i.)_{), BIANCO l.XILROSSO liX•#OMil Alleradicdi ellacorruzione: l'«inquinamenctloientelare» F medi. ra i temi che «Il Bianco e il Rosso« ha affrontatocon estrema serietà e forte impegno civile figurava quello - avvertito oggi come centralissimo - della corruzione, delle sue cause e dei suoi possibili riDa Cella a Mancina sono stati molteplici i tentativi di lettura del fenomeno, che sono stati ricondotti, ci sembra, essenzialmente a quattro fondamentali cause: a) l'aumento del «costo dell'intermediazione politica»; b) l'esperienza del «consociativismo» e la mancata alternanza al potere, con il conseguente illanguidimento delle effettive capacità di controllo dell'opposizione; c) il costo crescente delle campagne elettorali, politiche ed anche amministrative; d) la mancata separazione dalla politica all'amministrazione. Personalmente aggiungeremmo - e non certo all'ultimo posto - altri due fondamentali fattori, e cioè da un lato la crisi dell'etica (di quella laica, non meno che di quella religiosa) legala anche al declino delle ideologie e al venir meno di sicure certezze, sia pure le certezze non assolute della politica; e dall'altro lato l'inquinamento clientelare che si è verificalo in pressoché tutti i partili e con particolare evidenza in quelli, e cioè Dc e Psi, che hanno di fatto gestito negli ultimi vent'anni il maggiore potere. Un'analisi della «crisi dell'etica» (di quella privata non meno che di quella pubblica) è tema che porterebbe assai lontano e che in una sede come questa non è agevolmente esplorabile. Si proporranno dunque alcune riflessioni soltanto sul secondo dei fenomeni dianzi evocati, quello dell'inquinamento clientelare. Molte analisi della corruzione politica didi Giorgio Campanini menlicano un fatto che può apparire marginale ma che tale non è, e cioè l'immenso ampliarsi delle aree controllale, direttamente o indirettamente, dal potere politico, sia nazionale sia locale. Oggi non si può di fatto entrare alla Rai-Tvo all'lri, non si può diventare consigliere di amministrazione di una banca «pubblica» e nemmeno presidente di un'Azienda di promozione turislica o anche della più modesta Pro loco senza passare attraverso le forche caudine dei partiti. Ciò determina un duplice fenomeno che è la sostanza stessa di molti e diffusi fenomeni di corruzione: - da una parie i partiti si affollano di pseudo iscritti e di pseudo militanti, e cioè di persone che vedono nel partito il trampolino di lancio per le loro arrampicale sociali; - dall'altra parte fra i partiti e coloro che da essi sono stati designali a ricoprire cariche pubbliche si determina un perverso meccanismo di do ut des, di favori dati e dunque di fattori ricambiali. Se tutto questo è vero, la via maestra per la moralizzazione della politica passa attraverso l'impietoso disboscamento di questo sistema clientelare. Assunzioni alla Rai-Tv per pubblici e severi concorsi; nomine che avvengano ad opera dei corpi sociali riuniti, con adeguate garanzie, in corpo elettorale; trasformazione di una serie di aziende in società capaci di auto-amministrarsi: questi ed altri interventi consentirebbero di trasferire fuori dei partiti una parie notevole del potenziale di corruzione che, nell'attuale situazione, si è su di loro riversato. Per attuare questo principio, sembra inevitabile l'adozione di un provvedimento legislativo che tolga al potere centrale e ai poteri locali una fitta schiera di nomine (e di poltrone), riservando alla classe politica pochissime e selezionatissime nomine, 24 da sottoporre per altro al vaglio di organi esterni ed imparziali dei quali occorrerebbe ottenere il gradimento. Quasi automaticamente, avventurieri e carrieristi si ritirerebbero da partiti nei quali non troverebbero più terreni sui quali pascolare. Queste indicazioni potrebbero apparire - e per certi aspetti sono, data l'essenzialità con la quale sono state presentate - un poco semplicistiche. Ed è facile immaginarsi la roboante retorica di chi da un lato addurrebbe le gravi, o «insormontabili»difficoltà tecniche che si frapporrebbero all'attuazione di questa piccola «rivoluzione silenziosa», e dall'altro lato si straccerebbe le vesti paventando la consegna ad «oligarchie» o a lobbies, magari «capitalistiche», di posti di grande responsabilità (come se il «socialismo» o la «cultura di sinistra» o «le esigenze delle masse popolari» avessero molto a che fare con certe spartizioni e certe lottizzazioni...). Eppure basta una riflessione appena un poco attenta per comprendere che, se non si taglia il male alle radici, la corruzione si riprodurrà all'infinito. Occorre dunque decidersi ad estirpare il bubbone, pur nella consapevolezza che questo comporterà, per tutti i partili - quelli di maggioranza ma anche quelli di minoranza - la rinunzia ad una fetta, piccola o grande, di potere. Non si invoca, per questa via, il «governo dei tecnici» ma semmai il «governo dei politici», ma non dei politici di partilo lottizzali dai partili. Non si vuole cerio escludere che uomini politici in quanto tali non possano sedere in un consiglio di amministrazione, dirigere un ente, assumere la presidenza di un organismo. Ma queste nomine dovrebbero essere rimesse ad altri (e ad altri da individuare di volta in volta,nei vari ambiti, sulla base di verificate competenze tecniche). Si potrebbe arrivare, in
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