Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 29/30 - giu./lug. 1992

.P.ILBIANCO lXltROSSO iI11 i 111Ali 11 Si è chiuso un ciclo della vita politica italiana. L'assettopolitico ed istituzionale, che con molti aggiustamenti e crescenti difficoltà, aveva retto per oltre 40 anni, è definitivamente naufragato. Certo un fatto del genere non poteva avvenire senza traumi. Ma è la mancanza di prospettive intelleggibili che lascia inquieti. Tanto più in una situazione internazionale dominata da un disordine multipolare sempre più rischioso. Oltretutto gli Stati Uniti (l'unica vera potenza mondiale dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica) potrebbero entrare anch'essi in una zona di turbolenza ed imprevedibilità. Il caso Ross Perot, il caso cioè del miliardario che da l'assalto alla Casa Bianca come se si trattasse di una scalata in borsa, non può che allarmare. «Ross for boss» invocano non pochi americani. Perot, facendo leva su un diffuso sentimento di ostilità verso l'establishment, potrebbe battere tanto il candidato repubblicano che quello democratico. Di questo miliardario, stravagante edemagogo, gli analisti della politica hanno detto che è un sintomo del malessere americano, ma non la cura. Si tratta più o meno delle stesse cose che sono state dette da noi quando è esploso il fenomeno della Lega. Il che, naturalmente, non ha impedito alla Lega di raccogliere un numero rilevante di consensi. Può darsi che non tutto il mondo sia paese. Ma certe somiglianze che si rilevano tra l'America, parte dell'Europa e, soprattutto, l'Italia, nelle tendenze politiche in atto inducono a riflettere sulle radici e sulla ampiezza dei fenomeni. Si manifesta ovunque una profonda e crescente impazienza verso la politica come professionismo. Come circuito chiuso dove girano sempre le stesse facce. C'è una diffusa tendenza alla separazione da un ceto politico autoreferente fino a produrre vere e proprie dinastie. C'è una crescente apatia, una aumentata indifferenza verso la politica che consente ormai di chiedere ed ottenere il consenso solo con slogan. Senza un programma. Senza una proposta. Questa accettazione del vuoto indica che siamoentrati in una fase di profonda incertezza, nella quale non sono in crisi solo i sistemi politici, ma i valori coesivi di fondo che hanno tenuto unita la società. Siamo ormai di fronte a società che si limitano a far valere ciò che non vogliono. Che credono sempre di meno nella rappresentanza. Che rivendicano autonomia perché non si aspettano più nulla dalla politica. Fino al punto di non difende4 re più nemmeno conquiste come lo Stato Sociale, che ha sicuramente bisogno di correttivi, ma è un progresso al quale non si dovrebbe rinunciare. Alla luce di queste considerazioni si potrebbe essere indotti a concludere che i nostri problemi sono, in buona misura, quelli che anche altre democrazie si trovano a fronteggiare. Il che, naturalmente, sconsiglia l'utilità di intonazioni apocalittiche. Ma le cose non stanno proprio così. Se alcune tendenze sono comuni, assai maggiore è la nostra fragilità politica-democratica anche perché le nostre istituzioni sono ormai al collasso. Ci troviamo quindi del tutto impreparati in una fase di passaggio della storia. E come sempre in simili situazioni c'è la possibilità che nuove impreviste prospettive si aprano. Ma c'è anche il rischio che passi indietro siano compiuti. Persino la democrazia si può perdere. In altri momenti l'abbiamo perduta ericonquistata solo con molto dolore e molto sangue. Naturalmente c'è da augurarsi che abbiano ragione quanti ritengono che non esistano ragioni di allarme. Perché pensano che, malgrado tutto, un regresso della democrazia non sia possibile. Abbiano ragione quanti sostengono che ci attende un tempo lungo di transizione e, quindi, sia soltanto cattiva abitudine quella di chi immagina o sollecita improbabili iniziative risolutive. Tuttaviaresta il fatto che quando la politica diventa così impopolare non ci si può sentire del tutto al riparo da rovinose avventure. Allora questo pericolo si può scongiurare solo se, nell'immediato, ciascun partito, pur preoccupato della sua sorte, saprà, innanzitutto, tener conto della difficile sorte del Paese. • • •

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