i).li~ BIANCO l.XILROSSO • iXiXI 11ilW 11 Ildiscorsoelettorale apoli, 24 febbraio N Io soglio meditare passeggiando. Se mi seggo, le idee mi si abbuiano e mi viene il sonno. Ho bisogno di stare in piedi, di avere ritta tutta la persona. E quando medito, fossi anche fra cento persone, sto sempre lì, non mi distraggo mai. Mi chiamano distratto. La verità è che siccome per me l'importante è spesso quello che medito e non quello che dicono, tutto quel vento di parole che mi soffiaall'orecchio non giunge alla mente, non può distrarmi. Pure s'ingannano quelli che veggendomi così raccolto in me, credono che io mediti sempre cose gravi e importanti. La concentrazione diviene abitudine malaticcia, e spesso dietro a quel raccoglimento non c'è che un inutile fantasticare. Nella mia vita ho meditato più che letto. E a forza di lavoro il cervello hd preso la pessima abitudine di lavorare anche dove non è materia, lavoro a vuoto e malsano, e talora quello che appare meditazione, non è che castelli in aria continuati a lungo, e ci sto dentro e mi ci diverto. Sicché, trattando anche argomenti gravi, che richiedono tutta l'attenzione, mi avviene che sul più bello mi si rompe il filo, e mi distraggo, e rifò qualche castello, e mi si mettono a traverso le impressioni della giornata, camminando sempre, e il moto più mi eccita, insino a che stanco mi seggo e chiudo gli occhi, e addormento quelle onde e torno in porto. Il pensiero mi dice che bisogna stare stretto all'argomento, tirar dritto, pure mi interrompo, e dico a me stesso: bravo! oppure: No, non va così: e armeggio e gestisco, e mi distraggo dietro a' miei castelli. Scrivere mi riesce difficile, perché non metto in carta, se non dopo lungo battagliare con me, e se vengono pentimenti e son costretto a cassare, quel foglio mi pare brutto, e lo stracdi Francesco De Sanctis 84 cio, e da capo. Parlare mi è più facile, perché mi scrivo su d'un pezzetto di carta l'ordine delle idee, o come si dice, lo scheletro, e il resto lo abbandono al caso, salvo qualche punto che m'interessa e mi attira, e dove studio a trovare la forma più adatta. Però siccome non sono nato attore, anzi sono sincerissimo, quando giungo lì, ci giungo freddo, e come volessi acchiappare per aria qualche cosa che non ha a fare col resto, e tutti se ne accorgono, e la tanto studiata frase non ha effetto. Così mi avvenne anche in Lacedonia. Ordii nella mente la tela del discorso, e mi fu assai facile. Parlando a un pubblico mescolato di amici e di avversari tenaci, che non si erano degnati di venire a farmi visita, pensai che dovevo mirare più a questi che a quelli, e mi promettevo di dire loro tante cose gentile. Io mostrerò loro quanto antichi e quanto saldi sono i legami di affetto, che mi stringono a Lacedonia. Mostrerò il vivo desiderio che ho di riascquistare la mia patria, se essi me ne porgono il modo. Trarrò da loro ogni sospetto che io venga qui ad appoggiare un partito ad essi contrario. Io voglio essere, conchiuderò il deputato di tutti... E perciò di nessuno! Questa voce sonò nel mio cervello e mi ruppe la meditazione. Il cervello cominciò a sottilizzare, come un vero teologo. E non ci fu verso di cacciar via il teologo. Ah! maledetto il riso del mio teologo! E lo vedevo lì, dirimpetto a me, che mi faceva le fiche e rideva. Tu vorresti ch'io mi chiamassi gli elettori ad uno ad uno e dicessi loro qualche parolina all'orecchio. E se è così, vanne in malora tu e la tua storia, amo meglio la mia poesia. A tuo dispetto io qui rifarò Rocchetta la poetica, e chiamerò Lacedonia l'arcipoetica. E non ci sarà più dietroscena, e ti farò assistere a questa scena io, che vedrai tutti, come a Roc-
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