La situazione è diversa per quanto riguarda il Pds, ma il problema di ripensare al ruolo dei partiti in funzione della volontà politica degli iscritti riguarda tutte le forze politiche. La cultura della ripartizione: il superamento del consociativismo non riguarda solo le forze politiche al governo e all'opposizione nelle diverse istituzioni. Riguarda un sistema di governo molto più ampio che, a mio parere investe anche forze sociali e sindacali. La cultura della ripartizione, che non è ovviamente da confondere con il sistema delle tangenti assicura però a diverse forze politiche e no, un posto, un ruolo in moltissimi ambiti. A partire dalla definizione di un banale convegno fino ad arrivare alla definizione degli organigramma di banche, enti e istituti si può essere certi che, con diverso peso, le forze politiche tradizionali, le forze sindacali e sociali saranno comunque sempre rappresentate direttamente o indirettamente. Bene, bisogna cambiare: abituarsi a parlare e a decidere non più con tre o sei interlocutori ben definiti (sempre quelli) a seconda degli ambiti; ma occorre far emergere regole e opportunità basate sulla valutazione delle effettive competenze e capacità sia a livello politico che economico e sociale. Ripeto, questo non significa assimilare la cultura della ripartizione al sistema delle tangenti ma se davvero vogliamo eliminare le condizioni strutturali che hanno portato a quel sistema, bisogna in primo luogo rompere le logiche autoreferenziali politiche e culturali che hanno legato e soffocato forze di diversa ispirazione. Elettori e istituzioni: bisogna affrontare, non solo attraverso le riforme istituzionali e elettorali, ma con la riforma dei partiti e della politica il ruolo delle elette e degli eletti nelle istituzioni in rapporto agli elettori. Il rapporto tra elette/i e elettrici/ori non deve essere mediato nel bene e nel male esclusivamente dai partiti; la formazione di liste di programma, soprattutto a livello locale, deve essere accompagnata dalla definizione di candidature che corrispondano, non solo per professionalità, ma anche per forza politica a quel programma. E alle elette/i spetta poi la responsabilità dell'attuazione di quel programma. Milano oggi è scossa, non solo dall'emergere del sistema di collusione tra partiti e _{).(L BIANCO lXILROSSO liX•#iilil imprese, ma soprattutto per la paralisi nella gestione di servizi primari per la cittadinanza che ciò ha comportato. Far funzionare le istituzioni, con proposte nuove, dirette, concrete può essere oggi l'obiettivo di chi crede ancora nella politica. La formazione di una lista per Milano, che non sia emanazione diretta dei partili, ma nasca dalla volontà di forze e persone che vogliono agire non contro i partili ma per la riforma della politica è un passaggio essenziale per verificare le reali intenzioni di riforma delle forze politiche. Tecnici o politici: I partiti devono cedere proprie funzioni, liberandosi di forme di integralismo culturale, politico e amministrativo, non a tecnici ma a nuovi politici. Perché ad esempio a livello locale, nelle grandi città risorse preziose che si sono formate in questi anni nelle azioni per la solidarietà, l'ambiente ecc. non possono 32 aspirare a governare senza dover essere per forza alternative o contro i partiti? I tecnici senza progetti politici concreti che abbiano consenso e possano esprimere rappresentatività possono fare ben poco, anche e soprattutto in situazioni di emergenza. Se poi i tecnici si identificano con il mondo imprenditoriale o con associazioni professionali il rischio di una esclusione di ampi strati di popolazione, finora selezionati dai partiti popolari, dalla politica è molto ampio, con gravi rischi -per la democrazia. Riformare la politica vuol dire anche riportare la definizione dei progetti, la loro gestione e verifica in ambito locale affidandola alle risorse disponibili in quella situazione data. Cosa fanno allora i partiti?: i partiti devono quindi per riformarsi cedere funzioni che non corrispondono più alla situazione attuale e rischiano di soffocare nuove domande di partecipazione e i partiti stessi. Quali sono allora le funzioni essenziali dei partiti? Cosa rimarrà se questa operazione di riforma andrà avanti? Difficile rispondere oggi: credo però che non sia da valutare come funzione residuale, leggera e poco importante quella di sviluppare una nuova cultura politica che, soprattutto nella sinistra, si confronti con i grandi problemi del mondo, delle compatibilità economiche e sociali, delle nazionalità, posti dall'immigrazione creando livelli di consenso e di partecipazione veri a percorsi che non saranno né semplici né indolori. Camiti si chiede se questo percorso di autoriforma possa essere percorso da ogni singolo partito o debba necessariamente vedere una volontà comune dei partili. Certo la definizione di un preambolo di regole da rispettare preventivamente ad accordi di governo e di alleanze è un passo doveroso,anche se il rischio di apparire solo come dichiarazioni formali è alto. Se alcune forze politiche, penso ovviamente a quelle che si ispirano alla sinistra, decidessero di autoriformarsi con un progetto comune il percorso potrebbe contare su energie comuni che in tutti questi anni hanno cooperato in ambiti sindacali, sociali, culturali etc. Ma gli auspici non producono sempre risultati immediati e quindi occorrerà sviluppare con chi si rivela disponibile la riforma della politica anche in altri ambiti.
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