Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 29/30 - giu./lug. 1992

chetta, stringersi le mani, e tutti uniti a fraterno banchetto e Michelangiolo farà la spesa. Poi risi io stesso di questa mia esaltazione, e dissi: Non credo al banchetto per oggi; ma chi sa! sarà un augurio. Con miglior animo mi rimisi a quella tela, e mi feci a pescare nella memoria qualche cosa che avesse tratto a Lacedonia. Riandai gli anni giovanili, andai più indietro, cercai le prime impressioni, dove trovavoLacedonia, e mi balzò innanzi un pensiero delicatissimo, il quale mi pareva dovesse produrre un effetto straordinario sugli animi più duri e quasi bastare esso solo ad amicarmeli. Avevonegli orecchi già gli applausi. Inanimato tirai innanzi, e poiché pare, diss'io, che qui pochi mi conoscano, voglio fare a rapidi tocchi la mia storia; ma lanciato appena tra' flutti del passato, vi errai come un naufrago, e dimenticai il discorso. Quella concitazione nervosa mi disponeva alla tenerezza, e talora m'asciugavogli occhi. Diavolo! che sono donna? dicevo. Ma la via alle lacrime era fatta, e le mie rimembranze presero un aspetto irrimediabile di malinconia. La mia storia mi apparve come una processione di morti. Quanti mi si offersero innanzi pieni di vita e di allegria, compagni del miei trastulli e dei miei sogni! E sono morti. E non torneranno più. lti via come il fumo del sigaro. Eio stesso, quanto di me è ito via! Dove so-. no i miei amori, i miei ideali? chi mi ridà la mia giovinezza? Quando viene la morte, già molta parte di noi è morta. Moriamo a poco a poco, visti prima morire madre e padre, e maestri, e amici, e compagni. Qui stesso in Lacedonia, dov'è più Isidoro? dov'è Angelantonio? Di eternità nel mare... Equi cercai alcuni bei versi di Schiller, e non me ne ricordavo, e in quello sforzo risensai. O che! dissi io, comincio a sentire di vecchio. E mi fo la nenia a me stesso. Emai non ho avuto tanto bisogno di essere vivo. Mi restano tante cose a fare. E io penso a' morti. Pensiamo al discorso. E volevo ripigliare il filo, quando siannunziarono visite. Nessuna faccia nuova. Semprei soliti. Mancava l'arciprete e il teologo.Carlo sogghignando mi disse: la si è capita! lei viene per il signor Ripandelli! Questa è la riflessione che ha fatto Lacedonia stanotte? diss'io; già s'intende; mi aveteveduto venire nella sua carrozza! Ma {)JJ, BIANCO lXILROSSO • ititlIO• l~l 111 un altro mi si avvicina lentamente, e ammiccando dell'occhio mi mormora: no, no, lei è venuto qui per un altro, per un altro! Ed ecco entrare Cipriani, arrivato di lontano, piombato in quel punto in Lacedonia. «Ah! ah! la si è capita! Cosa viene a fare qui costui? E fosse del collegio! Cosa ci cova qui sotto». E guardavano lui e me, che gli stringevo la mano e gli davo il ben venuto. Emi si fa innanzi l'inevitabile Carlo. «Volete essere il deputato di tutti. Sapete bene che tutti gli elettori non potete averli. Ponete una condizione che sapete impossibile». Questo dicevano le parole; ma gli occhi sospettosi volevano dire: foste venuto qui a mistificarci, eh? Sorrisi; poi dissi: le parole non vanno prese alla lettera; tutti, vuol dire la maggior parte. Del resto, venite a sentirmi tutti, ecco quello che domando io; giudicherete poi, e farete a vostro piacere. «Ledisposizioni sono prese, disse il sindaco; la sala comunale già si riempe, e vi attendono». 85 «Maqui verranno tutti gli elettori di Bisaccia»; aggiunse in fretta Cipriani. «E se si fossero dati gli avvisi in tempo potevano venire anche quelli di Monteverde», notò un altro. Altri poi attendevano mezzo Avellino. Nella loro immaginazione ci era carrozze, trofei, viva! e il famoso sparo de' cannoni, e De Sanctis saltato in aria. Ma non venne Bisaccia, e non venne Monteverde, e non venne Avellino._E mio fu il dispiacere. Perché quel giorno, avrei compiuto il mio viaggio elettorale, o con un trionfo, o un fiasco tale, che me ne sarei partito con l'ingrata patria! sul labbro. Venne solo da Bisaccia don Pietro a dirmi che colà tutti mi attendevano. Modi semplici, faccia intelligente, aria modesta, ma risoluta. Lo trattai come un vecchio amico; pure allora lo vedevo per la prima volta. «Andiamo», disse il sindaco. «Datemi una mezz'oretta, ch'io mi raccolga». Chiusomi, riepilogai bene in mente l'ordine delle idee, come fo sempre, ben determinato a parlare con estrema sincerità e col core in mano. Per parte mia debbo fare il mio dovere, togliere ogni pretesto, ogni equivoco. E mi pareva quasi impossibile che i cuori anche più rozzi potessero resistere alla mia sincertà e al mio affetto. Mi venne in mente una parola francese che rispondeva così bene al mio concetto.Edissi: io debbo con la potenza della parola enlever tutto il collegio. Pregai Michelangiolo, se mi volevaaccompagnare. Ma Michelangiolo se ne sta attaccato al foco, e non c'è cristi che lo smova. Trovaila sala piena, tutte le sedie occupate, molto popolo agglomerato in fondo. Vidi a destra trà i primi Don Vincenzo, il classico e il cosmopolita,e me ne compiacqui. A sinistra vidi don Pietro di Bisaccia, e gli strinsi la mano. Pregai il sindaco volesse farmi conoocere i principali elettori. Girai un poco, scambiai qualche motto, strinsi la mano a parecchi che rammentavo, ma finito il giro, dissi un po' turbato: e il Canonico Balestrieri? e Saponieri? e il Salzarulo? e l'arciprete? e il teologo? Il teolgo entrò, e si pose fra gli ultimi quasi volesse farsi vedere e non vedere. L'arciprete mi dissero all'orecchio ch'era ito ad assistere un moribondo, e mi faceva

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