Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 29/30 - giu./lug. 1992

i.)_1.t BIANCO lXILROSSO MiikKilld Falconeo:ltrelamorte riprenderlea suaeredità di Luigi Cocilovo uando Falcone iniziò a costruire il «pool» Q antimafia presso l'Ufficio istruzione del Tribunale di Palermo, ero segretario della Cisl siciliana. All'epoca ho nutrito anch'io alcune perplessità sull'impianto, non certo sugli obiettivi o sulle motivazioni, del suo impegno. Si trattava di avocare istruttorie ed indagini affidate a singoli magistrati, sulla base del principio costituzionale del «giudice naturale», per concentrarle su un gruppo di lavoro organizzato con criteri diversi e non sempre fra loro omogenei. Quello della esperienza sul campo e della professionalità non poteva, allora, essere decisivo, proprio per assenza di precedenti al riguardo, almeno con riferimento al lavoro di parte dei magistrati del «pool antimafia». Capitava, quindi, di far leva su motivazioni diverse e più a rischio: le sensibilità o le disponibilità soggettive, cui potevano non essere estranee spinte di tipo politico-ideologico, che sarebbe sempre necessario separare dall'impegno di investigazione giudiziaria. Anche l'appuntamento con il maxi-processo accese discussioni e polemiche, oltre che legittime soddisfazioni e speranze. Venivano portati in giudizio centinaia di imputati, per innumerevoli capi di imputazione, ma con la convinzione che in realtà si trattasse di processare la mafia, come organizzazione insieme complessa, coordinata ed unitaria. I problemi da superare sono stati enormi ed in parte restano irrisolti. Non riguardavano soltanto questioni di carattere organizzativo, logistico e tecnico processuale. In quella occasione si è messa a dura prova la stessa cultura del garantismo, come impianto di regole formali e di principi, predisposti a tutela dei diritti dell'imputato e, più ancora, di una garanzia sostanziale di giustizia, per quanto relativa questa possa essere nella sua dimensione storica ed 7 umana. È del tutto comprensibile, quindi, che queste esperienze e questi impegni possano essere stati accompagnati da dubbi, polemiche, punti di vista e sensibilità non circoscritti alla cerchia degli addetti ai lavori e, soprattutto, non sempre convergenti nelle conclusioni. Esistono dubbi ed interrogativi che metterebbero alla frusta le coscienze, prima ancora che le specifiche competenze professionali, di chiunque in buona fede cercasse una risposta, anziché accontentarsi di una comoda e liberatoria rimozione: quale certezza probatoria deve supportare un'accusa di omicidio? O quanto i vincoli e le relazioni gerarchiche interne alla organizzazione della mafia consentono di estenderne la portata oltre la cerchia dei possibili esecutori e dei più diretti mandanti? Solo per fare alcuni esempi significativi, al di là della inevitabile approssimazione. Ho richiamato alcuni episodi e circostanze solo perché si possa meglio comprendere il valore del ruolo esercitato da Falcone. Di fronte ai limiti ed alle lacune dell'ordinamento, da un lato, alla drammaticità della sfida che la criminalità organizzata portava allo Stato, dall'altro, le soluzioni che si sono sperimentate sul piano investigativo e repressivo, pur non immuni da contraddizioni e difetti, hanno trovato elementi di equilibrio, di efficacia e di garanzia proprio grazie alla professionalità ed alle caratteristiche dell'impegno di Falcone. Più che ad inconcludenti teorizzazioni, si deve alla coerenza ed alla concretezza del suo lavoro la dimostrazione della assoluta necessità di arricchire l'operatività ed il ruolo degli organi investigativi e giudiziari, se si vuole fronteggiare un fenomeno criminale assolutamente non comparabile alle manifestazioni di delinquenza comune. E ciò in ragione della sua organizzazione interna, dei mezzi a disposizione, della dimensione internazionale dei collegamenti e delle alleanze, dei

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