Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 31/32 - ago./set. 1992

,P-tJ, BIANCO lXll,ROSSO iiX•®•lil può essere un mondo senza partiti, così come li abbiamo conosciuti. Non credo che siamo di fronte ad un pericolo di fine della democrazia: i vincoli internazionali e i processi mondiali non consentirebbero oggi, in Italia, una fine vera e propria della democrazia. Credo che siamo di fronte ad un processo di trasformazione profonda della democrazia italiana, processo che naturalmente può avere esiti diversi che non sono scontati, non interamente prevedibili. Un esito possibile è quello di un mutamento di forma che costituisca anche un restringimento della democrazia, un rafforzamento dei poteri forti e una diminuzione dei poteri dei cittadini ma questo non vorrebbe dire tout-court la fine della democrazia, perché ci sono forme e livelli diversi di democrazia. Credo che il punto sia chiedersi se nel nuovo assetto istituzionale, per me inevitabile, questi partiti saranno ancora presenti, in che forma saranno presenti, quali trasformazioni devono affrontare per essere ancora presenti. Personalmente considero preferibile una democrazia dei partiti ad una democrazia senza partiti, però questo comporta, per l'appunto, che i nostri partiti sappiano trasformarsi, e probabilmente alcuni di essi non riusciranno a traghettarsi in un'altra forma, in un altro assetto istituzionale. Per quanto riguarda i partiti della sinistra. Baget Bozzo ha parlato di leninismo. Anche l'uso di questa categoria mi lascia· alquanto perplessa. Il 19 Pci non è stato affatto un partito leninista. Non credo che sia utile usare questa categoria in riferimento al Pci. Il Pci è stato esattamente una rottura con il modello di partito leninista, molto più vicino ai partiti socialdemocratici nella sua costituzione materiale, cioè nella sua base di classe, nella sua base sociale, nel suo rapporto con la società, precisamente perché il Partito Comunista Italiano non è stato un partito giacobino, è stato invece un partito con un fortissimo radicamento sociale e con un fortissimo rapporto di scambio, anche di scambio di elaborazioni e di risorse umane ed intellettuali con la società. E questa, direi, è una considerazione che rende ancora più grave la crisi del Pci e la crisi dei partiti della sinistra perché se potessimo riportare tutto al leninismo, forse avremmo più margini di movimento, più margini di riflessione ed anche, forse, di iniziativa. Credo che invece qui ci sia un problema più grande e più generale che è quello dei partiti operai, quindi dei partiti identificati per una forte rapporto con la base operaia e quindi con l'idea della classe operaia come soggetto generale e non elitario. Non mi pare che il Pci sia stato un partito elitario, come non mi pare siano elitari i partiti socialdemocratici europei, mentre sicuramente è elitario il partito leninista. Il Pci e i partiti socialdemocratici hanno avuto un rapporto, - anche qui a differenza dal leninismo - fortissimo e costitutivo con lo stato/nazione. In essi c'è una radice che

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