icllL BIANCO l.XILROSSO Miiliiilill tervenire come giudice nell'ambito strettamente politico. Ancora in quel discorso di Assago lo stesso Martini aveva detto questa chiarissima parola, che dovrebbe servire a mettere le cose al loro posto: «La gente cerca talora nella Chiesa il punto di riferimento per orientarsi, ma la Chiesa deve restare nei suoi limiti». È per questo che sotto la penna di Martini, nel documento recente, «Sto alla porta», dedicato al dovere di «vigilare». viene il richiamo allo «stile cristiano di laicità», una qualità così rara nel mondo non solo politico nostrano. « Vigilanza», «responsabilità», «stile cristiano di laicità»: sono questi i tre nuclei della lettera del cardinale Martini. E non è una predica agli altri, solo agli altri. È il distintivo dei moralisti, quello della predica riservata ai diversi, della sicurezza arrogante da ogni esame di coscienza. Lo hanno notato in pochi, ma Martini predica anche alla Chiesa milanese, e soprattutto ad essa, il dovere della vigilanza e della responsabilità: «Ci troveremmo oggi così amareggiati per tante situazioni incresciose che offuscano la nostra vita politica ed amministrativa, se fossimo stati un po' più vigili, se avessimo alzato lo sguardo, allargando gli orizzonti oltre le comodità e l'interesse immediato?». Non sono poi lontani i tempi in cui i cristiani, i buoni cattolici, consideravano virtù il non farepolitica, il delegare ad altri (i vescovi, la Santa Sede, la Dc...) la propria inalienabile responsabilità anche politica. Un richiamo alla vigilanza e alla responsabilità così insistito presuppone finita per sempre, - e non mi pare un particolare di piccola importanza-, l'epoca in cui ai cattolici bastava votare per un certo partito, e al resto pensavano i politici, magari con l'assistenza autorevole degli uomini di Chiesa ... L'autonomia politica e la libertà del pluralismo delle scelte politiche dei cattolici sono la conseguenza diretta di questa insistenza ricorrente sui concetti di vigilanza e di responsabilità. Mi pare la consacrazione esplicita della autentica laicità delle scelte politiche. Appunto: «lo stile cristiano di laicità», cui Martini dedica i paragrafi 39 e 40 del suo testo. Vorrei notare, tuttavia, che il discorso di Martini non è assolutamente un cedimento alla tesi della separazione tra sacro e profano, del rintanamento dei cristiani nelle sacrestie, che tanto piacerebbe a certo incolto laicismo nostrano, che 14 non ha ancora capito la distinzione tra storia e fede, tra mondo e Chiesa, tra politica e religione nella autentica declinazione della teologia del Concilio. Del resto paiono non averlo capito, questo punto centrale del Concilio, anche certi cattolici integralisti che vogliono servirsi della politica cristiana per affermare il loro potere terreno. Martini, in uno dei punti più precisi del suo ultimo testo, ricorda che «il Cristianesimo non è la religione della salvezza dal tempo e dalla storia, ma del tempo e della storia». Stile cristiano di laicità, dunque. È un tratto importantissimo del discorso martiniano. Per questo quando prova a delineare «alcuni ambiti della vigilanza» (n.26), Martini comincia così: ,<.Anzitutto all'interno dei partiti». «Deipartiti»: questo plurale vuol pure dire qualcosa, se per esempio lo confrontiamo con un passo della recentissima lettera pastorale del cardinale di Torino, Giovanni Saldarini, pubblicata negli stessigiorni di quella di Martini. In essa, ad un certo punto, parlando delle preoccupazioni del vescovo per la coerenza delle «organizzazioni» che vedono i cristiani impegnati nella società, Saldarini esemplifica così: «ilpartito, le Acli, il Movimento Cristiano Lavoratori, ..., le Associazioni ... » (p. 33). Il partito: al singolare. È anche questo un testo significativo, che segnala una differenza tra Martini e Saldarini. È una differenza che oggi è sempre più evidente, e clamorosa, nella intera Chiesa italiana. È pur vero che forsemai, negli ultimi anni di elezioni, i vescovi italiani si sono dichiarati ufficialmente per l'unità dei cattolici, che vuol dire in pratica per il voto alla Dc, come hanno fatto in vista del recente 5 aprile, e tuttavia il risultato del voto, rafforzato recentemente dal crollo di Mantova e dalle previsioni catastrofiche di vari sondaggi, ha cambiato profondamente il clima che oggi si vive nella Chiesa italiana. Difficileche la cosa si ripeta così. Il malumore dei vescovi italiani ha avuto modo di manifestarsi chiaramente anche nei confronti del cardinale Ruini, che aveva così apertamente spinto per il voto alla Dc. Sono ormai molti i vescovi che mal sopportano, e non lo nascondono, un appoggio unilaterale della Chiesa italiana al partito storico dei cattolici italiani, così cambiato rispetto alle sue origini e allo stile di vita e di coerenza cristiana di altri tempi. Negli scandali non si può certo dire che i Dc siano assenti, o in seconda fila rispetto ai politici di altri partiti. Non
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