Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 33 - ottobre 1992

tare di allargare le sue competenze (come nel caso della politica industriale). In questo senso, la considerazione di Sir Leon Brittan, vice presidente della Commissione secondo il quale sussidiarietà è «una parola ambigua, che esprime però un concetto utile» assume tutto il suo significato. Vaanche detto che mentre per le regioni o i lander il richiamo alla sussidiarietà ha il vantaggio di saltare il gradino dello Stato nazionale per indirizzarsi direttamente al livello comunitario, per la Commissione produce la conseguenza opposta. Perché essa non può indirizzarsi alle regioni se non con l'accordo degli Stati membri. In questo gioco di attori istituzionali non deve sorprendere molto che i polivalenti obiettivi della sussidiarietà e la distribuzione delle competenze siano in contraddizione. Non a caso, del resto, la mancanza di regole pertinenti per stabilire che una competenza dovrà esercitarsi ad un livello particolare è messa anche in evidenza dai tre criteri utilizzati, di volta in volta, per invocare il principio di sussidiarietà. a) Il criterio dell'efficacia. È quello utilizzatopiù spesso. Si ritrovanell'articolo del Trattato che da il potere alla Comunità in materia di ambiente quando gli obiettivi «possono essere meglio perseguiti a livello comunitario, che a quello degli Stati membri presi singolarmente». Questa idea è ugualmente sviluppata, anche se diversamente motivata, nel rapporto Padoa Schioppa: «Il livellodel governo adeguato è quello più basso al quale la funzione in causa può essere efficacemente eseguita». b) Il criterio dell'interesse comune. Questo criterio è più politico del precedente. Diventa di competenza comunitaria ciò che gli Stati membri stimano necessario per realizzare uno degli scopi della Comunità. c) Il criterio della necessità. Quest'ultimo porta a valutare la capacità di attuare delle politiche a livello nazionale piuttosto che la loro efficacia. Solo le materie che non possono essere trattate a livello nazionale diventano di competenza comunitaria. Le differenze tra queste tre nozioni di sussidiarietà sono spesso mescolate nei molti discorsi sul tema. Nessuno è però arrivato, finora, a determinare in modo chiaro dei criteri sufficientemente precisi da consentire una applicazione senza ambiguità. ~.li-BIANCO lXltROSSO I H Ml iji) ili I i ii) (i)ij un Anche il «criterio dell'efficacia», a prima vista il più obiettivo, appoggia sull'impossibilità di determinare, a priori ed in astratto, una ripartizione ideale delle competenze tra diversi livelli di potere. D'altra parte la diversa distribuzione concreta delle competenze nei vari Stati federali indica la grande diversità di situazioni e delle loro evoluzioni. Di più, il criterio dell'efficacia dovrebbe portare ad interrogarsi non sull'efficacia teorica del livello centrale, ma soprattutto sulla sua efficacia pratica. Si può sicuramente dimostrare che la politica agricola può essere più efficacemente trattata a livello comunitario che nazionale. Ma la Pac, così come è andata evolvendosi, ha dimostrato l'efficacia pratica del livello europeo? La contraddittorietà dei risultati e le difficoltà della sua riforma lascia il campo aperto ad opinioni diverse. Di fronte alle critiche, a volte feroci, delle sue politiche (fondi strutturali, cooperazione) e delle frodi (Pac), la Commissione si trincerà di solito dietro i limiti delle sue possibilità di azione in rapporto a quella degli Stati membri, od alla cattiva volontà di quest'ultimi. Pur riconoscendo un certo fondamento a questi rilievi si deve però constatare che, sul terreno dello sviluppo regionale o della cooperazione allo sviluppo, l'efficaciacomunitaria non sembra superiore a quella delle azioni nazionali. Un'altra questione irrisolta è quella dell'istanza che dovrebbe giudicare, in caso di disaccordo, della pertinenza o meno dell'azione comunitaria. Normalmente questa funzione dovrebbe essere devoluta alla Corte di giustizia. Ma i partigiani di una limitazione dei poteri di Bruxelles hanno rapidamente capito che questa soluzione avrebbe rischiato di avere delle ricadute non desiderate. Del tutto opposte alle loro preoccupazioni. Più di tutte le altre istituzioni la Corte ha, infatti, giocato un ruolo dinamico nel processo di trasferimentoverso la Comunità delle competenze non chiaramente attribuite. Le soluzioni alternative ipotizzate (comitato di Saggi o Consiglio costituzionale) non sono molto credibili perché risulterebbe evidente che l'obiettivo vero è quello di spossessare la Corte di tale responsabilità. Come si vede la confusione è notevole ed ha indotto molti osservatori a conclude50 re che il concetto di sussidiarietà è «elastico» e che la ripartizione di competenze avverrà in modo evolutivo sulla base di mercanteggiamenti politici. Alla luce di queste considerazioni si deve dire che il dibattito politico si è, finora, focalizzato su una questione (probabilmente) non decisiva ai fini della costruzione europea: la ripartizione delle competenze tra Comunità e Stati nazionali. Più importante, almeno in questa fase, dovrebbero essere considerate le modalità di regolazione delle competenze. Per chiarire questo punto è necessario tenere presente l'evoluzione della Comunità. Da un9 entità essenzialmente se non esclusivamente economica, essa tende a trasformarsi in una struttura più complessa, sempre dominata dall'economia (motore dell'integrazione) ma che coinvolge anche degli aspetti ambientali, sociali, politici e culturali. Per fare un solo esempio l'eguaglianza uomo-donna comporta degli elementi economici, ma la politica comunitaria in questo campo è essenzialmente sociale, perfino culturale. Il mercato europeo potrebbe sicuramente funzionare anche senza una uguaglianza di diritti tra uomini e donne definito a livello centrale. I.:evoluzione in atto è stata, finora, accompagnata da un trasferimento parziale di competenze dagli Stati membri verso la Comunità. Alla definizione di una tariffa esterna comune o di una politica agricola comune prevista dal Trattatodi Roma, si sono aggiunti progressivamente degli elementi di politica fiscale e sociale. Con il trattato di Maastricht è stata varata l'Unione Monetaria e sono state inoltre acquisite competenze in materia di diritti dell'uomo (immigrazione, cittadinanza). Alcuni hanno dedotto da questo sviluppo la convinzione che sia ormai in atto una tendenza consistente e lineare verso una federalizzazione ineluttabile dell'Europa. Taleconvinzione appare però, almenoallo stato dei fatti, irreale. In effetti un trasferimento limitato di competenze degli Stati nazionali verso la Comunità è statobilancialo da assicurazioni relative alla preservazione di un minimo di autonomia e di sovranità degli Stati membri anche nei campi oggetto di trasferimento. Così l'estensione della procedura di voto a maggioranza qualificata è controbilanciata da una serie di riserve e dallo svilup-

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