Sanctis. Vi pare domanda indiscreta questa, di fare per me, voi, miei concittadini, quello che fa quel nobile collegio al quale appartengo? E se questo fate, udite la mia dichiarazione, e pensate che io non ho mai mentito in vita mia. Io sono vincolato, io ho data la mia parola d'onore a Sansevero, <leggio essere deputato di Sansevero. Ma io andrò là e dirò: «la mia patria mi chiama, la patria tutta intera, e voi siete troppo nobili, troppo generosi, e sapete apprezzare questi sentimenti. Restituitemi la parola data, non mi togliere la patria!». I visi che si erano oscurati, raggiarono. Vidi raggiare anche quel viso incerto di Carlo, anche il classico don Vincenzo si mosse sulla sedia. Prolungati applausi accolsero una dichiarazione così recisa. Io mi sedetti, come chi non aveva più nulla a dire. Ma stavano lì, immobili, attenti, quasi volessero dire: è finito troppo presto. Ed io così seduto, continuai con voce familiare, facendo un po' di storia e del collegio e delle proteste e del ballotaggio, ed ecco, mi sovvenni del Roma, e del famoso passaggio a Sinistra. E mi levai con impeto e dissi: «quello che dice il Roma, avete letto. Il mio competitore è divenuto Sinistra. .P.tLBIANCO l.XILROSSO E sono Sinistra anch'io, una sinistra autentica, che non ha bisogno di bollo. Il mio competitore è sacro per me. Non una parola uscirà dal mio labbro, che non sia gentile. Del resto, non è affar mio; riguarda i suoi elettori. La quistione così è divenuta molto semplice. Non fo questione io di Destra e Sinistra, fo questione di patria. l'.esule vi domanda la patria, date la patria all'esule.» Scesi tra vivi applausi, circondato dalla folla, vidi alcuni che si asciugavano le lacrime, strinsi molte mani incallite dal lavoro, e augurai bene di quel paese. Nell'uscire incontro il teologo. La sua faccia rideva, era tutto consolato il brav'uomo, e mi disse abbracciandomi: «Ah Ciccillo! non senza un perché lo zio ti chiamava penna d'oro. Che bella predica hai fatta!» «Èfinita la predica, finita la messa», diss'io tutto sbalordito. E lui mi guardò stupefatto. Dovette dire: a forza d'ingegno costui uscirà di cervello. Andai a casa subito. I piedi mi bruciavano. Avrei voluto essere già a Bisaccia. Mangiai distratto. Lodavano l'orazione. Quei complimenti d'uso mi facevano male.Sul partire dissi a Carlo, che mi parve 87 commosso: «Dubitipiù?» «Ahno» «Siidunque un omo serio». Il teologo mi condusse a casa sua. Vidi la Maria, ch'io chiamava la generalessa, indicatami come capo ed anima delle lotte elettorali. La mia parente mi trasse in disparte, e mi disse in tutta segretezza: io ti ho fatto molti voti! Ah! bricconcella, dissi tra me, tu me la dai a intendere. Gradii un bicchierino, scesi subito, mi posi in carrozza tra molta folla plaudente, e via. Non mi facevo illusioni. Mi lasciavo dietro un lavoro seriamente ordito e rimasto intatto. Molte passioni, molti interessi erano abilmente mescolati in quel lavoro. Né io avevomodo di disfarlo.Il sindacomi disse con la sua sincerità brusca: avraigli stessi voti. Ma pensai che qualche eco della mia parola sarebbe pur giunta a' miei invisibili, e che a ogni modo qualche buona impressione sarebbe rimasta nel paese. Seppi poi che la sera, conosciutol'effetto del mio discorso, giunse a incoraggiamento degl'invisibili questo telegramma epigrafico: «L'entusiasmopassa, gl'interessirestano». Come disse il teologo, pensai io. E vuol dire che l'uomo passa, l'animale resta.
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