Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 31/32 - ago./set. 1992

.{)!I. lll.\l\CO l.XIL llOSSO i•X■#hiil comunicazione nella società, e quindi, effettivamente, il rapporto tra funzione dirigente e struttura di apparato deve necessariamente cambiare. Questo è un discorso che vale in particolare per il Pds, e non so quanto valga per gli altri partiti, ma sicuramente è una questione essenziale. Prima di concludere, però, volevo fare una precisazione, sulla questione dei «riformisti», che prima ha posto Bettiza. I riformisti non sono stati espulsi da nulla, e non è vero che non sono rappresentati nel Pds. BETTIZA Sono emarginati! MANCINA No, semplicemente non sono entrati nella Segreteria. C'è stata una rottura politica e non sono entrati nella Segreteria per loro scelta. Non è stato deciso che i riformisti non entravano in segreteria. Essi hanno deciso di non entrare. Nessuno impediva loro di entrare in segreteria. Tanto è vero che i cosiddetti «comunisti democratici», pur non avendo votato su un altro punto dell'ordine del giorno, sono ugualmente entrati nella Segreteria. Quindi è una scelta tattica, forse più che strategica, dei riformisti comunque non è configurabile in nessun modo come un'espulsione o come un'emarginazione. Sono presenti in tutti gli organismi rappresentativi del partito, esattamente come erano presenti prima e cioè secondo precise quote. BETTIZA La politica tra i Giudici e le Leghe: o si riforma o è la fine Io volevo tentare, costruire una risposta più diretta e piu pertinente al problema che Camiti ci imponeva, in maniera quasi brutale, citando quell'ottima ed attualissima frase di Kelsen. Tocqueville prima di Kelsen diceva, riferendosi ai regimi autoritari - traduco un po' liberamente il suo concetto - «Non c'è niente di più dinamico in senso rivoluzionario del tentativo di uno stato autoritario di salvarsi riformandosi; non c'è niente di peggio per esso; quando lo stato autocratico cerca di correggersi con le riforme, è il momento in cui esso provoca veramente l'esplosione rivoluzionaria e accelera la propria fine?» Kelsen - traduco nuovamente e sintetizzo - dice invece che non c'è niente di più immobile in senso di decomposizione catastrofica di uno stato 32 democratico logorato che ha bisogno di riforma e non riesce, proprio perché logorato, a riformarsi. Ammettiamo che il male italiano rientri un po' nella categoria delineata e fotografata così bene da Kelsen, il quale aggiunge che ci potrà essere rigenerazione, palingenesi, soltanto se avremo un fatto esterno traumatico. Mi pare che in Italia questi fatti esterni è traumatici ci sono già e sono due: Di Pietro e le Leghe. Non sto dando giudizi morali ma politologici dei due fenomeni. Di Pietro, involontariamente, senza esserne cosciente, inserendosi con la sua azione risanatrice - in sensomorale e giuridico-, nel momento di maggior vuotodel sistema partitocratico italiano, sta provocando quasi gli effetti di una specie di colpo di stato inconsapevole. Per esempio nella seconda cittàitaliana per importanza - Milano - sono state praticamente decapitate alcune dirigenze dei partiti tradizionali: democratici, socialisti, repubblicani. Dunque siamogià di fronte ad un evento traumatico. A questo si aggiunga il fenomeno delle Leghe che, secondo me, certamente è un fenomeno di destra, è un fenomeno di poujadismo aggiornato e di razzismo più o meno esplicitato sono perfettamente d'accordo con l'analisi che ne faceva Tamburrano. Però al di fuori del giudizio di valore, del giudizio etico sulle Leghe, dobbiamo constatare che c'è un grosso nucleo settentrionale della società civile italiana che confluendo o foreggiando le Leghe pone al vecchio sistema italiano un AutAut. L'ultimo discorso di Bossi, il kalashnikov, sarà simbolico, ma comunque quando uno· comincia ad accennare a fratture violente e fisiche con la realtà politica, sociale, statale e nazionale che lo circonda, vuol dire che si pone di fronte al sistema in maniera aggressiva e traumatica. Il sistema - secondo me - è già arrivato a provocare due fenomeni di rigetto che hanno le caratteristiche di fenomeni estremamente traumatici rispetto all'esistenza fino all'altro ieri. La risposta per salvare la democrazia. Io non vedo che un'unica risposta: il ricambio. Non c'è altra risposta. È inutile parlare di riforme elettorali sia a livello parlamentare sia a livello presidenziale, inutile parlare di qualsiasi riforma istituzionale se prima non si riesce a produrre le condizioni politiche per il ricambio; poi potremo affrontare il problema delle riforme, affrontare il problema della creazione artificiale di un De Gaulle, di un Presidente eletto dal popolo, quello che volete. Ma se noi non ci poniamo il problema che i fatti traumatici sono già in atto e virulenti, e che non

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