presentanza. Sta bene. Ma torno all'interrogativo, per me, di fondo: come il cattolicesimo sociale affronta l'emergenza Lega? Perché esiste di nuovo, evidente e vivace, una presenza di cattolicesimo sociale. Non è più il mondo cattolico degli anni cinquanta, ma c'è, si fa sentire, può fare anche qui la propria parte. Ha sì nella sua storia la clericalizzazione veneta dell'Operadei Congressi, ma ha oggi in Papa Wojtylail primo pontefice constantemente meridionalista, attento al Mezzogiorno nel contesto di un'attenzione ai Sud del mondo. Un papa al quale molti leaders d'opinione d'area laica e laicista rimproverano una sorta di invadente interventismo sociale. Del quale, più da cittadino che da credente, devo invece lamentare lo scarso ascolto sul piano degli adempimenti concreti da parte di chi dovrebbe decidere di fare. Ma scendiamo a guardare il problema della Calabria, profondo e dissestato sud del nostro Sud. Qui i Vescosi calabresi non hanno atteso il documento del 1989di tutto l'espiscopato italiano per bollare la mafia come «disonorante piaga della società». A Giacomo Mancini che riconosce che è merito dei Vescovi se si riparla del Mezzogiorno, fa da controcanto don Italo Calabrò, il compianto leader della Caritas di Reggio Calabria, che era solito ripetere: «Laprima solidarietà dovrebbe essere ecclesiale». Appunto. Quando quattro anni fa parlammo di una fasecostituente del sistema politico sembravamo facili profeti di sventura, drammatizzavamo, così ci dicevano, una crisi di congiuntura che si sarebbe risolta in qualche modo. C'era forse ancora l'illusione di una riforma indolore del sistema politico. Ma cosa voleva dire per noi allora «essere in una fase costituente?» Che non era in crisi una formula di governo, che non era in crisi solo la centralità democristiana, ma che si era esaurito un intero sistema politico. Queste erano le riflessioni dell'87. Il crollo dell'Unione Sovietica, la caduta prima del muro di Berlino, la nascita del Pds, la nascita della Rete, la vittoria referendaria, le elezioni del cinque aprile, la confusione caotica in cui versa ora la politica italiaha sono andate ben oltre le più ardite previsioni, hanno forse deluso qualche speranza, richiedono oggi una tenuta se- .P.tJ, BIANCO lXILllOSSO IU•@iiil vera dell'analisi e dell'iniziativa. Dare ali alla politica perché torni a crescere anche la società. Questo abbiamo tentato di fare. Mettere in moto un processo e restituire speranza alla politica, è poterne parlare non come un astratto ideale, ma come un'opera paziente del quotidiano. Cosa nasconde lo scomposto e agitatissimo quadro politico? Un'angoscia di attesa. Quella che abbiamo dinanzi è una legislatura già morta, come nei riti vudu, uno zombi si aggira inquieto nell'ansia della prossima primavera. Siamo alle soglie di un salto istituzionale ma i modi, i tempi con cui avverrà sono del tutto ignoti. Questa angoscia dell'attesa non deve attraversare il nostro movimento. Ci muoviamo verso una democrazia dell'alternanza che deve avere regole certe e creare le condizioni per un ricambio reale dei gruppi dirigenti del Paese, che deve mettere capo ad una democrazia senza «partiti istituzioni», che deve rilanciare la partecipazione della gente. Le proposte di riforma elettorale elaborate dal nostro movimento tramite il suo Centro Istituzioni si muòvono in questa direzione. È difficile capire se questa legislatura approderà alla sua conclusione naturale. Questo vorrebbe il buon senso dinanzi all'urgenza di tanti problemi che si affollano sull'agenda politica, a partire dalla legge finanziaria; ma tale e tanta è la litigiosità del ceto politico che essa potrebbe interrompersi da un momento all'altro. Certa sembra una cosa: si è ormai chiusa una intera vicenda storica della nostra Repubblica. Si chiude nella parodia, in un gioco al massacro che rischia di scardinare il senso della nostra Costituzione. Dinanzi al crollo del mondo comunista il nostro ceto politico non ha saputo esprimere che i «tipi» del teatro dei burattini: il cinico; il confuso; l'ultraoccidentale che nella foga di far bella figura non si accorge di stare legittimando i golpisti; quelli che «avevano sempre ragione», alfieri di una libertà mai conosciuta; i cantori perenni di un liberalismo vissuto solo sui banchi di scuola. Dinanzi a questa sceneggiata sorge spontanea la consapevolezza sgomenta che si tratta davvero di salvare la Repubblica e per salvarla bisogna rinnovarla coraggiosamente, in fretta, oltre le logiche delle 21 convenienze provinciali, degli interessi di parte. Affinché in Italia resti il patrimonio ideale della Costituzione è ormai indispensabile cambiare la legge elettorale: selezionare un nuovo ceto politico, dare un ruolo diverso ai cittadini. Ritornare alla politica come responsabilità vuol dire riappropiarsi della sua dimensione agonistica, della sua natura competitiva. Il crollo del mondo comunista apre l'opportunità di uscire anche dalla nostra nomenklatura, l'opportunità di dare ali all'azione politica e sociale della presenza dei cattolici nel nostro Paese. Dobbiamo trovare il coraggio di «ricominciare» ora che si è chiusa una intera fase della nostra storia repubblicana, tenere aperta nei fatti una fase costituente. Lavorare perché la speranza diventi figura politica per milioni di uomini e donne, lavorare perché la solidarietà e la giustizia siano gli orientamenti di una convivenza civile vuol dire far nostro quel bisogno di senso che è richiesto oggi dalla storia che stiamo vivendo.
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