Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 33 - ottobre 1992

po di un nuovo approccio in materia d'armonizzazione. Cioè il mutuo riconoscimento (formula che è stata adottata con l'Atto Unico). In sostanza, mentre le procedure d'armonizzazione creano delle obbligazioni positive per gli Stati membri (norme uniformi sull'insieme del territorio della Cee), il mutuo riconoscimento si limita a delle obbligazioni negative. I diversi sistemi sono considerati come equivalenti ed i loro prodotti non possono perciò essere oggetto di discriminazione. Le obbligazioni che gravano sulla legislazione nazionale sono così molto meno forti e i limiti alla sovranità più ridotti. Non è, del resto, casuale che le analisi più precise del processo decisionale (quello reale, più che quello formale) in seno alla Comunità dimostrino che esso è sostanzialmente incardinato negli Stati membri e nelle loro amministrazioni. Ne consegue che l'importanza del voto a maggioranza qualificata (tanto invocata prima del trattato di Maastricht) è stata, per certi versi, sopravalutata. La sua influenza si esercita infatti sulle condizioni e la dinamica del negoziato, più che sulla maggiore possibilità di decisione. Di fatto sull'impossibilità per uno Stato membro di bloccare tutti i negoziati con un veto. Ma questo non significa che si decida a maggioranza. Il principio del voto a maggioranza qualificata porta a decisioni adottate all'unanimità. Mentre l'obbligo dell'unanimità non porta a nessuna decisione. In altre parole: il voto a maggioranza elimina il diritto di veto, ma non le difficoltà a decidere. Tenuto quindi conto di tutti gli aspetti, il dibattito attorno alla applicazione del principio di sussidiarietà dovrebbe riguardare più utilmente il metodo di decisione più che il problema delle competenze comunitarie. La distinzione tra distribuzione di competenze e nuovi metodi (funzioni) era già stata fatta dalla Commissione quando aveva esposto i motivi di riforma dei Trattati inmateria sociale. Secondo la Commissione l'applicazione del principio di sussidiarietà non dovrebbe consistere tanto nell'arbitrare tra i diversi temi sociali, distinguendo quelli per i quali una competenza comunitaria è riconosciuta, quanto nel proporre a proposito di ciascun tema quale deve essere la funzione - di armonizzazioi)jJ, BIANCO l.XILROSSO i H ii ili) id I iMi ti)~U•D ne, di coordinazione, di convergenza, di cooperazione ... - più appropriata tenuto conto delle esigenze identificate e del valore aggiunto comunitario. In questa ottica le differenti funzioni (o metodi) possono essere così sintetizzate: 1) Armonizzazione, è il cuore dell'azione comunitaria. Essa definisce un livello centrale di norme applicabili sull'insieme del territorio. Che queste norme siano direttamente applicabili (regolamenti) o debbano essere trascritte nella legislazione nazionale (direttive) è relativamente secondario. La Comunità esercita con questo marchingegno una integrazione positiva e definisce delle scelte politiche che possono più o meno orientare l'insieme comunitario. Così, in quanto scelta politica, una «armonizzazione nel progresso» impone un certo modello e, ben inteso, una influenza molto più grande che la semplice definizione a livello comunitario delle «prescrizioni minimali». 2) Coordinazione o mutuo riconoscimento. Questo metodo di integrazione passiva stabilisce delle passerelle tra diversi sistemi. Esso ha mostrato la sua efficacia ma anche i suoi limiti. Il problema attuale è di determinare in quale campo occorrerà passare dal mutuo riconoscimento alla elaborazione di norme comunitarie perché il semplice riconoscimento rischia di sfociare in una destabilizzazione dei sistemi nazionali. È il caso, per esempio, delle imposte sui redditi da capitale o dell'immigrazione. 3) Ricerca di convergenza. L'obiettivo è di far evolvere i sistemi nazionali nella stessa direzione. È un metodo incitativo. Non c'è armonizzazione. Le forchette per le tariffe Iva sono un esempio. Senza che ci siano stati dei testi adottati, i differenti paesi hanno fatto evolvere i loro sistemi fiscali in funzione degli indirizzi della Commissione. Il limite di questo metodo è che, senza espliciti condizionamenti sui sistemi nazionali, è poco probabile che gli Stati membri facciano degli sforzi adeguati di convergenza; in materia di sicurezza sociale, per esempio. 4) Animazione della cooperazione trasnazionale. Non è il caso di citare tutti i programmi che la Comunità ha messo in atto, o sussidiato. La pubblicità fatta intorno a queste iniziative ha senza dubbio dato l'im51 pressione che la Comunità avesse più competenze di quante essa non abbia in realtà. Questo metodo non produce però che effetti indiretti, nel senso che le esperienze nazionali possono influenzarsi l'una con l'altra, contribuendo così ad una evoluzione convergente dei sistemi nazionali e, in rari casi, determinare ambiti di consenso nei quali la Comunità potrà intervenire secondo i metodi prima ricordati. 5) Redistribuzione. Questa funzione è essenziale in uno Stato federale. Essa è il simbolo di una solidarietà attiva. La sua estensione dovrebbe essere parallela alla crea - zione di una moneta unica per permettere agli Stati ed alle regioni di attenuare lo chocs del mercato interno e dell'unione monetaria. Queste differenti funzioni possono variamente combinarsi tra di loro. Naturalmente si può anche passare da una funzione ad un'altra in uno stesso ambito di competenze. All'osso, dunque, l'applicazione costruttiva del principio di sussidiarietà potrebbe consistere, da un lato, nello scegliere il metodo da utilizzare per un determinato campo, definito non in termini generici (la politica sociale o fiscale) ma precisi (l'assicurazione contro la disoccupazione, o la fiscalità sui redditi da capitale, per esempio) e, dall'altro, nel lasciare, in questi stessi campi agli Stati membri un minimo di autonomia. Per rendere possibile un simile sviluppo è però necessario mettere in atto nuovi strumenti che sostituiscano le direttive con leggi quadro comunitarie. Altri percorsi sono egualmente possibili e complementari. Per esempio lasciare agli Stati la scelta tra differenti sistemi considerati equivalenti (come è stato proposto nel caso della società europea, consentendo la scelta tra tre diversi sistemi di rappresentanza dei lavoratori) o ancora il metodo applicato per l'Iva che consiste nel creare un ventaglio di eccezioni alla regola per certi beni, come le automobili. In tutti i casi si tratta di un compromesso tra il riconoscimento reciproco che si è rivelato insufficiente e l'elaborazione di norme rigide che appaiono troppo costrittive. In conclusione si deve dire che ai fini della applicazione del principio di sussidiarietà (che non sia naturalmente strumentale per boicottare la costruzione europea, il proble-

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