Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 33 - ottobre 1992

i>JLBIANCO lXtLROSSO l 111 ®1MII Suicidiodeipartiti. Si ripartedazero a conversazione fra cinque L esponenti politici, condotta da Camiti e pubblicata nel n. 31/32, presenta certamente aspetti e motivi di notevole interesse: diamine, sono tutte persone ricche di intelligenza e di esperienza. Ma la mia impressione è che si tratti sempre di «discorsi preliminari», come dice a un certo momento la Mancina, nel senso che si esprimono (e si ripetono) diagnosi largamente diffuse e condivise tanto sono evidenti, mentre sulle prognosi e sulle terapie si resta piuttosto nel generico, nel vago, non mi pare si tocchi una terraferma solida sulla quale procedere insieme. Dirò di più: anche sulle diagnosi penso che bisognerebbe essere molto più incisivi e spietati. Il rinnovamento o l'autoriforma dei partiti è una terribile illusione, uno specchietto per le allodole; così come son ridotti, coi loro vizi incalliti, coi loro sprechi, con la loro pretesa arrogante di rappresentare l'ultima sponda della democrazia - o noi o il diluvio, il peggio, il fascismo - non sono capaci d'altro che di autoincensarsi, di autoconservarsi, di autoriprodursi. E invece la prima cosa da fare, il primo bisogno da soddisfare, se si vuol salvare davvero la democrazia in Italia, è prendere atto che tra il popolo e questi partiti - ripeto: quali sono oggi, quali si sono ridotti - non c'è più alcuna possibilità di rapporti fiduciari: sono rapporti o di rassegnazione o di interesse (chiamatelo pure clientelismo: da quel partito potrò ottenere questo o quest'altro, a cominciare dal posto di lavoro). La conversazione è avvenuta prima del suicidio di Sergio Moroni. Oggi, dopo quel fatto tragico, dopo la sua lettera a Napolitano, il gesto motivato di Moroni o lo si piglia molto sul serio e ci si rende conto che il «sistema» - averlo accettato, egli ricodi Mario Gozzini nasce, è staio un errore consapevole - è finito e va cambiato in radice; o siamo simili a coloro che, secondo l'antico detto, Dio vuol mandare in rovina e comincia col toglier loro la mente, l'intelletto, la comprensione delle cose. Ecco perché più di tanti discorsi sull'unità della sinistra, sul polo laico-socialista, sull'alternativa nel governo - li sento ripetere da decenni e non ho mai visto frutto - a me interessa parlare d'altro. Se quel suicidio, come io son convinto, va ritenuto un simbolo, anzi un segno di una realtà che si vorrebbe manipolare o negare, quanti politici italiani sono pronti a trarne le conseguenze, uscendo dal partito e dalla politica come personale contributo al rinnovamento e alla riforma? Ci si rende conto che l'offensivadei giudici contro corrotti e corruttori è un preciso contrappasso, una nemesi storica - quanto mai prevedibile - della prassi instaurata fin dagli anni Sessanta, secondo la quale non esiste altra responsabilità se non quella penale e contro il rinvio a giudizio di politici «si fa quadrato», ossia ci si oppone con intransigenza assoluta? Ci si mette a studiare come il nuovo che emerge dalla società si può organizzare e tradurre in contributi politici, facendo a meno della struttura partitica come attualmente si presenta? Oppure si pretende, con arroganza appunto, che quel nuovo sia incanalato nei partiti come sono? A somiglianza di quel che è successo nell'ambito dell'aiuto ai Paesi in via di sviluppo, dove le Organizzazioni non governative hanno lavoratoe prodotto frutti molto più dei governi, non potrebbe darsi che circoli di periferia, piccole associazioni, giornali e giornaletti, centri di volontariatoonesto, tutte queste iniziativedal basso che pullulano un po' dovunque (e di cui nessuno, nemmeno un giornalista, si preoccupa di fare un censimento attento) fossero più pre34 ziosi dei partili, così come sono, per la democrazia italiana? Sono d'accordo con Baget Bozzo quando valuta con guardinga riserva i partiti nati ora, Lega, Rete, aggiungerei anche i Verdi: non è con le scissioni né col populismo della rivolta fiscale e del sanfedismo anlimeridionale né col partitizzare un grande problema generale come quello ecologico che si potrà cambiare il «sistema» e i partili come si son ridotti. Ci vuole ben altro. La Mancina ha ragione quando osserva che è un modo per esorcizzare la fine dei partiti, cioè per non guardare in faccia la realtà, il ripetere ossessivamente che non ci può essere democrazia senza partiti e che la fine dei partiti è la fine della democrazia. Questo è uno schema vecchio e conservatore che esprime una verità ma soltanto relativa, ci rinchiude nella situazione e ci impedisce di cambiare. Direi che anche il rilievo di Tamburrano sulla democrazia non più bloccata dal vincolo di non legittimazione di un partilo - rilievo certamente vero in linea di principio, ma tutto da verificare nei fatti per quanto riguarda certi ambienti, cattolici e no - serve a poco se rimane inchiodato al «sistema»dei partiti come sono e lo sblocco si limita alla legittimazione (moltopiù teorica, ribadisco, che pratica) dell'ex Pci, ora Pds. Personalmente rimango molto perplesso di fronte alla diagnosi del fallimento della sinistra perché i due partili maggiori non hanno colto la grande occasione storicache avrebbe dato all'Italia l'alternativa vera. Le motivazioni della mia perplessità sono almeno due. La prima concerne la difficoltà presente di capire cosa voglia dire sinistra nella società industriale avanzata, consumista, inquinata, nella prospettiva dell'invasione dal Sud e della multirazzialità, nell'esplosione degli etnicismi e dei nazionalismi. La difficoltà, in altri termini, di con-

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