{)JL BIANCO l.XILROSSO MiiiCiliil esiste più, vorrebbe dire che non esiste più la necessità della politica dei redditi. Anzi, come si è visto, essa resta l'unica strada per il risanamento prima e la ripresa dello sviluppo dopo. Con le recenti misure adottate, il Governo Amato si è mosso in una logica di politica dei redditi finalizzata al risanamento. Essa, com'era prevedibile, è monca dell'attacco alle rendite finanziarie, ma ogni meraviglia sarebbe fuori luogo per le cose dette precedentemente. Questa è certamente un'iniquità palese, perché un'area della ricchezza accumulata viene sottratta dallo sforzo risanatorio. Ma se le iniquità si fermassero qui, in fondo si potrebbe ingoiare il rospo. Il punto è che se la logica è quella della politica dei redditi, la sua esplicitazione non appare equilibrata. Non è questa la sede per affrontare nel merito la proposta di taglio delle spese e di aumento delle entrate, nè di stare ad elencare esigenze di maggiore equità che pure sono state alla base di una mobilitazione dei lavoratori senza precedenti negli ultimi 10anni, con annessi episodi di violenza altrettanto inediti. Mi interessa sottolineare, invece, che una necessità di revisione c'è rispetto all'accordo del 31 luglio; essa non riguarda la messa in discussione della politica dei redditi, quanto il contesto in cui avviene. Se l'accordo del 31 luglio fu ipotizzato in un conteso di graduale riformismo delle istituzioni, dello Stato sociale e dell'assetto produttivo, in questo momento si è tutto accelerato. La politica dei redditi non precede ma è contestuale all'avvio di un cambiamento dello Stato sociale; nello stesso tempo s'incrocia con le modifiche nel sistema produttivo che soprattutto le privatizzazioni delle Pp.Ss. alimentano in modo significativo. E tutt'insieme rendono urgenti quelle riforme istituzionali che i partiti invece tendono a procrastinare insensatamente. La politica dei redditi che si profila è una politica di distribuzione dei sacrifici. Ma non si tratterà di registrare, dal lato dei lavoratori, una minore dinamica dei salari, una contrazione dei consumi e una disoccupazione che, speriamo, sia la meno consistente e lunga possibile. Si tratterà anche di ridisegnare lo Stato sociale e le caratteristiche dell'assetto produttivo. Circa lo Stato sociale ed in particolare le sue due 6 espressioni principali: il sistema previdenziale e quello sanitario, non usciranno da questa fase come prima. Il convincimento che non si può dare tutto a tutti è diffuso. Si tratta di trasformarlo in soluzioni non improvvisate e capaci di segnare una nuova, lunga fase dello Stato sociale. Ed i criteri orientatori devono essere: un minimo di prestazioni assicurato a tutti, un'integrazione di prestazioni assicurata ai meno abbienti, mentre per i redditi medio-alti vanno definite integrazioni di prestazioni o per iniziativa personale o per via collettiva. Ovviamente, tutto ciò deve avvenire gradualmente, in modo omogeneo per tutti i lavoratori dipendenti e con soluzioni istituzionali che reggano nel tempo. Le correzioni alla legge delega e al decreto su sanità e pensioni vanno fatte avendo come riferimento questi criteri. Se no, il rischio è, se si va sul terreno proposto da Amato, di fare i gattini ciechi e se ci si oppone e basta, di non rendere consapevoli i lavoratori che una fase è chiusa e se ne deve inaugurare un'altra. Quanto all'apparato produttivo, crescono i rischi di deindustrializzazione e di vendita di pezzi anche importanti di esso ad investitori esterni. La deindustrializzazione non si frena con la moderazione salariale; questa è utile, ma non sufficiente. Decisiva è una politica dei redditi che tenga sotto controllo l'inflazione e apra prospettive di orientamento del risparmio verso investimentiproduttivi. Nello stesso tempo, però, soprattutto per effetto della scelta di privatizzare le Pp.Ss., si apre la prospettiva che il nostro apparato produttivo si internazionalizzi di più. Non è di per se una iattura, a condizione che non si faccia la fine dell'Inghilterra. Il sistema della Pp.Ss. e delle altre aziende interessate alla privatizzazione è ampio e quindi le soluzioni possono essere molto articolate. In alcuni casi l'internazionalizzazione può essere utile, in altri no; in alcuni casi l'intreccio industria-banche può essere proficuo, in altri no, specie se è la prima che compra la seconda; in altri casi, muoversi lungo la strada di concentrazioni tra privato e pubblico può essere efficace. Credo che attorno alla liquidazione dell'Efim e alla definizione dei criteri di privatizzazione dell'Iri e dell'Eni si giocheranno molte delle ipotesi qui fatte. Ma anche su questo fronte, i lavoratori potrebbero giocare un ruolo, intervenendo nella capitalizzazione delle so-
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