Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 33 - ottobre 1992

tà privata, prolungamento o, se si preferisce, «protesi»della persona umana. Lo stesso concetto di potere, che da appannaggio personale passivo va trasformandosi in una funzione razionale collettiva, ossia da potere come privilegio a potere come servizio, va urgentemente liberato da quella crosta di concezioni cospiratorie che per decenni hanno malamente coperto l'inerzia intellettuale della sinistra. Le dichiarazioni programmatiche della socialdemocrazia tedesca a Bad-Godesberg non sono più sufficienti. Occorre una critica dell'economia politica all'altezza dell'epoca del grande capitalismo finanziario, oggi dotato di una mobilità che Rudolf Hilferding non poteva immaginare. Nello stesso tempo, è da recuperare la dimensione internazionale della sinistra, a cominciare dalla costruzione dell'Europa unita su basi federative. Si affacciano in proposito vecchi, temibili fantasmi. Nel momento in cui sembra vicino il declino delle nazioni chiuse, ecco ripresentarsi la faccia torva e crudele dei nazionalismi.NellaGermania odierna spira l'aria tragica di uno strano delirio di onnipotenza. Non è la «buona follia», la Gute Wahnsinn, di cui discorreva Goethe, romantica e classica a un tempo, che sembra segnare il destino di questo ambivalente paese, con tanta naturalezza portato, nel bene e nel male, all'estremismo.Nonostante tutto, malgrado le innegabili difficoltà derivanti da una riunificazione forse troppo rapida e dagli ormai cronici scontri notturni fra polizia e «testerapate», vigliaccamente pronti ad attaccare con pietre e bottiglie molotovignari e disarmati «asylanten»,i rifugiali politici stranieri, spira un'aria di quieto trionfo, quasi un senso di rivincita sulla sottomessa, sconfitta, inginocchiata Germania dell'immediato dopoguerra. Nulla in comune con il primo dopoguerra. Nulla che possa far ricordare la lunga agonia della Repubblica di Weimar.Il clima intellettuale e politico della Germania di oggi è tutt'altra cosa. Nel primo dopoguerra pesava l'ombra di Versailles, il ricordo del vagone di Compiègnes dov'era stato firmato l'armistizio e trovava la sua fine il sogno imperiale della Germania guglielmina. La pace di Versailles era la pace in cui si faceva duramente valere la «legge del taglione» o del contrappasso, faceva pagare ai tedeschi ora sconfittiquei cinque miliardi di franchi-oro it)_Jt BIANCO l.XILROSSO l•ti®•Mil che la Francia battuta a Sedan nel 1870era stata costretta a sborsare come riparazioni di guerra alla Germania di Bismarck e che erano serviti come l'accumulazione di capitale essenziale all'originario, prorompente sviluppo delle industrie tedesche. Ben diversa è la situazione di oggi. Oggi la Germania, con l'alto tasso di sconto deciso unilateralmente nonostante il Sistema monetario europeo, è in grado di attrarre capitali da tutto il mondo, di dissanguare in primo luogo l'Europa, per finanziare le spese per la ricostruzione della Germania orientale. E tant pis per coloro cui la cosa dispiaccia. Si potrà fare un gesto di riguardo per la Francia. La visitalampo di Kohl a Millerand rinnovarà, nel più assoluto riserbo, il già famoso asse franco-tedesco inaugurato da De Gualle e Adenauer. Se uno obiettasse che per questa via ci sarà il rischio che i prodotti tedeschi perdano dei mercati a causa dell'alto valore del marco, gli si risponderà con un debole sorriso, equamente diviso fra tenerezza e compatimento: i prodotti tedeschi - si replica - sono così «buoni» che la gente continuerà ad acquistarli nonostante il prezzo. Se si pensa ai seimila miliardi di lire spesi dagli italiani lo scorso anno per comprare Mercedes, Bmw e Volkswagen non si potrà che convenire. Ma l'Europa? Può la sinistra tacere sulla tragedia della ex-Yugoslavia? Può accettare che di fatto la Bundesbank diventi il governo effettivo, economico e politico, dell'Europa? Cosa accadrà all'unità europea se ogni paese, sull'esempiodella Germania, procederà alla realizzazione d'una propria politica monetaria, indipendentemente ed eventualmente contro le esigenze delle economie degli altri paesi? Le risposte si fanno difficili. L'internazionalismo della sinistra è sempre stato più ideologico che operativo, un prologo in cielo più che un insieme di specifiche misure da far valere, su questa terra. Si cita la dura, impersonale legge del mercato. Qualche provveduto commentatore politico, anche in Italia, ha richiamato la definizione che il grande scrittore anglo-polacco Joseph Conrad dedica all'oceano per dire che anche il mercato, come l'oceano, è imprevedibile, privo di memoria, caotico e all'occorrenza crudele. Quando gli economisti e i politologi si rifanno alle citazioni letterarie c'è un fondato motivo di 30 preoccupazione. Quando la sinistra, consapevolmente o meno, si fa prendere nella rete della logica del mercato come ultimo, decisivo criterio di giudizio e si arrende alla superstizione della «mano invisibile» smithiana, è perduta. La logica del mercato non è una creazione divina e neppure una semplice combinazione del caso. È un prodotto storico, determinalo da circostanze di fallo. Nessun dubbio sulla sua utilità come «cassa di risonanza» e talvolta come «forodi negoziazione». Ma non bisogna mai dimenticare che la sua logica, lungi dall'essere un allo misterioso, se non provvidenziale, è la logica dei grandi gruppi finanziari. È la fame di profitto a breve che muove i capitali vaganti. È la logica di quell'economia che sembra fittizia o «di carta», come s'è detto, ma che in realtà sostituisce al calcolo razionale il colpo di mano e il gusto della rapina. La sinistra odierna in Europa, Germania compresa, deve seriamente interrogarsi se per avventura non siamoalla vigilia della vittoria dell'Europa dei bottegai e degli «hommesd'argent», maldestramente etichettata come «l'Europa a due velocità». Sarebbe triste doverlo ammettere. Perché la vittoria dei bottegai sarebbe una vittoria pirrica, cioè una sconfitta grave, forse irreparabile. Le nicchie di parassitismo che in ogni paese hanno messo radici e che oggi temono la dimensione europea destinata a spazzarli via non possono che congratularsi delle difficoltà che la politica monetaria tedesca ha determinato. Una sinistra europea rinnovata ha da chiarire il dilemma di fronte al quale l'Europa oggi si trova: dovrà essere un club di finanzieri irresponsabili oppure un autentico crocevia di culture? Saprà sfruttare la forza delle differenze o si adatterà al predominio di un direttorio franco-tedesco? Forse nelle condizioni odierne la sinistra dovrebbe impegnarsi a non far dimenticare che, se ci sono i criminali di guerra, esistono anche i criminali di pace, coloroche troppo allegramente giocano a dadi sulla pelle dei popoli.

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