Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 29/30 - giu./lug. 1992

i.>.l.L BIANCO '-XILROSSO MiiklilUII fronti dei politici, ma non si è mai lasciato prendere dalla tentazione di ridurre, nei loro confronti, un impianto di verifiche istruttorie, di riscontri d'indagine e di accertamenti rigorosamente collegati a responsabilità giudiziarie, pur se esercitate - come detto - senza alcuna rassegnazione burocratica. Falcone, in altri termini, ha saputo testimoniare un modo nuovo di fare il mestiere di giudice, all'altezza della sfida mafiosa, ma non ha mai rinunciato ad essere un magistrato: come dire che non ha copiato sentenze o capi di imputazione dagli articoli dei giornali o dai palinsesti televisivi; come non ha accettato di anticipare o stravolgere le conclusioni del suo lavoro sulla base dei tempi, delle utilità o delle opportunità di progetti politici personali o di gruppo, dovunque ed a qualunque livello si collocassero. Esattamente agli antipodi del principio secondo cui una sentenza è buona, giusta e coraggiosa se produce conseguenze politiche, se è funzionale a un disegno precostituito, tanti risultati importanti dell'attività del suo ufficio hanno consentito di dimostrare come un lavoro serio, ostinato, coraggioso possa, attraverso provvedimenti giurisdizionali positivi, determinare anche risultati «politici». Contribuendo soprattutto ad alimentare speranze, ad incoraggiare collaborazione e sostegni esterni all'azione della magistratura, a legittimare un bisogno irrinunciabile di fiducia nei confronti delle istituzioni democratiche. A dispetto di tante incomprensioni e di imperdonabili strumentalizzazioni, la mafia non ha mai sottovalutato né dimenticato il rischio rappresentato da Falcone per i propri interessi e per la pro9 pria incolumità. Non comprendo, allora, il perché di tanti interrogativi sul movente dell'attentato o sul momento in cui si è realizzato. Solo chi teorizzava, con motivazioni al di sotto di ogni sospetto, che Falcone avesse disarmato o, peggio ancora, disertato può annegare nei labirinti di complicatissimedietrologie un evidente imbarazzo, purtroppo alla memoria. Che fosse destinato ad assumere la responsabilità della superprocura o a mantenere l'incarico presso il Ministero di Grazia e Giustizia o a rinnovare in altre sedi e con altre funzioni un impegno attivo, Falcone rappresentava per competenza, professionalità, coerenza e determinazione un pericolo attuale e costante per la criminalità mafiosa. Così come da «pensionato» sarebbe comunque stato un nemico reale, di cui vendicarsi in qualunque momento se ne fosse presentata l'opportunità. Se ripercorriamo la concatenazione drammatica degli attentati e degli omicidi di mano mafiosa, ci accorgeremo che la mafia non ha mai sparato nel mucchio, spesso solo verbosamente sovraffolato, dei suoi avversari, né si è lasciata fuorviare dagli indici di successo. Ha sempre colpito là dove più grave, se non proprio incolmabile, era il vuoto che si veniva a creare e, in conseguenza, massimo il vantaggio criminale che ne poteva derivare. Proprio perché l'esempio di Falcone non è astratto, e non tutto il patrimonio di esperienze e di indicazioni operative ad esso collegato muore con lui, sono convinto che si possa continuare o, per altri versi, ricominciare da dove Falcone è stato costretto ad abbandonare il campo.

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