Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 29/30 - giu./lug. 1992

{)JlBIANCO '-XltROSSO •iXitiliiMl(n una grande lezione: «Avevoimparato più in quei paeselli che in molti libri... mi ha fatto un gran bene rinfrescarmi con nuove impressioni. ..» L'esperienza parlamentare fu una grande delusione, e De Sanctis fu, in pratica, stritolato dallo scontro dei partiti e delle fazioni, perdendo anche in credito locale, al punto che nelle successive elezioni subì l'amarezza, definitiva, della bocciatura da parte dei suoi concittadini. Il suo sogno di dare luogo ad un genuino bipartitismo, alimentato nel 1876 dalla vittoria della Sinistra, si dimostrò effimero: la sua azione politica, durante il suo mandato parlamentare, fu soprattutto quella di richiamare i partiti, e il suo, alle esigenze della chiarezza e del rifiuto delle beghe e dei compromessi, al rispetto dei principi dei diritti dei cittadini e all'unità contro i conservatori. Invano. Riflettendo amaramente sulla politica italiana, ebbe a scrivere che in Italia, a differenza degli altri paesi, le uniche basi della politica erano «le clientele» e «i localismi», che egli chiamò «le due piaghe d'Italia». Leggendo alcune cose che scrisse contro la Sinistra di allora, descritta da lui come «un partito omnibus, tutt'insieme progressista, conservatore, radicale, democratico, liberale, autoritario», è difficile non sentire quanto quelle sue parole suonino ancora per oggi. «Il campo, - scrisse-, rimane, così aperto agli avventurieri, fabbricatori di combinazioni politiche almeno una volta al mese, lusingando tutti e ingannando tutti». Era il momento, per lui, del fallimento di una intera classe dirigente, nella confusione di ciò che poi fu chiamato «trasformismo». «Non sappiamo più cosa è Destra e cosa è Sinistra, e cosa vogliamo, e dove andiamo. Sicché gli uomini anche più reputati si astengono da dichiarazioni troppo assolute e si riserbano sempre un mezzo termine per patteggiare col domani». Egli pose, in quel tempo, nella critica agli intrallazzi e ai compromessi di beghe e di poteri, una vera e propria questione morale nella politica. Aveva appoggiato i vari governi di sinistra nella speranza che cambiassero le cose, ma arrivò a scrivere che non consentiva a nessuno di chiamarlo «ministeriale», cioè uomo di governo, perché «ministeriale significa colui che cerca favori e protezioni da tutti i ministri». La conclusione della sua esperienza politica fu amara: egli si convinse che la ricerca di un avvicinamento delle classi, il superamento delle divisioni italiane, la creazione di due grandi blocchi programmatici, di centro-destra e di sinistra, erano ancora lontani. Resta indiscussa la sua lucidità politico-sociale. Per primo avvertì, con 50 anni di anticipo, il rischio che la libertà avrebbe corso appena fosse sorto qualcuno che si fosse rivolto direttamente al popolo, promettendo magari falsamente riforme e progresso, scavalcando le immobili diatribe del Parlamento che allora appariva impotente: il primo partito che si fosse rivolto al popolo con un programma di riforme sociali, - scrisse -, sarebbe diventato «il padrone d'Italia», anche a rischio della libertà democratica. La sua opera, pur con i limiti del tempo e della persona, resta l'elogio della politica possibile, contro la pratica del trasformismo, dell'affarismo, delle beghe localistiche, della retorica che serve a mascherare la mancanza di programmi e di linea politica ... Denis Mack Smith, che ha introdotto una edizione di questa opera di De Sanctis, conclude la sua prefazione sottolineando che essa, al di là del sapore di epoca, ha anche «un valore di testimonianza dei mali che tuttora affliggono la vita politica italiana». Pare difficile, più che mai oggi, dargli torto. (G.G.) 83

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