Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 33 - ottobre 1992

ma delle funzioni (poco discusso) è ugualmente importante (se non di più) di quello delle competenze sul quale il dibattito si è finora concentrato con risultati modesti in relazione al tempo ed alla fatica profusi. i)JJ, BIANCO lXILROSSO i HIl B11 Il I i E tu~• •Xi) Naturalmente la questione dei metodi applicati ad un insieme di competenze non è separabile dal sistema decisionale e della esecuzione delle decisioni e perciò dai ruoli e dal peso relativo delle diverse istituzioni comunitarie. Insomma, perché tutto questo funzioni, occorre che nella costruzione europea funzioni la democrazia. Cosa della quale, almeno per ora, non possiamo proprio dirci soddisfatti. Sistemidi relazioniindustriali: il casogiapponese Un seminario sulla varietàdei capitalismie dei modelli di relazionindustriali. - 1 17 e il 18 giugno scorsi si è svolto I a Roma, presso l'Auditorium del Lavoro, un seminario internazionale organizzato dal Cesos - Centro Studi Economici Sociali e Sindacali - in collaborazione con la Cisl e - sotto il patrocinio della Commissione delle Comunità Europee; il titolo - «Divergenza e convergenza dei sistemi contrattuali in Europa in vista del mercato unico e della competizione globale con Usa e Giappone» - ben chiariva le finalità, principalmente analitico-comparative inserite nel più ampio contesto dalla prospettiva dell'integrazione europea. Premessa Il seminario è stato qualcosa di più di un semplice tavolo di confronto sui diversi sistemi contrattuali delle tre aree più industrializzate del mondo. Infatti ha ben poco senso parlare di modelli di contrattazione senza leggerli nel preciso contesto storico e socio-economico da cui scaturiscono ed in cui si evolvono. Il convegno, anche grazie alla qualità dei partecipanti, è diventato quindi l'occasione per un confronto tra i tre massimi sistemi capitalistici di Giappone, Germania e Stati Uniti (o forse solo due se si adotta l'impostazione di M. Albert nel suo recente di Maurizio Rossi saggio «Capitalisme contre capitalisme» in cui divide nettamente il modello renano proprio della Germania e del Giappone dal modello sassone tipico dell'Inghilterra e degli Stati Uniti. Le varie teorie della convergenza e della divergenza dei sistemi economici hanno fatto da sfondo e da filo conduttore di una discussione che non ha prodotto risposte univoche alla domanda: «Quale capitalismo e quale modello di relazioni industriali per l'Italia» (ne avrebbe potuto), ma che all'interno del processo di cambiamento che coinvolge il sindacalismo europeo e italiano, ha saputo dare nuovi elementi di conoscenza e nuovi stimoli alla ricerca di un modello contrattuale più efficace a gestire - soprattutto in chiave europea - le difficoltà e le sfide degli anni '90. Aspettando la prossima pubblicazione degli atti del seminario può essere interessante tentare sin d'ora una ricognizione delle posizioni e delle interpretazioni espresse dai relatori che si sono succeduti nelle due giornate di lavoro. Iniziamo con il «caso giapponese». Il «caso giapponese» Negli anni '80 si è sviluppato in Occidente un forte interesse per il Giappone e per il suo modello di Relazioni industriali; que52 sto sull'onda di segnali estremamente positivi dell'economia nipponica quali «tassi di crescita del reddito superiori a quelli dei maggiori paesi industrializzati, livelli di disoccupazione molto contenuti, forte impulso alle esportazioni e attivo "cronico" della bilancia dei pagamenti, forte dinamica degli investimenti e della produttività del lavoro, alta qualità dei prodotti» (Diamanti e Gurisatti, 1991). Non a caso il Giappone ha visto i suoi tassi di sviluppo accrescersi in modo esponenziale dopo il primo shock petrolifero (1973). In quella circostanza di crisi (che coinvolse tutti i paesi industrializzati) le istituzioni di governo dell'economia nipponiche - quale è il Miti, Ministero dell'industria e del commercio internazionale - seppero intravedere nella ridefinizione delle politiche industriali un'opportunità di rilancio; puntando decisamente sulla via dei prodotti di consumo durevoli, ad alta complessità e di qualità. In realtà la maggior parte degli studiosi è concorde nell'individuare come fondamentali, per questo sviluppo, quei prerequisiti storici e quelle caratteristiche socioculturali che in una parola potremmo definire «fattori ambientali». Possiamo quindi dire che dopo la cosidetta restaurazione Meiji (1868) il Giappone si avviò rapidamente verso una «modernizzazione» di marca occidentale. Questa

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