Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 31/32 - ago./set. 1992

bliche e dal governo federale. La Slovenia era la più restia, in quanto con la moratoria doveva annullare tutta una serie di misure esecutive. L'interpretazione della moratoria lasciava ancora a desiderare. L'intento perseguito era naturalmente il ripristino dello statu quo a tutti livelli di governo e in tutti i settori politici. Ciò significa una piena partecipazione alla presidenza federale, al governo federale e ai parlamenti; la revoca dell'esclusione della Slovenia e della Croazia dal sistema bancario centrale, la sospensione dei prelievi all'impostazione negli scambi intra-iugoslavi, ecc. Vi erano tuttavia delle perplessità reali quanto alla leggittimità e al contenuto democratico di alcuni organi statali federali. La moratoria ha consentito di dare il via alla Conferenza di pace dell'Aia, la quale non doveva risolvere solo i problemi tecnici di una separazione pacifica, ma anche la forma delle future relazioni intra-iugoslave; diversamente, non vi sarebbe potuta essere separazione pacifica, come si è purtroppo visto. La Slovenia è stata per così dire il primo dominio a cadere, cui ha fatto seguilo il crollo incontrollato e caotico della Iugoslavia. Ciò non ha solo effetti politici, ma anche ripercussioni drammatiche sul piano umano. La corrente nazionalistica dominante in Serbia sfrutta abbondantemente il vuoto di potere per ottenere un ampliamento del suo territorio o (cosa ancora più vantaggiosa) l'egemonia serba sul resto della Iugoslavia. Questa non è una soluzione accettabile, in quanto in tal modo viene danneggiata la posizione delle minoranze nel lungo termine. Il governo serbo aveva inizialmente dichiarato di non mirare ad ampliare così il suo potere, ma la promessa non è stata mantenuta a livello di politica. La moratoria non è stata rispettata né è stata utilizzata per cercare di organizzare le relazioni reciproche su una base di equità. I governi della Serbia e della Croazia non hanno piena autorità sulle milizie ormai radicalizzate. In tali condizioni risulta arduo far rispettare un cessate il fuoco. A giusta ragione il presidente della Repubblica federale tedesca ha rilevato in un'allocuzione di fronte al Consiglio d'Europa: «Le violenti tendenze scissionistiche i)JJ, BIANCO l.XILROSSO i H di Iiti) id I i lGC1~11 itii alimentate dalla discordia per motivi etnici, religiosi o sociali minacciano l'assetto civile e democratico tanto quanto il despotismo centralistico che intende reprimere con la violenza il diritto di autoderminazione delle nazioni e delle religioni». L'embargo sulle armi La richiesta di non fornire armi alle parli in causa del conflitto iugoslavo non sembra aver sortito un grande effetto. I fornitori di armi possono operare facilmente via mare. A dispetto dell'embargo, sembra che vengano fornite armi in grandi quantità, in particolare dalle milizie del Libano. Una questione difficile è il controllo della produzione interna di armi, oltreché la presenza di un esercito federale pesantemente armato e parziale. 1.'.embargosulle armi ha effetti selettivi a vantaggio della parte serba. Esso dovrebbe quantomeno essere integrato con provvedimenti atti a scoraggiare la produzione bellica nazionale. Buona parte dell'industria militare si trova in Bosniaso Erzegovina. Essa dà occupazione a circa 100.000 persone. Conformemente ai desideri del governo bosniaco, questa industria deve essere riconvertita verso la produzione civile. In tal modo essa può essere nel contempo sottratta all'influenza dell'esercito federale. Gli osservatori della Comunità La presenza di osservatori è stata inizialmente apprezzata in tutte le repubbliche. La zona del loro mandato era tuttavia troppo circoscritta. Solo in una fase successiva hanno svolto un ruolo preventivo (ad esempio in Bosnia-Erzegovina). Per la popolazione si trattava di un simbolo di coinvolgimento internazionale e di sicurezza. Di fatto essi potevano servire ad appoggiare l'autorità dei governi nell'attuazione della moratoria. Ci si attendeva inoltre un effetto di prevenzione della violenza. Per tale motivo la presenza degli osservatori era desiderata in tutte le zone in cui erano in corso o rischiavano di prodursi conflitti violenti. L'ampliamento del numero degli osservatori e del loro mandato era quindi ovvio. Purtroppo il governo serbo non ha vo1uto appoggiare l'ulteriore ricorso agli osservatori. Giacché l'esercito federale vedeva nella presenza di osservatori un'erosione del suo ruolo, nutriva fortissime riserve contro l'ampliamento del mandato. Non si tratta di controllori· dotati di competenza militare. Neanche i governi delle Repubbliche erano favorevoli. Non era del resto un'ambizione della Comunità spingersi più oltre. Vi sono però degli uomini politici iugoslavi che sostenevano la tesi: chi vieta la violenza deve garantire la sicurezza. Per tale motivo si è parlato di «caschi blu» della Comunità. Dalla Csce ci si attendeva chiaramente di meno. Comunque sia, l'accettazione di osservatori in tulle le aree di conflitto è stata un banco di prova per la buona fede delle repubbliche. Pressioni economiche La Comunità ha sfruttato al massimo i suoi mezzi economici e finanziari per riportare alla ragione le parli in conflitto. La sospensione degli accordi di associazione e

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