cepire e formulare un programma politico in cui il progresso, molto probabilmente, non può essere più il miglioramento del tenore medio di vita ma il suo peggioramento (come altrimenti risolvere davvero i problemi ecologici e dell'immigrazione?). La seconda motivazione riguarda invece il fatto che né il Psi né il Pds hanno le idee chiare su ciò che dovrebbe essere il partito nuovo, «leggero», senza più legioni di funzionari a pieno tempo, carrieristi per definizione, perché la politica è l'unico «mestiere» che son capaci (o tali si presumono) di fare. Guardiamo come una proposta veramente innovativadi Occhetto (usciamo dalle Usi, non accettiamo più il sistema lottizzante e spartitorio) sia stata accolta con entusiasmo da un'infima minoranza del partito più accorta e lungimirante, ma con estrema freddezza - anzi, un vero e proprio rigetto - dalla maggioranza. Logica conseguenza del fatto che per funzionari e dintorni il «sistema» lottizzante e spartitorio, con la relativa ascesa sulla scala del potere e del reddito, era, ed è, il pane quotidiano. Non sostituibile. L'unico possibile. Ecco il marcio. E la malattia inguaribile. Quanto al Psi, mi limiterò a ricordare la risposta di un collega senatore quando gli domandai quali fossero, secondo lui, le ragioni della loro unità intorno a Craxi in contrasto con cromosomi politici molto propensi, e adusi, a fratture e scissioni. Mi disse: Craxi ha assicurato a una gran parte di compagni poltrone di sindaco, di assessore, di presidente in enti pubblici e semipubblici; non c'è da stupire se è tanto cambiata la fisionomia del partito, dagli ideali sullebandiere rosse alle poltrone con le annesse prebende. Se sono pessimista in generale sulla possibilità di rinnovamento dei partiti, non ci credo assolutamente per quanto riguarda specificamentela Dc. Infatti, non è stata mai un partito nel senso autentico di strumento di elaborazione ed attuazione di un progetto politico. Potrà sembrare paradossale maa me pare proprio che le cose stiano in questo modo. Fin da De Gasperi il quale, secondo la testimonianza di Ossicini, voleva l'unità politica dei cattolici perché il suopartito potesse avere e mantenere a lungo la maggioranza così da non dover render conto a nessuno. In tal modo la Dc è stata sempre un meccanismo quasi perfetto di potere, che ha saputo costruire una ~.Il.BIANCO l.XILROSSO l•Xi@hiil serie di ingranaggi funzionanti con precisione. Un meccanismo, si badi, che ha lasciato la società, e l'economia, svilupparsi per conto proprio, anzi assecondando iniziative e movimenti senza intervenire a modificarli o almeno a indirizzarli. L'Italia si è così trasformata da sé, non certo secondo un progetto politico elaborato e realizzato dalla Dc. Ecco perché a me riesce difficile accogliere anche il discorso (caro a molti dc) dei grandi «partiti popolari». Si tratta di un richiamo verbale e sentimentale a Sturzo (e forse anche di una struggente nostalgia di consociativismo) più che di una realtà. Partito popolare significa anzitutto orientamento e progetto che facciano presa sul popolo e gli diano un riferimento, un fine. Questo la Dc, appunto, non è mai stata. Altro giudizio credo si debba dare del partito comunista che invece riferimento ideale e stimolante per tanti italiani lo è stato realmente (ritengo anch'io profondamente sbagliata la qualificazione di partito leninista, giacobino, elitario; no, senza appartenere ai gruppi dirigenti, senza nemmeno aspirarvi, centinaia di migliaia di italiani per decenni hanno sacrificato feste e ferie sull'altare del partito. Il quale dunque radicato nella massa, e quindi popolare, lo è stato davvero). Il mio giudizio sulla Dc potrà anche apparire ingiusto fino al travisamento di una realtà storicamente innegabile: la Dc ha pur introdotto, per così dire, «elementi di socialismo»,ha pur cercato più equità nella distribuzione della ricchezza, ha inventato le partecipazioni statali che sono state, almeno fino agli anni Settanta, un sistema produttivo di ricchezza, invidiatoci da altri paesi. Questo, e altro, non voglio certo negare. Dico soltanto che i piagnistei più o meno moralistici di questo o quel dc, meno peggiore di altri, o almeno più consapevole, in base ai quali bisogna ritrovare una coniugazione fra morale e politica, bisogna scindere la politica dalla ricerca del potere e recuperarne la funzione di servizio, questi piagnistei mi suonano terribilmente falsi, ipocriti, espressione del peggior cattolicesimo fariseo. Oltre che, ovviamente, del tutto sterili. Sarà credibile, per me, soltanto quel dc che, dopo averne viste, e magari subìte, tante, finalmente si decide a uscire dal partito e dalla politica per tornare a fare il suo mestiere (ma quanti tra i nostri politici hanno un mestiere nelle ma35 ni o in testa? Per esperienza diretta degli anni di Parlamento, conosco il terrore del «licenziamento», ossia della non ripresentazione nelle liste, di tanti colleghi, senza dubbio persone dabbene ma per le quali il mestiere, la professione era la politica e la relativa carriera, per cui essere esclusi dalle liste voleva dire essere esclusi dal lavoro e dal reddito. E anche questo è un vizio mortale, o un male inguaribile). Se è vero quello che penso della Dc, e io credo sia vero, allora se ne conferma anche da questa parte che la crisi dei partiti e della politica nel nostro Paese ha ragioni e radici prevalentemente interne, come sostengono, giustamente, la Mancina e Tamburrano. Anche per questo uscirne è arduo: la coscienza della crisi e gli appelli al rinnovamento sono già qualcosa, ma appena un inizio. Non bastano certo, a salvarci. Credo proprio che l'imperativo dell'ora sia quello di rimettersi a studiare.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==