le scuse. Gli altri saranno avvisati. Attesi un poco chiacchierando, girando, e non vennero, e vidi che era partito preso, e mi turbai. Questo poi non m'era venuto in capo, non me l'aspettavo. Non venirmi a visitare, era già poca cortesia; ma ricusare di sentirmi a me parve un fattosenza nome. E dev'essere deliberazione fresca, pensai, perché appena venuto, Carlo disse: ci giustificheremo. Qualche motto d'ordine ricevuto. Non andate a sentirlo, hanno detto; il fatto di Rocchetta li ha impensieriti. E forse hanno detto: gliene faremo tante, che gli scapperà la pazienza, e se ne tornerà. In verità non avevano ragionato troppo male, perché, trattato a quel modo, dissi: che fo più io qui? Gli avversarii rimangono invisibili: a chi discorro io? deggio convertire i già converiti? Il mio discorso è senza scopo. Ma levai gli occhi, e vidi tanta brava gente venuta lì per sentirmi, e lessi nelle loro fisionomie una espressione così sincera di benevola aspettazione, e vidi so'. prattutto quel popolo lì ammonticchiato in aria così semplice e così avido della mia parola che ne fui preso, e salii in fretta gli scalini di una specie di piedistallo; e respinto da me il seggiolone, così in piedi cominciai a dire: «Amicimiei, la mia presenza qui nel cuore dell'inverno vale tutto un discorso; quest'atto vi prova il mio affetto per voi e il vivo desiderio di esser vostro. Io vengo senza corteggio di giornali, di comitali, di carrozze, io vengo solo, non portandomi appresso altro che il mio nome». L'allusione fu colta a volo; sentii dir: bene! da' più vicini. Inanimato, continuai: «Io voglio spiegarvi cosa è per me Lacedonia. Né miei primi anni sentivo spesso parlarmi dei nostri parenti di Lacedonia, e voi sapete che in quella età la patria non è ancora che la famiglia, la patria è la parentela, sicché nella mia immaginazione infantile univo insieme Morra e Lacedonia, come una patria sola». Questo pensiero nuovo e delicato in una forma così semplice era troppo sottile, e non fece effetto. Tirai innanzi. «Poiandai via. A vent'anni, col core caldo, con l'immaginazione dorata, in mezzo a tanti giovani più amici che discepoli, mi tornò innanzi Lacedonia, e venni qui a cercarmi la sposa, e conobbi qui l'arciprete e il teologo, e molti altri, e se non vi acqui- ~li, BIANCO lXILROSSO iitifiii i MW ki 1 stai la sposa, credei di avermi acquistato amicizie incancellabili. E chi avrebbe pensato allora, accolto con tanta festa, pure ignoto al mondo, che in così tarda età, tornando fra voi, avrei trovato qui avversarii, e alcuni, che è peggio, in sembianza di amici?» Questa punta troppo smussata non punse alcuno. Sentii che dovevo parlare tondo e forte. «Quale fu la mia vita poi, voi lo sapete. Illustrai la patria con l'insegnamento, e cacciato in esilio, la illustrai con gli scritti, che forse non morranno; e forse un giorno i vostri posteri alzeranno statue a colui, al quale voi contendete i voti». Botta dritta questa. Il teologo si scosse un po' il petto, come avesse sentito lo strale dentro la carne. Non se l'aspettavano. Io mi facevo io stesso il mio piedistallo, e li guardavo dall'alto e la voce era concitata. «Tornaidall'esilio con l'aureola del martirio, del patriottismo e della scienza, e fui Governatore di questa provincia, e fui ministro di Garibaldi, e fui deputato di Ses- \ /S~ ... ------>4• .~·. l' ~-, 'j 1//·.' I •.. i:·: i, (f:·l·! 1:/,f ! ·>' ,. ,_:...L 86 sa, e non fui deputato di Lacedonia. Voimi preferiste Nicola Nisco, ancorché eletto in altro collegio, e decretaste il mio esilio dal collegio nativo. Dopo quattordici anni di cotesto esilio, l'esule viene a chiedervi la patria, date la patria all'esule». La mia voce era tremula; la commozione aveva invaso me, e invase tutto l'udito rio. Una salva di applausi mi mostrò che avevo trovato la via dei loro cuori. «Io voglio la patria mia, ma non voglio un pezzo di patria, voglio la patria intera. Se debbo essere qui l'amico degli uni contro gli altri, meglio l'esilio, confermate il mio esilio. Tutti dite di amarmi, di stimarmi; bella stima in verità! posto in uno dei luoghi più elevati presso la pubblica opinione, i miei concittadini hanno volutodarmi una promozione, e fanno di me un alfiere, il porta bandiera di questo o quel partito». I più intelligenti sentirono l'ironia. Don Pietro sorrise finalmente. «Io qui non porto la guerra, non voglio essere il flagello della mia patria; se debbo consacrare a voi gli ultimianni miei, voglio essere il padre e il benefattore di tutt'i miei concittadini. Io non porto bandiera altrui; sono io la bandiera, e la mia bandiera si chiama concordia». Questo appello alla concordia era prematuro; le passioni erano ancora vive; stavano sospesi, come chi attenda che si dica altro. «Non dico già che le lotte non ci abbiano ad essere. Senza lotta non ci è vita. Lottate pure. Ma ricordatevi che se uomini civili siete, qualche cosa nelle vostre lotte vi dee pure unire. Che cosa è questa casa comunale, se non un primo legame Ira voi? Comune vuol dire unione. Sieti divisi, ma siete tutti figli di Lacedonia. E se taluno dicesse male di Lacedonia, non vi sentireste tutti offesi, tutti come una sola persona? Guardate la Chiesa. Non è la Chiesa il legame comune in nome di Dio, al quale credono tutti quelli che credono alle virtù e operano virtuosamente? E se l'Italiavi chiama alle armi, non vi sentireste voi tutti italiani, non correreste tutti alle armi? Ebbene: aggiungete a questi legami anche il mio nome, e non lo profanate, mescolandolo alle vostre lotte. Imitale Sansevero,dove pure lotte ci sono, ma dove si dice: i panni sporchi si lavano in famiglia, non dobbiamo lasciarli sventolare innanzi a De
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