Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 33 - ottobre 1992

questa linea, alla creazione di Albi provinciali di pubblici amministratori, ai quali sarebbero ammessi, dopo un'imparziale analisi della situazione di ciascuno, coloro che dispongano di determinate competenze; abbiano uno specchiato passato, non siano in alcun modo compromessi con strutture mafiose e camorriste e tanto meno abbiano conti chiusi o aperti con la giustizia. E nulla escluderebbe che alle nomine si pervenisse per pubblico sorteggio. È, questa, un'ipotesi che potrà far sorridere gli ammalati di partitocrazia e i difensori di una sedicente democrazia: dimentichi che l'istituto del sorteggio delle cariche è tutt'altro che ignoto alle democrazie del passato, a cominciare da quella di Atene. Ed in ogni modo si potrebbe verificare a posteriori, dopo un congruo periodo di sperimentazione, se veramente attraverso il sorteggio si siano ottenuti risultati peggiori - in termini sia di efficienza sia di moralità - di quelli conseguiti da pubblici amministratoriche in molti casi hanno dato così miserevoli prove di sé. Sappiamo benissimo che queste nostre riflessioni saranno lette con sufficienza e con ironia da quanto intendono mantenere, all'opposizione o al governo, l'attuale sistema di potere. Ma chi vuole realmente Il Golfodi Lepantonel 1575 ~.lLBIANCO l.XILHOSSO liX•®i&tJ moralizzare la politica non può non fare i conti con il problema che qui è stato posto. Il difettoè nel manico: non sono le «mele marce» che vanno eliminate, ma è l'albero intero - e cioè il meccanismo attuale delle nomine « politiche» - che è bacato alla radice. Di questo i cittadini si sono da tempo resi conto (soprattutto i cittadini che hanno i titoli e i requisiti per porsi al servizio del paese e che mai saranno chiamati da coloro che cercano servitori dei partiti e non servitori dello Stato); i partiti, no, ed è forse questa la prova più manifesta della loro crisi. Un'ultima riflessione si impone, al riguardo, anche per sbarazzare il terreno da possibili equivoci. Quella indicata non sarà per caso (si potrebbe maliziosamente obiettare) una prospettiva «di destra», magari di fatto coincidente con quella dei radicali contestatori del sistema dei partiti e, al limite, della stessa democrazia? Vi è indubbiamente il rischio che «protesta di destra» e «protesta di sinistra» si sovrappongano e giungano ad esiti apparentemente simili. Ma fra l'una e l'altra vi è una differenza sostanziale: la cultura di destra mira soltanto all'efficienza (e alla moralità come condizione dell'efficienza); la cultura di sinistra mira, attraverso l'efficienza, alla giustizia 25 (ed alla moralizzazione della vita pubblica come condizione necessaria per l'instaurazione della giustizia, o almeno di una meno aspra ingiustizia). Dietro le corruzioni, i clientelismi, gli sviamenti, l'usurpazione delle risorse sta, prima ancora dell'ineffi. cienza, l'ingiustizia. Vi sono famiglie che rimangono senza casa, pendolari che sprecano su strutture inefficienti gran parte della loro vita, malati che restano vittime del disservizio sanitario. La corruzione non urta soltanto l'etica pubblica né compromette soltanto l'equilibrio dei bilanci, ma è, più in profondità, un attentato contro l'uomo, soprattutto contro i più deboli, i più esposti, i più dimenticati. Moralizzare la vita pubblica è riportare al centro della politica l'uomo comune, recuperare quel primato del quotidiano che tanto l'ascesa quanto il declino delle ideologie hanno misconosciuto. È per questo che una sinistra democratica degna di questo nome non può guardare con sufficienza al problema della moralizzazione della vita pubblica, lasciando questa bandiera nelle mani dei conservatori di vecchio o di nuovo conio; senza moralizzazione non vi è giustizia, e senza giustizia non vi è sinistra.

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