Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 33 - ottobre 1992

_.P-!L BIANCO lXltROS.SO MiikCilld Certo saremmo mille miglia lontani dall'uso della cultura a scopo di regime, come è accaduto per il socialismo-imperiale alla Mitterrand. Per la cronaca, chiunque vada in Francia scoprirà, accanto ai Beaubourg e alla Biblioteca nazionale in costruzione, una realtà di Palazzi della cultura in ogni cittadina, attentissimi a valorizzazione ogni realtà artistica in movimento. Lo spettacolo. Un'analisi a sé merita ormai il mondo dello spettacolo, per la sua rilevanza sulla sfera delle «rappresentazioni» collettive. Dunque decisivo nell'orientare una lettura del presente e del futuro. Le cifre italiane 1991parlano chiaro. Su una spesa di 4.146 miliardi, per la prima volta nel dopoguerra la fetta più grande (35%) se ne va in «trattenimenti vari»: quasi 1.400miliardi in discoteche, videogiochi, bowling, villaggi turistici. Pari rilievo economico ha la voce «abbonamenti televisivi»: e non poteva essere altrimenti, visto che le spese in apparecchi tv e videoregistratori viaggiano al ritmo del +6% l'anno, contro un misero 2,2% delle spese per acquistare libri, giornali, periodici. Toltoanche il mondo dello sport (14%), si certifica l'ulteriore crollo del cinema (11%, contro 1'88%che valeva nel 1950)e una tenuta senza ambizioni dell'insieme delle attività teatrali e musicali (7,8%). Queste ultime sono ormai penalizzate anche dall'adeguamento delle tariffe: in media un concerto di musica classica costa 14.700 lire, uno di musica leggera 22.350, un teatro 15.200, un'opera lirica ben 35.000. Parlare di situazione avvilente è poco. Il mondo politico ha avuto grande cura nell'occuparsi del solo ambiente della lirica, dove girano miliardi pubblici e clientele importanti. Il resto dello spettacolo è ancora in attesa di proprie leggi quadro. Finché questa incertezza fisica non sarà superata, difficile chiedere agli artisti di darci segnali di speranze o di lavorare più motivati. Sarà un caso che gli ultimi film di Avati, Amelio, Grimaldi hanno per protagonisti bambini dai grandi occhi e non più adulti che ne hanno viste tante? La ricerca. Nessuno dovrebbe chiedere al mondo della cultura un impegno predeterminato nei contenuti. Richiederlo alle persone, fuori dal reale contributo delle loro opere, ha poi significato minimo: è finito il tempo delle gratuite raccolte di 11 firme sotto manifesti da dimenticare il giorno dopo. Si può indicare solo qualche tema, forzatamente ambiguo, per una possibile ricerca: la Babele dei linguaggi, il ritorno della voglia di piccoli miti, lo scavo nelle nostre radici. Siamo un paese che si vergogna delle proprie origini contadine e che poi lottizza nel verde la propria fuga dalle città. Non abbiamo sciolto il rapporto tra una lingua nazionale, almeno per scrivere, e la sicurezza che ci dà il ricorso quotidiano al gergo e al dialetto. Siamo situati nel cuore della storia mediterranea, ma ci emozioniamo per il ritrovamento di frammenti di statue a Brindisi e lasciamo morire il trallallero dei portuali genovesi e i canti polifonici delle comunità albanesi al Sud. Servono dunque nuovi tasselli per le nostre ricostruzioni. Tasselli meno «trattati» dal gusto della catena di montaggio industriale (i Tazenda sono già troppo consolatori), eppure capaci di stare dentro l'industria attuale, cioè di farsi proposta almeno pubblica, se non di massa. Chi difende a spada tratta il servizio pubblico Rai, incominci a chiedergli maggior conto delle sue programmazioni (e non solo della sua innocuità, tanto cara a Pasquarelli), prima di demonizzare Berlusconi. E speriamo che, da dentro questo fermento sociale che chiede più serietà e propositività, nascano forze imprenditoriali audiovisive capaci di rapportarsi col mondo della cultura, anziché solo dal sottobosco della finanza locale o dalle imprese di mortadelle. Può sembrare una contraddizione finire questo discorso con l'invocare un'imprenditoria specifica, per il settore audiovisivo come per l'editoria. Eppure le dimensioni attuali della comunicazione impongono tanto interventi a favore delle microstrutture locali, quando un'articolazione di proposte ai livelli più alti. Paradossalmente proprio l'attuale febbrile erapida consumazione di ogni oggetto estetico, frutto dello shock collettivo per spaesamento e ipersensibilità, può far risaltare proposte originali, meno superficiali purché meno ideologizzate. Nessuna operazione nostalgia, dunque, nel «ritorno» ai valori nella comunicazione sociale, nonostante le speranze di parroci, ex-settantasettini e rifondazionisti vari. Un progetto ben più rischioso e «laico» per costruire spazi a proposte culturali autonome, capaci di misurarsi con il bisogno collettivo di riflessione e speranza.

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==