~jJ,BIANCO l.XILROSSO •IUiki)i1iiMH soverchiante. Dopo quello che è successo non possiamo continuare a scrutare ansiosamente il deserto dei Tartari dalle torri della fortezza Bastiani. l:invasione mafiosa è già avvenuta e ci stringe da vicino. Possiamo pensare che alla fine non vincerà. Perché ha solo ferocia, non verità. Ma con questa prospettiva i conti sono aperti e non c'è da illudersi sulla durata e la difficoltà del passaggio. Per poterlo affrontare dobbiamo ricostruire una speranza. Non solo per il futuro, ma per l'oggi. Perché questo possa avvenire occorre realizza - re subito una duplice condizione: uno Stato che funzioni nell'azione preventiva e repressiva contro la criminalità organizzata ed uno Stato credibile sul piano politico ed istituzionale. Bisogna riconoscere che oggi non c'è né l'una né l'altra condizione. Il rischio peggiore per le sorti della democrazia è che tutto si risolva quindi in una invettiva irrimediabile contro la politica. Per recuperare credibilità e scongiurare questo pericolo bisogna che la politica accetti davvero di essere giudicata abbandonando la pretesa di potersi autenticare al di sopra di una misura morale. D'altro canto se la politica si ritenesse ingiudicabile le persone per bene avrebbero più di una ragione per non frequentarla. Poiché molti fatti, compresa la tragedia dell'ultima strage di Palermo indicano che la crisi di credibilità dello Stato è arrivata a soglie intollerabili, nessuno può illudersi che si possa incominciare a superarla senza un profondo cambiamento della politica. Che vuol dire rinnovamento di regole, di comportamenti, di uomini. Le questioni che si pongono nella lotta contro la mafia sono irte, difficili, a volte addirittura terribili, ma non insuperabili. A patto però che si dia al paese la visibile dimostrazione che la politica ha voltato davvero pagina. Ha rotto ogni contiguità. Se questo non avvenisse non basterebbero certo personali oneste indignazioni, a rimuovere, nel paese, il rimorso del «vero orrore». * * * Unpassoavantie unoindietro di Pierre Carniti L a manovra economica, con la quale il governo spera di ridurre di 30 mila miliardi un disavanzo che diversamente rischia di farci affondare, induce ad alcuni apprezzamenti, qualche riserva ed un dubbio. L'apprezzamento è per il fatto che le misure escogitate da Amato per la maggior parte innovano vecchi ed assai discutibili criteri di intervento correttivo dell'andamento del bilancio. Uno dei principali elementi di novità è infatti la scelta di colpire il meno possibile redditi e consumi e tassare invece la ricchezza. Per la prima volta al posto dei redditi si toccano i patrimoni. Pagano soprattutto quelli che hanno «soldi». Sia sotto forma di «conti bancari» che di «mattoni». Non sarà certamente il massimo dell'equità, ma sicuramente è meglio di idee cervellotiche come l'addizionale lrpef, di cui si è parlato quest'anno, o la raffica di aumenti dei beni e servizi acquistati dai consumatori, con inevitabili effetti inflazionistici praticata gli anni precedenti. 3 Oltretutto non dovrebbe dispiacere il fatto che per la prima volta pagheranno anche quelli che prendono tangenti, i mafiosi, gli evasori totali. Tutte persone che non possono fare a meno di servirsi largamente dei conti bancari sui quali detengono spesso somme cospicue e che investono prevalentemente proprio nel settore immobiliare. Certo, forse sarebbe meglio che di queste persone si occupasse soprattutto il giudice penale ma, in attesa che ciò avvenga, non si capisce perché di loro si debba disinteressare anche il fisco. Si deve inoltre apprezzare il fatto che i provvedimenti, in particolare quelli contenuti nel disegno di legge delega, configurano parecchio di più di una delle consuete manovre tampone. Contengono infatti, almeno il proposito, di correzioni strutturali dei meccanismi che hanno finora generato disavanzi ed impedito il buon funzionamento dei mercati. Questi sono, dunque, i principali elementi positivi del provvedimento. Veniamo alle riserve. Sol-
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