Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 29/30 - giu./lug. 1992

un robusto associazionismo degli utenti. I partiti devono decidere, indirizzare, non gestire. I.:amministrazione va misurata sulla sua capacità di gestire in modo coerente la qualità dei servizi in coerenza con gli indirizzi espressi dalle decisioni politiche. Questo è un primo importante passo da fare. Esso porta con sé certamente un drastico snellimento delle macchine di partito. Si tratta di cominciare dall'alto, da una significativa riduzione del numero dei parlamentari, e poi via via anche per le Regioni, Province, Comuni. Il processo deve poi investire quella plei>JLBIANCO lXILROSSO iiX•®iiil tora di funzionari che tendono a perpetuare se stessi e sono quindi in incessante ricerca di riserve economiche. Un apparato agile può servire a rilanciare la politica come militanza, partecipazione volontaria, passione civile. Si tratta di sviluppare una vera politica d'opinione contro una politica di scambio. Non intendo una politica d'opinione come una politica basata solo su idee, ma una politica che leghi in modo trasparente idee e interessi organizzati, che sia in grado sempre di tradurre gli interessi organizzati in sintesi politica. Ma per questo la politica deve tornare adessere conflitto, ricambio dei gruppi dirigenti, rompere quello che è stato definito «un pricipato democratico». Le riforme istituzionali diventano a questo punto uno dei varchi necessari per sconfiggere Tangentopoli. Solo una democrazia del!'alternanza consente quelle verifiche democratiche dell'azione politica che rendono impossibili i paludamenti, le zone franche, le collusioni. Tangentopoli non è un incidente di percorso, essa è la figura dell'esaurirsi di questo sistema politico. Per oltrepassarlo si tratta di tornare a coniugare passione civile e intelligenza politica. Noncancellarleapolitica, maripensaralallaradice L o scandalo delle tangenti di Milano ha messo in luce una situazione di corruzione e malaffare, che sarebbe grave ridurre a comportamenti personali riprovevoli. Essi invece possono essere fatti risalire, a mio modesto avviso, ad alcune caratteristiche tipiche della nostra culturae del nostro modo di agire, che occorrerebbe esaminare più in profondità di quanto riuscirò a fare. Vannoscartate sia la tentazione di richiudere il coperchio, magari con una bella sanaloria, sia quella di affidare alla sola via giudiziaria la correzione delle storture indotte dai fenomeni di corruzione. Sono convinto invece che siamo in presenza di una situazione patologica del sistema politico italiano che per essere corretta richiede interventi radicali ed innovativiper modificare la cultura con cui politici,imprenditori e Pubblica Amministrazione gestiscono gli affari collettivi. Per questo non c'è da illudersi di trovare una soluzione radicale al problema: quel che di Gianni Bon conta, o dovrebbe coniare, è che la corruzione non superi mai la soglia dei casi individuali per non diventare invece, come nel nostro caso, sistema organico per gestire la «Respublica». La via giudiziaria potrebbe, alla lunga, diventare pericolosa o velleitaria se essa non si salderà con un processo più generale di rinnovamento culturale e civile dei nostri costumi. Ciò premesso, la prima considerazione che vorrei sviluppare riguarda l'ambiente morale e culturale in cui si è sviluppala questa vicenda. I.:abitudine al compromesso, come stile di comportamento, che tanti soddisfa, è troppo connaturala alla nostra storia ed al carattere degli italiani per pensare di poterla ridimensionare, senza una ripresa di una tensione ideale e morale che non sempre trova ed ha trovatoascolto nella coscienza collettiva. Ognuno di noi preferisce infatti vantarsi delle possibilità che ci permettono di ottenere rapidamente quello che forse non si potrebbe avere con il rigoroso rispetto della legge. Intendo dire che la furbizia dei nostri comportamenti individuali è un buon bagno di cultura per 25 comportamenti negativi più generali. Del resto ci vantiamo di essere la patria del diritto nel senso che gli obblighi del dovere non ci toccano o, perlomeno, non vengono considerati allo stesso livello dei diritti. È mollo più facile chiedere in nome di un malinteso senso dei diritti che praticare la via difficile del dovere individuale e collettivo e di questo malcostume è piena la nostra vita politica e sociale. I.:interesse individuale sembra perseguito a scapito della necessità di regole più chiare e trasparenti per lutti: l'importante è risolvere il proprio problema, anche se il costo viene poi accollalo al povero «Pantalone». Che la situazione fosse quella che le indagini stanno mettendo in luce era chiaro ad ogni persona onesta e dabbene che si interrogasse sul peso degli apparati e sul costo delle campagne elettorali: quello che è mancato è la rivolta civile e morale che doveva spingere a denunciare il malcostume. Per queste ragioni non sono credibili i tentativi sia dei politici sia degli impren-

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