- I - .P.lL BIANCO l.XILROSSO Mii1Cilllt1 Iugoslavisaemprepeggio. LEuropdaevescottarslei dita di NereoLaroni n Istria quasi il 20% della popolazione ha toccato un livellodi povertà paragonabile a quello dei Paesi sottosviluppati. 40mila profughi sono alloggiati nelle strutture ricettive turistiche e dipendono, ormai quotidianamente, dall'arrivo di sussidi alimentari da parte italiana o europea. Il blocco delle attività economiche, in primis il turismo, ha inaridito le fonti principali di approvvigionamento di valuta e di sostegno ai già bassi livelli di occupazione. Nell'interno, se possibile, la situazione è anche peggiore. Si sono affievolite anche le rimesse degli emigrati che temono poco garantiti i loro risparmi dalla precaria situazione della Croazia. La recente immigrazione di decine di migliaia di profughi bosniaci, in buona parte di religione musulmana, sta scatenando una guerra tra poveri, che si colora di reazioni razzistiche, quasi non bastassero quelle che hanno portato alla frantumazione della vecchia Jugoslavia. Su ogni isola dalmata e in ogni realtà urbana sono nati comitati della Croce Rossa che, insieme, alla struttura della Caritas, cercano di regolare il debole flusso di aiuti che proviene dall'esterno. La chiusura delle frontiere da parte della Slovenia è certamente un atto di egoista autodifesa e tentativo di sottolineare con maggior forza l'estraneità di Lubiana rispetto alla questione balcanica. E tuttavia bisogna rendersi conto che questa giovane Repubblica non è assolutamente in condizione di sopportare altri pesi, oltre a quelli che le derivano dalla difficile riallocazione di quei 2/3 di esportazioni che precedentemente si indirizzavano verso le altre Repubbliche della Federazione. Dai profughi che lambiscono le nostre frontiere, da quelli accampati negli alberghi della riva adriatica, da quelli delle zone occupate della Croazia, da quelli in movimento dalla Bosnia, si snoda un filo del quale non si intravede il capo, forse il Kossovodomani o forse la Macedonia dopodoma10 ni. E che dire della Voivodina, o dell'oggi assopito e complice Montenegro? In fondo a questo tunnel non basta intravedere una dimensione autonoma o indipendente di questa o quella regione, non basta intravedere neppure la fine certamente auspicabile della guerra. L'esodo dell'Albania non fu determinato né dalla mancanza di indipendenza, né, solo, dalla mancanza di libertà. Il fenomeno dei profughi è un fenomeno certamente acuito dalle bombe dell'aggressione serba, ma è generato dal disastro di economie peraltro mai fiorenti, aggravato da una privatizzazione mai completata e, in talune aree, mai veramente desiderata. L'Italiacon la legge 212e con l'IniziativaCentroeuropea ha per prima intuito quanto sarebbe potuto accadere e ha cercato di adottare le opportune contromisure. Ma non bastano gli sforzi isolati del nostro Paese. Occorre un impengo più corale da parte dell'Europa. E francamente non pare possibile ipotizzarlo in termini credibili. La Germania della quale si paventava un ruolo egemonico, è alle prese con i suoi problemi, che non sono piccoli. Al dinamismo di alcuni suoi imprenditori non corrisponde ancora una politica di aiuti e cooperazione da parte del Governo. Francia ed Inghilterra si muovono incerte e spesso disinformate sulle implicazioni del focolaio balcanico. E la non ostilità verso il Governo di Belgrado appare non la conseguenza di un atteggiamento che vuole essere equilibrato, ma piuttosto uno stanco revival di politiche di inizio secolo. Altri interlocutori si affacciano nella caotica scena balcanica. La Turchia, inedita tutrice dei musulmani dell'Asia centrale come di quelli dell'Europa meridionale; o la Russia di Eltsin improbabile erede di un panslavismo di altri tempi.
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