sarà così, la sinistra, invece di dare una mano a disegnare le riforme e, in definitiva,il futuro del paese, avrà lasciato una formidabile e popolarissima carta in mano alla Lega e alla Lega soltanto; consenten61 dole di capitalizzare tutta la ribellione montante nei confronti del sistema, e dimostrando nello stesso tempo che è vera la distinzione che la Lega opera tra chi vuole le riforme che cambiano davvero (se stessa) e chi vi si oppone (tutti gli altri, non importa se di destra o di sinistra, di governo o di opposizione). Ma se sarà così, la sinistra non potrà che piangere sui propri errori. Se avrà ancora lacrime per farlo.
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