sista, svuoterà completamente la presenza dei cattolici in politica e porterà sicuramente alla fine della Democrazia Cristiana. Francamente non sarei così catastrofico. Pur ipotizzando che attorno ad un partito moderato e popolare si possano concentrare la maggioranza dei consensi dei cattolici politicamente organizzati, non di meno anche un gruppo minoritario di cattolici potrebbe svolgere una funzione rilevante nel polo progressista. Non si deve dimenticare che nelle democrazie moderne, il voto marginale - quello che consente alla coalizione di raggiungere la maggioranza assoluta dei consensi - è estremamente importante. Di qui la funzione positiva che una «minoranza intensa» potrebbe svolgere anche in un polo riformatore e progressista. Considererei invece sciagurata l'ipotesi di un secondo partito cattolico. Il disagio dei cattolici non va sprecato in operazioni che al massimopossono condurre ad un altro partito che raccolga l' 1 o il 2%. Venuta meno la funzione di alternativa e di resistenza al mondo comunista, che cosa oggi giustifica l'esigenza di tenere uniti i cattolici in un partito politico? La riflessione va posta perché anche qui non si può vivere di un glorioso passato. Se c'è un merito del Partito Popolare e poi della Dc è di aver posto in termini laici il rapporto tra fede e politica. Ma anche questa giusta inituizione oggi va rivisitata. Ha scritto di recente Rocco Buttiglione, in un editoriale su Avvenire che se ci fossero le condizioni perché sulle grandi questioni di coscienza - aborto, eutanasia, bioetica - tutti i partiti consentissero ai loro rappresentanti di comportarsi senza vincoli di partito, forse verrebbe meno l'esigenza dell'unità partitica dei cattolici. La riflessione è ardita e la voce autorevole.Certo questo significa pensare per un domaninon molto lontano ad un partito popolare, riformatore, radicato nella tradizione del pensiero cristiano, ma capace di far collaborare laici e credenti su un programmacon il quale misurarsi nella ricerca del consenso dei cittadini-elettori. Queste riflessioni ci dicono come l'unità partitica dei cattolici, oltre che già superata dalle scelte di voto dei cittadini che si riconoscono nella Chiesa, diventa improponibile e persino un possibile ostacolo nella promozione dei valori essenziali per ~_tJ. BIANCO lXILROSSO ih•®ilil un credente. Non mi si fraintenda, voglio dire che se si dessero le condizioni sopra dette, e cioè che i partiti, tutti, sciogliessero i loro aderenti e rappresentanti dalla disciplina di voto sulle grandi questioni etiche, ci troveremmo anche per la Chiesa in uno scenario del tutto inedito. Ho scritto «se i partiti» perché oggi così non è. Ma se la Chiesa chiedesse unicamente ai cattolici che fanno politica un vincolo di unità sulle questioni che attengono direttamente alla coscienza personale (aborto, famiglia, eutanasia, difesa dei più deboli, libertà di educazione), allora la collocazione politica dei singoli sarebbe unicamente determinata dall'adesione ad un programma, e a delle scelte squisitamente politiche. È chiaro che un tale scenario non è quello attuale, ma una riforma di legge elettorale che rivedesse l'attuale sistema proporzionale, determinerebbe sicuramente un mutamento di ruolo e di consistenza delle singole forze politiche. Se i cattolici impegnati in formazioni politiche diverse, potessero trovare un luogo di dialogo sui valori essenziali e di promozione unitaria degli stessi, forse la Chiesa potrebbe più efficacemente presentarsi come autentica guida morale per i cittadini e per l'intero Paese. In questa nuova luce potrebbe essere riletto il richiamo del Card. Ruini dell'aprile scorso, dove venivano indicati gli otto valori irrinunciabili sui quali costruire l'unità politica dei cattolici. Unità politica, non partitica, unità in grado di non disperdere il patrimonio di cultura, energie e valori che l'area cattolica è stata in grado di rigenerare e rinvigorire. Ciò è tanto più vero perché ci sono parole e temi cari ai cattolici che si presentano oggi non tanto come «questioni cattoliche», ma come temi di interesse generale. Ne segnalo tre: la sussidiarietà, l'identità nazionale, lo sviluppo del terzo sistema. Stranamente in Italia un concetto classico della dottrina sociale della chiesa non trova molta cittadinanza: sussidiarietà. Non è una parolaccia; basta andare a leggere i documenti della Comunità Europea e la si trova a piene mani. Un concetto che si ritrova già nella Rerum Novarum e che si rivela oggi, in un contesto del tutto diverso, di grande fecondità. Se il principio de «non faccia lo Stato ciò 23 che non può fare la Regione; non faccia la Regione ciò che possono fare le associazioni e le famiglie» venisse preso sul serio, dovremmo fare una mezza rivoluzione nel modo in cui sono strutturate le istituzioni e nelle forme delle politiche economiche e sociali. Sussidiarietà significa pensare ad uno Stato espressione delle Regioni e delle Autonomie. Uno Stato capace di integrare i molti localismi del nostro paese, evitando le deflagrazioni leghiste che oggi conosciamo. Ripensare il nostro Stato significa anche dare consistenza ad una identità nazionale che sembra smarrita. Non basta il «made in Italy» o la nazionale di calcio o Tomba, occorre ricostruire il senso di unità in termini culturali perché non si può pensare di andare in Europa con una cultura «piemontese» o «molisana». E infine promuovere lo sviluppo del terzo settore, del privato-sociale dell'associazionismo e di tutte quelle forme di legale sociale che sono in grado di offrire senso alla vita delle persone e delle comunità locali. Perché - lo diceva già Toqueville - la democrazie hanno si bisogno di regole, ma anche di credere: di valori, di passioni, di legami che danno senso al partecipare. Una crescita della democrazia avverrà sia con una riforma delle istituzioni, ma anche con uno sviluppo dell' «arsassociandi». Ci sono da creare delle infrastrutture della solidarietà, un terziario di servizio del civile in grado di fare del terzo sistema (volontariato, associazionismo, cooperazione sociale) un altro attore significativo della democrazia nel nostro Paese. Sussidiarietà, identità nazionale, sviluppo del terzo sistema sono politiche che incidono nella vita quotidiana della gente, perché capaci di suscitare nuova disponibilità ad una politica che ha bisogno di essere rianimata attraverso la passione e l'entusiasmo di chi crede ancora nel bene comune.
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