ricolo. Vi sono inoltre vari gruppi etnici di altra origine che, con altrettanto diritto degli slavi meridionali, si considerano autoctoni; questi gruppi hanno conservato la loro lingua e cultura. I vari gruppi etnico-culturali della Iugoslavia vivono in genere in zone non facilmente delimitabili in termini geografici. Tutte le attuali sei Repubbliche e le due province autonome hanno una popolazione culturalmente ed etnicamente mista. In questo contesto la Repubblica di Slovenia è la più omogenea, con più del 90% di sloveni, mentre il resto della popolazione è principalmente di origine croata, serba, italiana e ungherese. All'estremo opposto si situa la Bosnia-Erzegovina, che costiuisce un vero e proprio mosaico iugoslavo. La menzione di questa diversità sarebbe di per sé inutile, se non fosse che la storia, lo sviluppo economico e lo stadio istituzionale delle Repubbliche corrispondono in buona parte alle disparità etnicoculturali. In tal modo la caratteristica del- !' «etnicità», elemento del tutto esteriore e non scelto liberamente, assume un peso sproporzionato. Si distinguevano sei «popoli», segnatamente i serbi, i croati, gli sloveni, i macedoni, i montenegrini e (curiosamente) i mussulmani bosnici. Gruppi importanti come gli albanesi (nel Kossovo), gli ungheresi (soprattutto nella provincia autonoma della Vojvodina) e gli altri gruppi più piccoli non sono qualificati come popoli, ma come minoranze «in quanto hanno già un paese». Vi sono naturalmente molti cittadini di origine etnicamente mista. Parie di questi usavano chiamarsi iugloslavi (circa 10% della popolazione). I diritti delle minoranze sono più limitati rispetto a quelli dei «popoli» iugoslavi, come risulta in particolare dal fatto che per loro non sia previsto il diritto alla separazione come forma di autodeterminazione. Gestione delle diversità Le differenze esistenti all'interno della Iugoslavia hanno naturalmente determinalo la misura di integrazione dello Stato. Sia sotto la monarchia (nel periodo Ira le due guerre) sia nei primi anni del regime comunista si è cercato con forza di imporre ,{)li, BIANCO l.XILHOSSO • H 1181) ili I I M (i)~• Xii 46 l'unità. Ma già ai tempi di Tito è stato avviato un processo di decentralizzazione, tanto a livellosociale ed economico che politico (autogestione socialista). La Repubblica di Serbia era finora la più accesa fautrice dell'ideale dell'unità iugoslava. Importanti correnti in Serbia propugnano la tesi che tutti i serbi devono restare riuniti in uno stesso Staio, insieme con i territori che sono strettamente legati alla storia serba (Kossovo).Questa visione della «Grande Serbia» si traduce in pratica in un'aspirazione all'egemonia su un territorio ben più vasto di quello della sola Repubblica di Serbia, ossia una Iugoslavia di cui non facciano più parte sia la Slovenia sia i territori in Croazia non abitati dai Serbi. I.:approccio etnico all'interno delle singole Repubbliche può portare facilmente ad una discriminazione nei confronti delle minoranze di altre Repubbliche. È questo che si teme in caso di disgregazione della Iugoslavia. In Serbia tale approccio continua a tradursi nella repressione della «minoranza» albanese, che nel Kossovo rappresenta il 90% circa della popolazione. L'idea della Grande Serbia, che viene alimentata anche dalla paura che i serbi vengano relegati in condizioni di inferiorità in altre Repubbliche, ha suscitato altrove in Iugoslavia una sensazione di pericolo è risvegliato il sentimehto nazionalista. La radicalizzazione dei conflitti fino a sfociare in una guerra civile dimostra che quella paura non era infondata. Grazie all'attuale maggiore libertà di espressione il nazionalismo, un tempo represso, svolge ora un ruolo sproporzionatamente importante. La sensazione di minaccia è fortemente rinfocolata dal ricordo delle pratiche di sterminio dello stato vassallo croato contro i serbi e delle rappresaglie dei serbi contro i croati dopo la Seconda Guerra mondiale. Il rinvenimento ancor oggi di fosse comuni e le risepolture fanno si che la popolazione torni arivivere il passato. Non vi è stato alcun accenno ad un processo di riconciliazione. Il senso di colpa non è staio superalo. Su questo piano neppure le Chiese sono riuscite in Iugoslavia ad assolvere pienamente al loro compito. Tanto i tentativi dell'Assemblea delle Chiese europee quanto quelli compiuti da al-
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