Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 33 - ottobre 1992

si a spiegarci a cosa serve, se non cambia la bilancia dei poteri tra centro e periferia? A Roma forse si pensa ancora che al Nord siano transitoriamente impazziti, ma che si ravvederanno; che si protesta, sì, ma che anche questa rientrerà: dopo tutto, non è passata anche la contestazione? Anche gli anni di piombo? Solo che qui a protestare con il voto non è la minoranza rumorosa, ma una sempre più corposa maggioranza non più silenziosa. O si crede veramente che un elettore milanese su cinque, e in molte zone della Lombardia uno su tre (e quanti, domani?) sia improvvisamente diventato di destra, xenofobo, velleitario, razzista, poujadista, localista, populista, comunque reazionario, e quant'altro, come finora si è tentato di definire la Lega? A proposito: ma non vengono dagli altri partiti (e, guarda caso, soprattutto da quelli di governo - e al governo, localmente, c'è anche qualcuno che, sul piano nazionale, si trova all'opposizione), questi elettori? E allora? Hanno ancora senso queste chiavi di lettura? Due parole sulla Lega Se ne sono dette tante. Io mi limito qui a una sola considerazione un po' in controtendenza (e per il resto rimando gli interessati al mio libro Leparoledellalega, da poco uscito per Garzanti). Non è vero che la Lega non ha una propria ideologia, e un'elaborazione politica definita. Al contrario, ce l'ha, e si riassume in due facili parole: autonomia e federalismo. Tanto facili da risultare estremamente convincenti, per un elettore abituato ai bizantinismi incomprensibili dei partiti. I troppi commentatori che gliel'hanno negata farebbero bene a riprendersi (anzi, a prendersi: perché non l'ha fatto quasi nessuno) in mano i testi della Lega fin dalla sua fondazione (1982). Vi troverebbero una fedeltà alle premesse e una coerenza addirittura sorprendenti. E capirebbero che è questo il «progetto forte» della Lega, fin dall'inizio: il resto è secondario o, al massimo, tattica. Quello che è cambiato, naturalmente, è il grado di raffinatezza della proposta: decisamente modesto, spesso primitivo all'inizio, e assai più articolato oggi. Ma non c'è niente di veramente nuovo, se non even- {)JI, BIANCO l.XILROSSO 11~iiiiDl~ii• tualmente nei metodi. È per questo che, parafrasando il titolo di un libro sul Giappone uscito qualche tempo fa, bisogna prendere la Lega sul serio. Altrimenti, come il Giappone crescerà e invaderà i nostri mercati (e anche la politica, in fondo, lo è) senza che nemmeno ce ne accorgiamo, come in parte è già avvenuto. Le ironie fanno vendere Cuore, ma non fanno crescere la sinistra. E la stigmatizzazione è controproducente, perché basta un po' di buon senso per accorgersi che dietro certe parole e certe etichette si nasconde solo la paura e l'incomprensione del fenomeno. La sinistra e la Lega: come sul Titanic La reazione del sistema politico, e segnatamente della sinistra, di fronte all'emergere della Lega, sarà probabilmente considerata dagli storici politici futuri uno dei più clamorosi esempi di incomprensione e di cecità della storia della repubblica. Come sul Titanic, in cui l'orchestra ha continuato a suonare per non far capire (o forse proprio senza accorgersi) che la nave affondava. Ma, vale la pena ricordarlo, il Titanic è affondato ugualmente. Dove il Titanic è il sistema politico, e più direttamente ancora il sistema dei partiti (o se si vuole, la prima repubblica che intorno ad esso è stata costruita). La crisi economica, istituzionalee più di tutto forsemorale, è il maltempo, la nebbia, la notte che circonda e che sta per inghiottire la nave. E la Lega, piaccia o non piaccia, è l'iceberg che dà il colpo di grazia alla stabilità e alla capacità di galleggiamento del pur robusto transatlantico. L'unico dubbio è se assimilare i rappresentanti della classe politica, di governo e di opposizione, all'orchestra che continua a suonare i suoi soliti e, data la situazione, sempre più incongrui motivi sperando che la gente non si accorga di quanto sta accadendo, e cercando di tirare più in lungo possibile; o ai ballerini ignari che continuano a volteggiare, su in prima classe, mentre giù, in seconda e in terza, il popolo è già con l'acqua alla gola. A proposito di popolo, a voler essere cattivi verrebbe spontanea anche un'altra immagine. L'atteggiamento aristocratico assunto da molti politici e intellettuali soprattutto di sinistra, ha ricordato fastidiosamente quello dei nobili di ogni tempo di fron60 te a qualsiasi manifestazione popolare. Lo sconcerto è comprensibile, di fronte al «nuovo che avanza» (uno slogan dimenticato e ormai da dimenticare del vecchio Pci), e che avanza in forme non previste, e per giunta da dove meno ce lo si aspettava, anche geograficamente. Ma che dire dell'eccesso di schizzinosità (sono rozzi, sono bottegai ...) e della sufficienza dimostrati? Grave somigliare agli aristocratici, per quella sinistra che si sente (o si sentiva) dopo tutto erede di quella plebe che, invece, gli aristocratici sperava di avere sconfitto. Grave di fronte a una forza di cui invece il suo leader rivendica, e anche con un certo orgoglio, il carattere «popolare e popolano». E noi, e la sinistra, come rispondiamo? Con l'accusa di populismo... Tuttoqui? Non sarà un segno, anche questo, di distanza dal popolo, di distanza tra paese reale e paese legale, tra rappresentanti e rappresentati (male)? E non è un problema più grave, questo, per la sinistra? Non era la sinistra quella più vicina al popolo? Paradossalmente, a una critica e a una presa di distanza sul piano formale fa riscontro invece un inseguimento sostanziale sul piano dei contenuti. Eccone qualche istruttivo esempio. Il Pds dell'Emilia Romagna in forma più esplicita, in altre regioni del nord con minore compattezza, è schierato per un partito federalista. Certamente perché non ne può più di una gestione sciaguratamente accentrata, anche se il centralismo non democratico ma burocratico è ormai degenerato in personalismo e oligarchia; ma anche, semplicemente, perché è vicino agli umori della gente e li ascolta, e se ne preoccupa. Il Psi ha dichiarato, persino per bocca del suo leader, che è peraltro un illustre esempio di cesarismo e di centralismo ossessivo, di essere favorevole a un «regionalismo ai limiti del federalismo»; ed è andato a raccontarlo nella tana del lupo, a Pontida. Ebbene, con. modalità inconcepibili anche solo qualche mese fa, in alcune regioni, come il Friuli Venezia Giulia, i locali dirigenti del partito hanno deciso di prenderlo alla lettera, andandosene semplicemente dal Psi, costituendo un partito socialista regionale e dichiarando in tutta tranquillità che «Romaè nella condizione di dover subire».

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