.P.tL BIANCO lXILROSSO Mii•Mlld delle cose, se vogliamo tra Chiesa e Stato. In questo senso il rischio dell'integralismo, come tale, è ben lontano. Ma ciò non impedisce al resto degli orientamenti di essere molto concreto. B) - Rifiuto del voto di scambio. È precisa, per esempio, la ripulsa chiara del «voto di scambio». Già l'anno scorso, a Torino, la Diocesi aveva ordinato alle parrocchie e alle altre istituzioni ecclesiali di astenersi da propaganda diretta di candidati e partiti. Anche le recenti disavventure di esponenti del Movimento Popolare, implicati in Tangentopoli, hanno rafforzato questo orientamento. La «formazione delle coscienze» non è, e non deve essere, propaganda politica. Questa è la teoria. Che questa sia anche, sempre e dovunque, la prassi di Chiese e parrocchie, di associazioni e movimenti, è almeno dubbio, ma l'orientamento à chiaro. C) - La scelta della gente. Un altro punto comune a tutti gli interventi, in questa stagione di crisi economica, è la scelta di stare dalla parte della gente. Tra i politici, che sono responsabili della crisi che pesa su tutti, e la gente, oggi la Chiesa sta con la gente. Ci sono anche cenni autocritici, per aver vigilato poco sul legame tra politica e sprechi, tra politica e corruzione, presenti anche tra i politici credenti. Oggi la crisi economica pesa sui poveri, sulle famiglie più giovani, e i vescovi ricordano ai preti, e a se stessi, che il loro posto è con questi. Saldarini ricorda alle imprese che le riduzioni di personale e la chiusura delle fabbriche può essere solo una ultima spiaggia, e che queste misure vanno «abbondantemente spiegate» per dimostrarne la assoluta necessità. Detto a Torino, appare un bel colpo. D) - Vigilanza contro la burocrazia. I vescovi richiamano l'attenzione sui danni che la deresponsabilizzazione ha fatto, favorendo la burocrazia senza anima e l'incontrollabilità del meccanismo istituzionale. Perciò l'appello a tutti, cittadini, forze sociali e sindacali, associazioni di categoria, perché tengano gli occhi aperti sui meccanismi della cosa pubblica. Meno privilegi, più efficienza per tutti. E) - Forte critica a questa Dc. Uno dei dati che emergono è anche la verifica nei confronti della Dc, di questa Dc. Dal Veneto alla Lombardia, dal 16 Piemonte alla Campania, dall'Emilia alla Sicilia è forte il malcontento che si dimostra verso il partito di ispirazione cristiana. «Il Veneto non c'è più. La gente non è più cristiana». la gestione del potere della Dc ha prodotto frutti amari. Lo ha scritto l'arcivescovo di Padova, Mattiazzo. I segnali di rimprovero, e quasi di ultimatum, ai dirigenti Dc, si sono moltiplicati. È un richiamo ai valori di fondo, che solo può giustificare la cosiddetta «unità dei cattolici». Nessun vescovo ha più il coraggio esplicito di raccomandare la Dc come sola espressione dei cattolici in politica, anche se va notato che nessun vescovo ipotizza la formazione di un secondo partito cattolico. Nel mondo cattolico ufficiale le simpatie esplicite per Orlando sono pochissime, e hanno visto con rammarico la rottura con la Dc e l'estremizzazione recente. Anche Segni, pur riscotendo simpatia e sostegno, ne è oggetto probabilmente solo perché non ha rotto, e forse non romperà mai, con la Dc, beninteso da rinnovare non solo nelle facce. Perciò il segretario della Cei, a domanda esplicita, ha risposto che «questo è il tempo non delle contrapposizioni e delle separazioni, ma della conversione e del concorso delle energie disponibili». È il caso di annotarlo: è ancora lontano, nella coscienza collettiva della Chiesa italiana, il momento del pieno e totale pluralismo politico e partitico. Forse se ne parlerà solo al momento in cui la Dc andrà in minoranza e all'opposizione nel paese. Essa ha avuto l'avallo ufficiale della Chiesa solo dopo aver preso il potere. Lo perderà, probabilmente, solo quando sarà all'opposizione. Forse, per non pochi credenti, è una ragione in più per mandarcela. In ogni caso questa Dc è davvero sotto severo esame, e deve rinnovarsi sul serio, e presto. Il discorso di Martini, ad Assago, è oggi espressione di quasi tutti i vescovi. I vertici della Cei, con Ruini in testa, probabilmente sono meno drastici, e restano fortemente legati alla Dc, ma la situazione è tale che non possono più esplicitamente dirlo senza suscitare scontento e reazioni, anche tra vescovi, e ancor più tra preti e fedeli. È una situazione limite. La cosa appare ancora più evidente se si vanno a leggere i singoli interventi dei vescovi in sede locale, gli editoriali dei settimanali diocesani, i documenti di associazioni cattoliche locali. Lo scontento, la condanna, il rifiuto della Dc, del suo modo di gestire il potere, di mescolare gli affari
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