Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 29/30 - giu./lug. 1992

i.>!LBIANCO '-XILROSSO MENSILE DI DIBATTITO POLITICO Si è chiusounciclo. Il rischio è altopertutti e on le elezioni del 5 e 6 aprile il sistemapolitico italiano è approdato in una terra sconosciuta. Può essere, come sostengono i più ottimisti, quella di una legislatura costituente. È probabile invece che sia soltanto quella di una legislatura priva di equilibri possibili e quindi destinata a durare poco. A giudicare dall'inizio si è indotti a ritenere che sarà una legislatura imprevedibile, dominata: dalla disgregazione del mondo politico, dalla crisi dei partiti tradizionali, da una ondata di rivolta verso la politica. 29/30 ANNOIII 0 •GIUGNO/LUGLIO 1992•L. 7.000

Valdo Spini Luigi Cocilovo Nereo Laroni Mario Monge Giuseppe Lumia Nadia Sgaramella Sandro Antoniazzi Giovanni Bianchi Gianni Bon Rinaldo Bontempi Anna Carli Anna Catasta Stefano Ceccanti Gian Primo Cella Domenico Del Rio Ottaviano Del Turco Luigi Di Liegro Guglielmo Epifani Enrico Ferri Michele Giacomantonio Paolo Giammarroni Mario Gozzini Gianpiero Magnani Maria Magnani Noya Giovanni Moro Carlo Sorbi Valdo Spini Luigi Vertemati Fausto Vigevani Luigi Viviani Valdo Spini Enzo Friso Ufficio Studi Parlamento Europeo IN QUESTONUMERO EDITORIALE Si è chiuso un ciclo. Il rischio è alto per tutti ATTUALITÀ Dopo Falcone: una memoria che organizzi la riscossa Falcone: oltre la morte riprendere la sua eredità Jugoslavia sempre peggio. L'Europa deve scottarsi le dita Contro la pena di morte, segno di resa e di anarchia Volontariato e nuova «legge quadro»: solo un inizio, ma la strada è lunga Legge quadro sul volontariato: i decreti attuativi DOSSIER Lo scandalo di Milano e il futuro della politica Oltre la «questione morale»: il recupero dei valori etici Oltre tangentopoli: dallo sdegno all'analisi e alla proposta Non cancellare la politica, ma ripensarla alla radice pag. 1 pag. 5 pag. 7 pag. 10 pag. 12 pag. 14 pag. 17 pag. 23 pag. 24 pag. 25 Dopo la doverosa «autocritica» un nuovo patto di cittadinanza pag. 27 Corruzione e politica: autoriforma, e da subito pag. 29 Recuperare le radici di una politica senza «affari» Il futuro dei partiti? La democrazia dell'alternanza L'amara sorpresa di Milano: corrotti e anche inefficienti Chiesa italiana e questione morale: sono «pulite» le mani dei vescovi? Il ~uovo Governo sia segno di pulizia e di riforma vera Milano sia la spinta verso una «nuova» società civile Dalla crisi si esce insieme, e rinnovando i partiti Partiti e affari: per una seria, e consensuale, separazione Dopo Milano: recuperare le radici popolari della politica Un'occasione da non perdere ora che finiscono i soldi pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. 31 33 34 36 37 38 40 41 42 44 La malattia è grave: urge una radicale amputazione di potere pag. 46 Questione morale: la rivincita del volontariato in politica La vera «questione morale»? Il recupero di una politica seria La politica recuperi la rappresentanza dei diritti della gente: una proposta Unità a sinistra: e se fosse l'Araba fenice? No all'eutanasia della politica. Una vera ri-animazione dei partiti Dagli affari alla politica: un cammino in avanti Forse è l'ultima occasione per la riforma della politica Per la trasparenza: una vera riforma delle Istituzioni DOCUMENTAZIONE Sul finanziamento pubblico dei partiti. Proposta di legge n. 307 presentata il 2 luglio 1987 L'EUROPA E IL MONDO Rio: il mondo in difficoltà. Siamo tutti in un solo villaggio La situazione economica e sociale nell'ex Germania Est pag. 48 pag. 50 pag. 52 pag. 53 pag. 54 pag. 56 pag. 59 pag. 60 pag. 62 pag. 67 pag. 69

Giovanni Avonto Carlo Sorbi Francesco De Sanctis Bruno Manghi INTERVENTI Il sindacato oggi: tra talenti e disgrazie Verso le IV Assise europee sul diritto di asilo DOCUMENTO Il discorso elettorale SCAFFALE «Il sindacato dentro la notizia» VITADELL'ASSOCIAZIONE ReS a Convegno: ritrovare il senso della politica (Bellaria 29/30 maggio 1992) ReS su Milano e oltre: unità, solidarietà, riforme Da Milano è venuto lo sfascio. Da Milano il segnale di ripresa pag. 78 pag. 80 pag. 84 pag. 88 pag. 89 pag. 91 (nota di ReS milanese) pag. 92 L'immunità parlamentare è un relitto di un passato morto (dichiarazione di Pierre Camiti) pag. 93 Immagini: disegni di Josef Hegenbarth Zeichnungen

.P.ILBIANCO lXltROSSO iI11 i 111Ali 11 Si è chiuso un ciclo della vita politica italiana. L'assettopolitico ed istituzionale, che con molti aggiustamenti e crescenti difficoltà, aveva retto per oltre 40 anni, è definitivamente naufragato. Certo un fatto del genere non poteva avvenire senza traumi. Ma è la mancanza di prospettive intelleggibili che lascia inquieti. Tanto più in una situazione internazionale dominata da un disordine multipolare sempre più rischioso. Oltretutto gli Stati Uniti (l'unica vera potenza mondiale dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica) potrebbero entrare anch'essi in una zona di turbolenza ed imprevedibilità. Il caso Ross Perot, il caso cioè del miliardario che da l'assalto alla Casa Bianca come se si trattasse di una scalata in borsa, non può che allarmare. «Ross for boss» invocano non pochi americani. Perot, facendo leva su un diffuso sentimento di ostilità verso l'establishment, potrebbe battere tanto il candidato repubblicano che quello democratico. Di questo miliardario, stravagante edemagogo, gli analisti della politica hanno detto che è un sintomo del malessere americano, ma non la cura. Si tratta più o meno delle stesse cose che sono state dette da noi quando è esploso il fenomeno della Lega. Il che, naturalmente, non ha impedito alla Lega di raccogliere un numero rilevante di consensi. Può darsi che non tutto il mondo sia paese. Ma certe somiglianze che si rilevano tra l'America, parte dell'Europa e, soprattutto, l'Italia, nelle tendenze politiche in atto inducono a riflettere sulle radici e sulla ampiezza dei fenomeni. Si manifesta ovunque una profonda e crescente impazienza verso la politica come professionismo. Come circuito chiuso dove girano sempre le stesse facce. C'è una diffusa tendenza alla separazione da un ceto politico autoreferente fino a produrre vere e proprie dinastie. C'è una crescente apatia, una aumentata indifferenza verso la politica che consente ormai di chiedere ed ottenere il consenso solo con slogan. Senza un programma. Senza una proposta. Questa accettazione del vuoto indica che siamoentrati in una fase di profonda incertezza, nella quale non sono in crisi solo i sistemi politici, ma i valori coesivi di fondo che hanno tenuto unita la società. Siamo ormai di fronte a società che si limitano a far valere ciò che non vogliono. Che credono sempre di meno nella rappresentanza. Che rivendicano autonomia perché non si aspettano più nulla dalla politica. Fino al punto di non difende4 re più nemmeno conquiste come lo Stato Sociale, che ha sicuramente bisogno di correttivi, ma è un progresso al quale non si dovrebbe rinunciare. Alla luce di queste considerazioni si potrebbe essere indotti a concludere che i nostri problemi sono, in buona misura, quelli che anche altre democrazie si trovano a fronteggiare. Il che, naturalmente, sconsiglia l'utilità di intonazioni apocalittiche. Ma le cose non stanno proprio così. Se alcune tendenze sono comuni, assai maggiore è la nostra fragilità politica-democratica anche perché le nostre istituzioni sono ormai al collasso. Ci troviamo quindi del tutto impreparati in una fase di passaggio della storia. E come sempre in simili situazioni c'è la possibilità che nuove impreviste prospettive si aprano. Ma c'è anche il rischio che passi indietro siano compiuti. Persino la democrazia si può perdere. In altri momenti l'abbiamo perduta ericonquistata solo con molto dolore e molto sangue. Naturalmente c'è da augurarsi che abbiano ragione quanti ritengono che non esistano ragioni di allarme. Perché pensano che, malgrado tutto, un regresso della democrazia non sia possibile. Abbiano ragione quanti sostengono che ci attende un tempo lungo di transizione e, quindi, sia soltanto cattiva abitudine quella di chi immagina o sollecita improbabili iniziative risolutive. Tuttaviaresta il fatto che quando la politica diventa così impopolare non ci si può sentire del tutto al riparo da rovinose avventure. Allora questo pericolo si può scongiurare solo se, nell'immediato, ciascun partito, pur preoccupato della sua sorte, saprà, innanzitutto, tener conto della difficile sorte del Paese. • • •

~!I-~ BIANCO l.XILROSSO DopoFalcone:unamemoria cheorganizzila riscossa di Valdo Spini L a domenica 24 maggio con il Dc9 presidenziale scendiamo a Palermo. È una gentilezza usatami dal presidente provvisorio della Repubblica, Giovanni Spadolini. Mi permette di andare a rendere omaggio a Giovanni Falcone e agli uomini della scorta. Un omaggio a cui tengo, ricordando gli antecedenti della mia conoscenza con Falcone. Era il 1989e Falcone era al centro della bufera. Falcone era classificato vicino al Pci così come gli altri giudici del pool antimafia. A me come ad altri ribolliva l'idea che la lotta alla mafia non vedesse in prima linea il Psi. Era la preoccupazione anche di Fernanda Contri, un avvocato di Genova, legata per motivi di famiglia alla tradizione di Giustizia e Libertà. Fu Fernanda Contri, che aveva votato al Csm per Falcone e non per Meli a propiziare un invito di Falcone al Circolo Rosselli. La data era fissata per il 29 aprile 1989 in una sala del Palazzo degli Alfani. La partecipazione dei fiorentini fu buona ma non eccellente. Forse fu di turbativa un lungo «ponte» di festività fino al due maggio. Falcone fu molto stimolante invitò a non considerare il numero degli omicidi come un termometro per valutare l'intensità dell'attività mafiosa in s un territorio. Gli omicidi tra mafiosi sono il sintomo della rottura di un equilibrio. Quando cessano è segno che qualcuno ha ripreso il controllo della mafia. Invitò anche a considerare il maxiprocesso di Palermo un colpo importante contro la mafia ma non determinante. Con mille precauzioni andammo poi al ristorante fiorentino «I tredici Galli». Una conversazione piacevolissima con un uomo che era un signore siciliano dalla testa ai piedi, con le caratteristiche migliori del siciliano, la raffinatezza del giudizio, l'acuta ironia, il senso dell'estetica di se stessi. Al termine, al momento di salutarci, la Contri consegnò a Falcone un pacchetto di dolciumi: «per addolcire la bocca a Francesca (la moglie) per questo ennesimo impegno cui ti abbiamo costretto!». Giovanni Falcone è caduto insieme alla moglie Francesca e agli uomini della scorta proprio per essere riuscito a sferrare alla mafia dei colpi importanti. Forse il colpo dell'acceleratore di una condanna a morte da tempo pronunciata, è stata proprio la conferma, da parte della Cassazione degli ergastoli inflitti nel maxiprocesso di cosa nostra, proprio sulla base delle indagini condotte da Giovanni Falcone.

.PlLBIANCO '-XILROSSO _,,,.,.,,, Era stato con grande soddisfazione che avevovisto Giovanni Falcone, dopo tante amare vicende, utilizzato a livello nazionale dal guardasigilli socialista Claudio Martelli. Falcone era così diventato direttore degli Affari Penali del Ministerodella Giustizia ed era riuscito a far passare le sue idee sulla pratica ricostituzione di pool antimafia a livello distrettuale (di fatto regionale) con una Direzione Nazionale Antimafia (Dna) per la quale appariva il candidato naturale, ma non per questo meno, ancora una volta, contestato. Le sue quotazioni per la Direzione Nazionale Antimafia (Dna) erano in ascesa, e forse anche questo ha contribuito alla decisione di ripetere (purtroppo stavolta con successo) il tentativo di ucciderlo. Non ha quindi senso alcuno il tentativo di vedere nella uccisione di Falcone l'ennesima riprova della compromissione delle istituzioni con la criminalità organizzata! Al contrario, era proprio il governo a valorizzare un Falcone, bocciato, tanto per fare un esempio, alle elezioni per il Consiglio Superiore della Magistratura. Quello che rimane è lo sgomento per non essere riusciti a proteggere la vita di Giovanni Falcone nonostante il grande spiegamento di forza dispiegato a sua difesa nelle scorte. i ,, :1 ' l :, ; '/ il I :/ I l I 6 Qui veramente l'Italia ha bisogno di un vero Fbi che sia uno dei servizi a disposizione del governo, che sia la neonata Dia, lo Stato non può essere privo di quegli elementi di ascolto che consentono, ad esempio, di consigliare un Falcone a non andare a fare il week-end a Palermo. Naturalmente un attentato del genere poteva avvenire anche in altre aree del Paese, ma certo le condizioni ambientali erano più favorevolia Palermo e in Sicilia. Se, come tante volte si è detto, questa è una guerra, occorre attrezzarsi a combatterla. La scorsa legislatura si è caratterizzata per un meritorio attivismo legislativo. L'attuale,deve a mio parere, concentrarsi sull'affinamento dell'organizzazione degli apparati e sulla loro dotazione degli strumenti scientifici e tecnologici più raffinati. Può fare più un satellite che l'inviodi cento giovanotti in uniforme appena usciti dalle scuole. Non dobbiamo disperdere l'opera di Falcone, ma dobbiamo continuarla, sperando di poterci avvalere di due dati di fondo, che sono i seguenti. Il primo è che la tendenza al consumo della droga scende, e il secondo è di smettere di mandare soldi nel Sud se non si ha una buona affidabilità che non finiscano nelle tasche della criminalità organizzata. I ; f,i ,j I! I" I j .' I! I I j ! I I l I / I ! I I J ' ' " '/ "

i.)_1.t BIANCO lXILROSSO MiikKilld Falconeo:ltrelamorte riprenderlea suaeredità di Luigi Cocilovo uando Falcone iniziò a costruire il «pool» Q antimafia presso l'Ufficio istruzione del Tribunale di Palermo, ero segretario della Cisl siciliana. All'epoca ho nutrito anch'io alcune perplessità sull'impianto, non certo sugli obiettivi o sulle motivazioni, del suo impegno. Si trattava di avocare istruttorie ed indagini affidate a singoli magistrati, sulla base del principio costituzionale del «giudice naturale», per concentrarle su un gruppo di lavoro organizzato con criteri diversi e non sempre fra loro omogenei. Quello della esperienza sul campo e della professionalità non poteva, allora, essere decisivo, proprio per assenza di precedenti al riguardo, almeno con riferimento al lavoro di parte dei magistrati del «pool antimafia». Capitava, quindi, di far leva su motivazioni diverse e più a rischio: le sensibilità o le disponibilità soggettive, cui potevano non essere estranee spinte di tipo politico-ideologico, che sarebbe sempre necessario separare dall'impegno di investigazione giudiziaria. Anche l'appuntamento con il maxi-processo accese discussioni e polemiche, oltre che legittime soddisfazioni e speranze. Venivano portati in giudizio centinaia di imputati, per innumerevoli capi di imputazione, ma con la convinzione che in realtà si trattasse di processare la mafia, come organizzazione insieme complessa, coordinata ed unitaria. I problemi da superare sono stati enormi ed in parte restano irrisolti. Non riguardavano soltanto questioni di carattere organizzativo, logistico e tecnico processuale. In quella occasione si è messa a dura prova la stessa cultura del garantismo, come impianto di regole formali e di principi, predisposti a tutela dei diritti dell'imputato e, più ancora, di una garanzia sostanziale di giustizia, per quanto relativa questa possa essere nella sua dimensione storica ed 7 umana. È del tutto comprensibile, quindi, che queste esperienze e questi impegni possano essere stati accompagnati da dubbi, polemiche, punti di vista e sensibilità non circoscritti alla cerchia degli addetti ai lavori e, soprattutto, non sempre convergenti nelle conclusioni. Esistono dubbi ed interrogativi che metterebbero alla frusta le coscienze, prima ancora che le specifiche competenze professionali, di chiunque in buona fede cercasse una risposta, anziché accontentarsi di una comoda e liberatoria rimozione: quale certezza probatoria deve supportare un'accusa di omicidio? O quanto i vincoli e le relazioni gerarchiche interne alla organizzazione della mafia consentono di estenderne la portata oltre la cerchia dei possibili esecutori e dei più diretti mandanti? Solo per fare alcuni esempi significativi, al di là della inevitabile approssimazione. Ho richiamato alcuni episodi e circostanze solo perché si possa meglio comprendere il valore del ruolo esercitato da Falcone. Di fronte ai limiti ed alle lacune dell'ordinamento, da un lato, alla drammaticità della sfida che la criminalità organizzata portava allo Stato, dall'altro, le soluzioni che si sono sperimentate sul piano investigativo e repressivo, pur non immuni da contraddizioni e difetti, hanno trovato elementi di equilibrio, di efficacia e di garanzia proprio grazie alla professionalità ed alle caratteristiche dell'impegno di Falcone. Più che ad inconcludenti teorizzazioni, si deve alla coerenza ed alla concretezza del suo lavoro la dimostrazione della assoluta necessità di arricchire l'operatività ed il ruolo degli organi investigativi e giudiziari, se si vuole fronteggiare un fenomeno criminale assolutamente non comparabile alle manifestazioni di delinquenza comune. E ciò in ragione della sua organizzazione interna, dei mezzi a disposizione, della dimensione internazionale dei collegamenti e delle alleanze, dei

i.>.lL BIANCO l.XILROS.SO MiikCilld rapporti con l'ambiente sociale e politico, della articolazione sempre più sofisticata dei circuiti di riciclaggio e di diversificazione degli interessi. Anticipando, per alcuni versi, l'evoluzione normativa dell'ordinamento, la revisione di procedure e prassi, la verifica critica delle regole che governano il sistema giudiziario (·assegnazionidi funzioni e sedi, ordinamento delle carriere, ecc ..) e lo svolgimento delle indagini (vedi l'utilizzo dei pentiti e le contropartite premianti da garantire) Giovanni Falcone era riuscito a fare breccia nella cortina di omertà ed impenetrabilità, che ha sempre rischiato di rendere inattacabile la mafia e, più in generale, le grandi organizzazioni criminali. Tuttociò ha consentito a lui ed a pochi altri magistrati, così come a pochi funzionari dei corpi di polizia, di accumulare un patrimonio prezioso di informazioni, conoscenze e professionalità. Così come di conseguire successi fino a poco tempo prima impensabili, anche se ancora parziali. Nessuna persona in buona fede avrebbe potuto ignorare questi risultati, di per sé abbondantemente sufficientiper consentire a tanti, compreso il sottoscritto, di superare ogni perplessità o riserva e garantire, piuttosto, sia pure in forme e modi diversi, l'incoraggiamento ed il sostegno più convinti. Tutto ciò non ha impedito che il giudice palermitano, oltre che un simbolo, diventasse per tanti versi un elemento di turbolenza e scomodità nel sistema. 8 Da una parte, nei confronti delle vestali del garantismo più formalistico e pretestuoso; delle componenti dell'ordine giudiziario burocraticamente arroccate a difesa di opportunità corporative, così come delle competenze d'ufficio scarsamente confortate da competenze professionali; di ambienti politici e sociali impegnati, per interesse, collusione o miopia, a ridurre la minaccia mafiosa ad insignificante escrescenza criminale, ingrandita dalla lente del pregiudizio. Dall'altra parte e nello stesso tempo per la falange non meno nutrita ed agguerrita di politici, sindacalisti, giornalisti, giudici ed esponenti di varia umanità che avevano intravisto nell'impegno contro la mafia la possibilità di accelerare carriere, di costruire protagonismi impegnati in prima pagina più che in prima linea, di regolare i conti con l'avversario politico, anche a costo di ricorrere alla più scandalosa delle strumentalizzazioni. Come quella di far leva sulle emozioni che gravissimi fatti di sangue inevitabilmente accendevano nella gente, sempre più incline a contestare autorità e poteri istituzionali, per responsabilità eritardi reali, come per altri obiettivamente inconsistenti. A questo gioco al massacro Falcone non si è mai prestato. Non ha mai cercato di accendere la luce dei riflettori sul suo lavoro, proprio perché interessato piuttosto a garantirne l'efficacia. Non ha avuto indulgenze né timori reverenziali nei con- .,_,,.,... e ,. · . .,·:;~~ . ' . . , . . -: . . -, . l ,. . ' ~

i.>.l.L BIANCO '-XILROSSO MiiklilUII fronti dei politici, ma non si è mai lasciato prendere dalla tentazione di ridurre, nei loro confronti, un impianto di verifiche istruttorie, di riscontri d'indagine e di accertamenti rigorosamente collegati a responsabilità giudiziarie, pur se esercitate - come detto - senza alcuna rassegnazione burocratica. Falcone, in altri termini, ha saputo testimoniare un modo nuovo di fare il mestiere di giudice, all'altezza della sfida mafiosa, ma non ha mai rinunciato ad essere un magistrato: come dire che non ha copiato sentenze o capi di imputazione dagli articoli dei giornali o dai palinsesti televisivi; come non ha accettato di anticipare o stravolgere le conclusioni del suo lavoro sulla base dei tempi, delle utilità o delle opportunità di progetti politici personali o di gruppo, dovunque ed a qualunque livello si collocassero. Esattamente agli antipodi del principio secondo cui una sentenza è buona, giusta e coraggiosa se produce conseguenze politiche, se è funzionale a un disegno precostituito, tanti risultati importanti dell'attività del suo ufficio hanno consentito di dimostrare come un lavoro serio, ostinato, coraggioso possa, attraverso provvedimenti giurisdizionali positivi, determinare anche risultati «politici». Contribuendo soprattutto ad alimentare speranze, ad incoraggiare collaborazione e sostegni esterni all'azione della magistratura, a legittimare un bisogno irrinunciabile di fiducia nei confronti delle istituzioni democratiche. A dispetto di tante incomprensioni e di imperdonabili strumentalizzazioni, la mafia non ha mai sottovalutato né dimenticato il rischio rappresentato da Falcone per i propri interessi e per la pro9 pria incolumità. Non comprendo, allora, il perché di tanti interrogativi sul movente dell'attentato o sul momento in cui si è realizzato. Solo chi teorizzava, con motivazioni al di sotto di ogni sospetto, che Falcone avesse disarmato o, peggio ancora, disertato può annegare nei labirinti di complicatissimedietrologie un evidente imbarazzo, purtroppo alla memoria. Che fosse destinato ad assumere la responsabilità della superprocura o a mantenere l'incarico presso il Ministero di Grazia e Giustizia o a rinnovare in altre sedi e con altre funzioni un impegno attivo, Falcone rappresentava per competenza, professionalità, coerenza e determinazione un pericolo attuale e costante per la criminalità mafiosa. Così come da «pensionato» sarebbe comunque stato un nemico reale, di cui vendicarsi in qualunque momento se ne fosse presentata l'opportunità. Se ripercorriamo la concatenazione drammatica degli attentati e degli omicidi di mano mafiosa, ci accorgeremo che la mafia non ha mai sparato nel mucchio, spesso solo verbosamente sovraffolato, dei suoi avversari, né si è lasciata fuorviare dagli indici di successo. Ha sempre colpito là dove più grave, se non proprio incolmabile, era il vuoto che si veniva a creare e, in conseguenza, massimo il vantaggio criminale che ne poteva derivare. Proprio perché l'esempio di Falcone non è astratto, e non tutto il patrimonio di esperienze e di indicazioni operative ad esso collegato muore con lui, sono convinto che si possa continuare o, per altri versi, ricominciare da dove Falcone è stato costretto ad abbandonare il campo.

- I - .P.lL BIANCO l.XILROSSO Mii1Cilllt1 Iugoslavisaemprepeggio. LEuropdaevescottarslei dita di NereoLaroni n Istria quasi il 20% della popolazione ha toccato un livellodi povertà paragonabile a quello dei Paesi sottosviluppati. 40mila profughi sono alloggiati nelle strutture ricettive turistiche e dipendono, ormai quotidianamente, dall'arrivo di sussidi alimentari da parte italiana o europea. Il blocco delle attività economiche, in primis il turismo, ha inaridito le fonti principali di approvvigionamento di valuta e di sostegno ai già bassi livelli di occupazione. Nell'interno, se possibile, la situazione è anche peggiore. Si sono affievolite anche le rimesse degli emigrati che temono poco garantiti i loro risparmi dalla precaria situazione della Croazia. La recente immigrazione di decine di migliaia di profughi bosniaci, in buona parte di religione musulmana, sta scatenando una guerra tra poveri, che si colora di reazioni razzistiche, quasi non bastassero quelle che hanno portato alla frantumazione della vecchia Jugoslavia. Su ogni isola dalmata e in ogni realtà urbana sono nati comitati della Croce Rossa che, insieme, alla struttura della Caritas, cercano di regolare il debole flusso di aiuti che proviene dall'esterno. La chiusura delle frontiere da parte della Slovenia è certamente un atto di egoista autodifesa e tentativo di sottolineare con maggior forza l'estraneità di Lubiana rispetto alla questione balcanica. E tuttavia bisogna rendersi conto che questa giovane Repubblica non è assolutamente in condizione di sopportare altri pesi, oltre a quelli che le derivano dalla difficile riallocazione di quei 2/3 di esportazioni che precedentemente si indirizzavano verso le altre Repubbliche della Federazione. Dai profughi che lambiscono le nostre frontiere, da quelli accampati negli alberghi della riva adriatica, da quelli delle zone occupate della Croazia, da quelli in movimento dalla Bosnia, si snoda un filo del quale non si intravede il capo, forse il Kossovodomani o forse la Macedonia dopodoma10 ni. E che dire della Voivodina, o dell'oggi assopito e complice Montenegro? In fondo a questo tunnel non basta intravedere una dimensione autonoma o indipendente di questa o quella regione, non basta intravedere neppure la fine certamente auspicabile della guerra. L'esodo dell'Albania non fu determinato né dalla mancanza di indipendenza, né, solo, dalla mancanza di libertà. Il fenomeno dei profughi è un fenomeno certamente acuito dalle bombe dell'aggressione serba, ma è generato dal disastro di economie peraltro mai fiorenti, aggravato da una privatizzazione mai completata e, in talune aree, mai veramente desiderata. L'Italiacon la legge 212e con l'IniziativaCentroeuropea ha per prima intuito quanto sarebbe potuto accadere e ha cercato di adottare le opportune contromisure. Ma non bastano gli sforzi isolati del nostro Paese. Occorre un impengo più corale da parte dell'Europa. E francamente non pare possibile ipotizzarlo in termini credibili. La Germania della quale si paventava un ruolo egemonico, è alle prese con i suoi problemi, che non sono piccoli. Al dinamismo di alcuni suoi imprenditori non corrisponde ancora una politica di aiuti e cooperazione da parte del Governo. Francia ed Inghilterra si muovono incerte e spesso disinformate sulle implicazioni del focolaio balcanico. E la non ostilità verso il Governo di Belgrado appare non la conseguenza di un atteggiamento che vuole essere equilibrato, ma piuttosto uno stanco revival di politiche di inizio secolo. Altri interlocutori si affacciano nella caotica scena balcanica. La Turchia, inedita tutrice dei musulmani dell'Asia centrale come di quelli dell'Europa meridionale; o la Russia di Eltsin improbabile erede di un panslavismo di altri tempi.

.{)JLBIANCO lXILROSSO MiikCillll Da costoro forse c'è da aspettarsi protezione o al più qualche utile mediazione, ma nessuno dei due Paesi appare in grado di risolvere il nodo economico che accompagna quello politico. Loperazioneoggi necessaria ha una qualità diversa e deve rispondere ad una esigenza non solo più impegnativa, ma di più decisiva valenza politica. L'Europa deve risolvere il problema della propria dimensione. Deve definire l'ampiezza del suo spazio politico, economico e culturale. Deve cioè compiere atti conseguenti alla incontrovertibile realtà dei Balcani come regione d'Europa. Quando la Grecia divenne una delle 12 stelle ciò fu determinato senza dubbio dalla eccezionalità delle esigenze politiche e strategiche che caratterizzavano il confronto bipolare allora in atto, ma implicitamente si sancì l'avvio di un processo che oggi deve essere concluso. È certamente vero che decine di pregevoli città '-(/ .- ', Ì\ sono testimoni del clima mitteleuropeo che influenzò quell'area durante il periodo asburgico. Così come non possono essere ignorate le relazioni culturali che portarono i romeni o i serbi a mutuare per le loro capitali modelli parigini. Ma per il passato si è sempre trattato di pedine periferiche in uno scacchiere che aveva i propri centri nervosi più a nord e/o più a occidente. Se l'Europa vuole, come deve e dichiara, svolgere un'attività politica mediterranea e stabilire un rapporto con l'area musulmana finalizzato anche alla edificazione di un sistema di valori valido in un prossimo futuro anche per le società multietniche dell'occidente, acquisisca la consapevolezza che l'ordinata integrazione dei popoli balcanici è un suo problema, da affrontare e risolvere con urgenza. E non certo con la logica delle aree di influenza o peggio con quella di lasciare che si scotti chi più è vicino al fuoco. I ;.~ ., ''I ~}) \; . ':':., //\ ;· .. I \ t 1 1 ' 1' . .;, . I, I ., . I, J \' : . il .. ! ' · 11

-'.).IL BIANCO lXILROSSO Miikil1111W Controlapenadimorte, segnodi resae di anarchia di Mario Monge L a pena di morte in molti Stati del mondo è ancora sinonimo di giustizia. Assistiamo impotenti ad esecuzioni capitali che non risparmiano minorenni, malati di mente e in più di quaranta casi accertati soltanto negli Stati Uniti d'America anche persone innocenti. Nel mondo, durante il 1991, la pena di morte è stata comminata in 2703 casi in seguito a regolare processo, ma le esecuzioni conseguenti a procedimenti irregolari o segrete sono, secondo una stima attendibile proposta da Amnesty International, più del doppio. Nel 1990 in Cina sono state circa 1000 le persone giustiziate, centinaia in Iraq ed Iran, quattrocento nell'ex-Unione Sovietica, centoventi in Sud Africa, svariate decine negli Stati Uniti, tendenza in aumento dopo la reintroduzione della pena capitale avvenuta nel 1977. La tendenza abolizionista mondiale, accentuata soprattutto in Europa, sta quindi subendo preoccupanti battute d'arresto e se gli stati che mantengono la pena di morte sono scesi sotto ai cento (sui centosettanta stati membri dell'Onu) stanno rafforzandosi nell'opinione pubblica argomentazioni a favore della pena di morte spesso irrazionali e soprattutto non verificate nella realtà. I motivi che esplicitamente vengono addotti sono la giusta retribuzione per i delitti più gravi e il potere dissuasivo che eserciterebbe la paura della pena capitale. Per quanto riguarda la deterrenza, ci sono moltissimi studi che dimostrano che i delitti particolarmente efferati non solo non sono percentualmente inferiori negli Stati che mantengono la pena capitale ma anzi è vero spesso il contrario. Il diritto alla vita è un valore che deve essere insegnato e proposto come inalienabile. La pena di morte lo rende un diritto che può essere contrattato. La pena di morte è la rinuncia dello Stato a proporre modelli educativi percorribili, è la resa dì 12 chi non crede che una persona possa cambiare, possa correggere i propri errori. I condannati restano nel braccio della morte anche diversi anni. Robert Alton Harris, uno degli ultimi condannati giustiziati nella camera a gas di S. Quintino in California, ha atteso per quattordici lunghissimi anni l'esecuzione. Non si possono avere sogni in un braccio della morte, non si può immaginare il proprio futuro, si resta inutilmente in attesa che qualche bollo o qualche firma rendano eseguibile la sentenza. Il responso è perentorio: chi sbaglia deve pagare. Il mezzo è legittimo, garantisce la sicurezza del corpo sociale, è una dura ma impellente necessità, così come è dura ed impellente l'amputazione di un arto cancrenoso. «Amo la vita - disse Paula Cooper, in un'intervista rilasciata dal braccio della morte della prigione di Indianapolis, - l'avrei voluta più divertente, avrei preferito una famiglia più allegra e conoscere persone più disponibili ad ascoltarmi, ma l'amo perché mi è rimasta solo questa. Anche noi che siamo rinchiusi nel braccio della morte ... abbiamo soltanto una vita.» Paula Cooper ce l'ha fatta, anche grazie ad una grande mobilitazionepopolare, ha ottenuto la commutazione della pena capitale in sessanta anni di pena detentiva; sta studiando e dopo aver concluso in carcere le scuole superiori studia Psicologia all'Università. Molti però non avranno la stessa fortuna. La pena di morte è sempre una resa dello Stato. La sua irrevocabilità (che tra l'altro non consente la riparazione ai sempre possibili errori giudiziari), sancisce inequivocabilmente l'impotenza dell'uomo di fronte al male. Quella che alcuni chiamano la «negazione di una negazione indispensabile per riaffermare il diritto della vita e per tutelarlo», non è altro che il

~.tLBIANCO lXILROSSO Mi•iiililW frutto di una idea di giustizia falsato e parziale, l'oscuro e viscerale istinto dell'uomo che per brutale ritorsione rende il male per il male, la morte per la morte. Nel Contratto Sociale l'autorita pubblica assomma tutti i diritti ai quali i singoli hanno rinunciato ma fra tali diritti non vi può essere quello della vita, unica, irripetibile, ogni giorno nuova e diversa. Allo Stato però non piacciono le differenze. Esso ama l'unanimismo che fa risparmiare l'esame di una infinità di dettagli e l'uniformità che permette di rimediare ad una morte con un'altra morte. L'accettazione di questo principio sia pure perché considerato il male minore necessario per una convivenza pacifica, è il primo passo per la legittimazione di un «dispotismo di tutori più che di tiranni, un dispotismo più dolce e più estesto, capace di degradare gli uomini senza tormentarli». (Tocqueville). È l'accettare un'autorità assoluta, capillare, previdente e dolce, decisa a vegliare sulla sorte di individui il più possibile omogenei ... che vuole che i cittadini siano felici a patto che pensino soltanto a essere felici. (ibidem) Sarebbe come invocare il Leviatano, con il suo enorme corpo e la sua piccola, temibilissima testa della quale è necessario che gli uomini incomincino a dubitare. Sarebbe come invocare uno Stato dispotico a cui gli uomini trasferiscono ogni potere e ogni loro diritto in cambio di quella pace sociale per salvaguardare la quale diventa lecita (e comoda) la soppressione dei diversi. 13 Incamminandoci su questa strada, diventerebbe poi sempre più difficile distinguere la legalità dall'arbitrio. Il rischio esiste, il baratro che progressivamente allontana l'Individuo dalle Istituzioni ne è una delle prove più visibili. L'uomo continua ad essere considerato materia prima del potere, argilla e marmo che il Principe maneggia e modella, mezzo e non fine e unico scopo dello Stato. È una lotta impari dell'Uomo contro il Leviatano. «Ci si limita a dire che se questa lotta, un giorno non dovesse più ricominciare, sotto il peso delle propagande che instupidiscono, sotto la folgore dei terrori larvati o sanguinanti, se questo slancio spiriturale trasmesso di età in età dovesse un giorno esaurirsi, è solo allora che sarebbe permesso lasciarsi andare.» (Jean-Jacques Chevallier). I timori sono noti, le speranze sono le voci che sanno dire no e la libertà umana. L'uomo vuole, la sua volontà influisce sul ritmo del divenire storico, il suo volere trasforma, a piccoli passi la società. Uno di questi passi urge affinché sedie elettriche, camere a gas, iniezioni letali, impiccagioni, fucilazioni, diventino nel più breve tempo possibile strumenti inutilizzati e come gli antichi strumenti di tortura, monito per le generazioni future sul grado di aberrazione a cui l'uomo può arrivare. Roger K. Coleman ucciso qualche settimana fa, ha gridato fin sulla sedia elettrica la sua innocenza. Uno di questi passi urge affinchè le prossime morti annunciate non rimangano «vane parole, un grido taciuto, un silenzio.»

.P..t.L BIANCO l.XILROSSO iliiiii11111 Volontariaetnouova«leggequadro»: solouniniziom, ala strada è lunga di GiuseppeLumia embrerebbe questo un momento «felice» per il volontariato. Ne parlano tutti, si sprecano le S «congratulazioni» e le citazioni. Tutto ciò dovrebbe far piacere, soprattutto ai volontari, ma non è così. Molti gruppi e coordinamenti nazionali provano fastidio e rifiutano questo clima lusinghiero. Per falsa umiltà? Per spirito integrista? A ben riflettere non è così. Nel volontariato più maturo si avvertono i rischi di una tendenza più o meno esplicita a conferirgli troppe deleghe. Ad esempio molte famiglie, di fronte alle innegabili difficoltà derivanti dal vivere con figli, parenti, amici «disagiati» preferiscono scaricare sul volontariato i propri doveri di solidarietà. Così pure le istituzioni, piuttosto che programmare politiche sociali o innovarne contenuti e gestione e creare nuoyi percorsi che vadano alla radice del disagio, o avere un rapporto trasparente e progettuale con i vari soggetti del privato sociale (volontariato, associazionismo, cooperazione ...) hanno scoperto che è più conveniente, per risparmiare risorse e acquistare in immagine, affidarsi al volontariato. È quindi necessario non farsi «incantare» dalle strumentali attenzioni e avviare tra i numerosi gruppi e tra i collegamenti del volontariato una profonda riflessione critica per evitare sia il rischio dell'omologazione nei confronti di quando produce emarginazione sia lo svilimento di quei caratteri che fanno del volontariato un soggetto di mutamento esistenziale, culturale, sociale e politico. Un elemento di verifica sul futuro cammino del volontariato si sta già imponendo per la presenza di una legge-quadro che, approvata di recente quasi all'unanimità dal Parlamento, si sta sviluppando nella fase attuativa. La legge-quadro è sostanzialmente un buon testo che non è arrivato come un fulmine a ciel sereno sulla vita del volontariato. Quest'ultimo ha contribuito alla sua definizione e lo stesso iter par14 lamentare ha visto il concorso positivo e per niente consociativo del governo, soprattutto nella persona del Ministro Iervolino, delle varie realtà parlamentari di maggioranza e di opposizione e delle realtà organizzate del volontariato. Il valutare positivamente il testo approvato dal Parlamento non significa che non esistono dei limiti o che non si poteva fare di più, come abbiamo ritenuto noi del Movi (Movimento di volontariato italiano) insieme ad altri significativi Movimenti di volontariato. È bene non dimenticare che, nonostante l'unanimità di approvazione, sino alla fine si sono confrontate due diverse impostazioni: - la prima, nonostante esprimesse un apprezzamento sul ruolo del volontariato, lo concepiva come un mero erogatore di servizi da sottoporre ad una forte centralizzazione e al controllo dell'esecutivo attraverso un sistema di finanziamento approvato dai vari livelli di governo; - la seconda, condivisa dalla stragrande maggioranza del volontariato, esprimeva la volontà di lasciare il volontariato in uno spazio di libertà organizzato anche a livellonazionale, ma sempre con l'attenzione prioritaria al territorio e con la possibilità di articolarsi in soggettività autonome di mutamento socio-politico, anche per avere con lo Stato un rapporto di collaborazione e di integrazione adulto o non subalterno. Nella legge è possibile riscontrare quest'ultima positiva impostazione soprattutto per il carattere di fondo che essa ha assunto: non tanto una leggequadro che, secondo vecchi schemi, si limita ericonoscere il volontariato, ma una legge che disciplina il rapporto tra il volontariato e le istituzioni pubbliche. Per quanto dispone la legge quadro, quindi, si possono evitare i pericoli di burocratizzazione e narcotizzazione dei gruppi. Essi rimangono liberi, anche di non utilizzarla, e di strutturarsi come

i.).(L BIANCO lXILROSSO MiikiMIIII ritengono più opportuno tenendo presente solamente il rispetto dell'ordinamento giuridico. Questa legge si rivolge infatti fondamentalmente alle realtà di volontariato che vogliono avere un rapporto trasparente e progettuale con le istituzioni. Sono pertanto da evitare due atteggiamenti che ancora oggi si possono riscontrare nei confronti di essa: eccessivo entusiasmo o ipercriticismo. Si tratta di reazioni che probabilmente portano con sé un approccio sbagliato nei confronti della legge: si pensa, infatti, che la legittimazione all'azione del volontariato derivi non dalla sua radice sociale di impegno verso la promozione umana, la rimozione delle cause di ingiustizia e la gestione di servizi innovativi, ma dal riconoscimento attraverso l'atto legislativo. I problemi non finiscono però con la corretta interpretazione della legge. Il rischio è pure quello di considerarla un «evento»già compiuto. È un errore già commesso nel passato, nei confronti di tante leggi di riforma, soprattutto nel settore sociale, lasciate nel cassetto o utilizzate solo per riflessioni generale. Una legge invece «vive»e si realizza in modo significativo non tanto quando viene approvata ma dopo, nella sua gestione coerente o nella sua reale pubblicazione. Ciò si può evitare considerando tale legge un processo da valutare e verificare continuamente nel rapporto tra il volontariato organizzato e le istituzioni. Da qui i tanti problemi èhe stanno emergendo nella fase applicativa che sta suscitando tante preoccupazioni e tante critiche nei gruppi di volontariato. Si impongono pertanto due elementi di verifica: la valutazione dei decreti attuativi delle legge e il passaggio alle legislazioni regionali. I I t"l 15 I decreti attuativi non convincono il volontariato Dagli incontri con i gruppi di base del volontariato e dalle diverse valutazioni dei responsabili nazionali delle più importanti organizzazioni emerge una valutazione critica dei principali decreti attuativi sin qui emanati. Si denuncia il rischio di trascinare il volontariato in una strettoia burocratica e di controllo sociale che è in qualche modo scongiurato nella legge-quadro. Bastipensare al decreto del Ministero del Tesoro che regolamenta la costituzione dei centri-servizi da istituire a favore del volontariato e che la legge voleva da esso gestiti. Nel decreto al volontariato, sia nella gestione dei fondi che nella organizzazione dei centri-servizi, si dà invece un ruolo marginale rispetto alle banche che dovevano limitarsi a stanziare una parte di fondi storicamente destinati alla beneficienza. Così pure il decreto del Ministero dell'Industria, che ha regolamentato l'assicurazione da parte dei soci-volontari, costringe i gruppi a dotarsi di registri e carte tali da essere bloccati in pratiche burocratiche ed esposti rispetto alla forza del mondo delle assicurazioni. È necessario, pertanto, porre mano a delle modifiche dei due decreti coinvolgendo le organizzazioni del volontariato a differenza di quanto è stato fatto nella loro stesura. La legislazione regionale: un'occasione da non perdere La legge quadro sul volontariato prevede l'importante coinvolgimento delle Regioni con dei veri e propri atti legislativi. I tempi previsti dalla legge (i primi di settembre) rischiano di non essere rispettati. Ma soprattutto i gruppi di volontariato

,PJLBIANCO lXILROS.SO MiiRCilid hanno paura di non essere coinvolti e di subire scelte che hanno poca coerenza con i principi ispiratori dalla legge quadro e con la loro esperienza concreta. Forse è il caso magari di sforare un pochino sui tempi, ma di fare in modo che siano coinvolti, attraverso un metodo partecipativo e democratico, le realtà organizzate del volontariato. In molte regioni queste ultime si sono organizzate elaborando e proponendo dei veri e propri testi di legge, segno positivo di una cresciuta consapevolezza e progettualità del volontariato.Adesso spetta ai responsabili politici delle Regioni fare in modo che il livello istituzionale più decentrato si dimostri in grado di essere protagonista di un forte e rinnovato rapporto con i volontariato e quindi con la società civile. Il volontariato tra la logica dell'oasi e la sfida del mutamento Naturalmente, di fronte ai disegni di legge, in genere non bisogna assumere aspettative salvifiche. Il volontariato non ha di che compiacersi in modo corporativo sino a quando si avranno tante persone e cittadini in stato di disagio e di emarginazione, senza voce e rappresentanza. Si deve evitare che il volontariato venga riconosciuto come un'oasi felice e/o che si lavori per fare deserto nelle politiche sociali e nella realizzazio16 ne della solidarietà. In questi anni di lavoro quotidiano con il Movi abbiamo capito inoltre che anche altri atti legislativi sono fondamentali e che non si possono più rinviare per dare credibilità a questa legge quadro: - una legge finanziaria che non penalizzi i soggetti deboli e gli interventi sociali; - autonomia impositiva ai comuni per attivare politiche sociali, allo scopo, ad esempio, di eliminare gli Istituti in cui sono rinchiusi i minori e gli anziani; - una nuova legge di riordino dei servizi sociali, quella attuale è ancora oggi legata alla legge Crispi del 1890, in modo da rendere effettivi e veramente esigibili i diritti sociali e da attribuire un nuovo ruolo alle politiche sociali nella costruzione dell'Europa e nel rapporto con i paesi dell'Est e del Sud del mondo... - una nuova legge sull'obiezione di coscienza che sappia dare il giusto peso alle scelte nonviolente e di servizio civile alla patria; Per uscire fuori dalla logica dell'oasi si richiede, inoltre, in prospettiva un inedito lavoro di collegamento tra le varie realtà del volontariato per esprimere un comune impegno di tipo culturale e progettuale: legare le concrete esperienze di accoglienza e di condivisione alle sfide complessive della nostra umanità che sono soprattutto la pace, la giustizia e la salvaguardia dell'ambiente.

- I - ~lLBIANCO l.XILROSSO ilii•iiilliW Leggequadrosulvolontariato: i decretiattuativi di Nadia Sgaramella n ottemperanza agli impegni previsti dalla L.266/1991sono stati pubblicati alcuni decreti che danno attuazione alla normativa. In questa sede ci occuperemo di tre di tali decreti concernenti le modalità organizzative dei fondi speciali (decreto 21 novembre 1991, pubblicato sulla Gu del 13.12.1991),l'istituzione dell'Osservatoriotorio Nazionale (decreto 16.12.1991)ed il decreto del Ministero dell'Industria, commercio e artigianato (decreto 14 febbraio 1991, pubblicato sulla Gu del 22.2.1992) riguardante i meccanismi assicurativi semplificati per gli aderenti alle organizzazioni di volontariato. Dell'ultimo adempimento da parte del Governo, quello cioè riguardante l'emanazione da parte del Ministero delle Finanze di disposizioni fatte a favorire le erogazioni liberali, non potendo esso avere immediata applicabilità in quanto sarà necessaria l'iscrizione delle organizzazioni agli appositi registri regionali non ancora istituiti, daremo conto in un intervento successivo. Com'è noto, la legge quadro sul volontariato (n. 266 del 11.8.1991)prevede alcune iniziative volte a promuoverne lo sviluppo sia a livello nazionale sia a livello locale. La presenza capillare del volontariato nel territorio, che costituisce una delle caratteristiche peculiari di questo fenomeno il cui principale obiettivo consiste nel fornire risposte a bisogni della collettività non appena essi si manifestano, richiede un impegno specifico proprio a questo livello di governo. A tal fine, la legge prevede la istituzione, per il tramite degli enti locali, di centri di servizio a disposizione delle organizzazioni di volontariato con la funzione di sostenerne e qualificare l'attività. Le modalità operative di tale intervento sono state emanate con decreto del Ministro del Tesoropubblicato sulla Gu n. 29 del 13.1.1991.Il decreto prospetta nella premessa due principi generali: l'esigenza che venga costituito un unico «fondospeciale» presso ogni regione così 17 da assicurare una gestione unitaria delle somme disponibili e l'opportunità che in ogni regione gli istituendi «centri di servizio» possano essere più d'uno, in relazione alle diversificate esigenze da soddisfare ma che, allo stesso tempo, il loro numero non sia superiore a tre per accrescere l'efficacia dei relativi interventi. Le norme volte a dare concreta realizzazione agli interventi sono contenute in sette articoli. In estrema sintesi, esse prevedono che: - presso ogni regione venga istituito un fondo speciale denominato «fondodi cui alla legge n. 266 del 1991».A tal fine, gli enti creditizi pubblici (di cui all'art. 1del decreto legislativo n. 356 del 1990, che detta norme per la ristrutturazione e per la disciplina del gruppo creditizio) dovranno prevedere nei propri statuti che una quota non inferiore ad un quindicesimo dei propri proventi, al netto delle spese di funzionamento e di accantonamento, venga destinata alla costituzione di tali fondi speciali. Alle medesime finalità sarà destinata una quota pari ad un decimo delle somme che le casse di risparmio destinano ad opere di beneficienza e di pubblica utilità. Nella ripartizione annuale di tali somme i predetti enti dovranno rispettare il seguente criterio di destinazione: il 50% al fondo speciale costituito presso la regione ove gli enti e casse hanno sede legale ed il restante 50% ad uno o più altri fondi speciali, scelti liberamente dai suddetti enti e casse; - ogni fondo speciale verrà amministrato da un Comitato di gestione. Il Comitato di gestione riceverà le istanze per la costituzione dei centri di servizio e, d'intesa con l'ente locale interessato, istituirà i centri stessi; - la costituzione di un centro di servizio possa essere richiesta dagli enti locali, da almeno cinque organizzazioni di volontariato nonché dagli enti e casse di cui sopra. L'istanza dovrà essere avanzata al Comitato di gestione per il tramite del-

i:>.tl BIANCO l.XILROSSO Mi1Ril1111W l'ente locale ove il centro di servizio dovrà essere istituito; - il Comitato di gestione inscriva il centro di servizio nell'apposito elenco, previo accertamento che il centro stesso sia un'organizzazione divolontariato iscritta nell'apposito registro oppure sia una fondazione riconosciuta o altro soggetto autonomo di imputazione di rapporti giuridici il cui statuto preveda lo svolgimento di attività a favore delle organizzazioni di volontariato. - I centri di servizio hanno lo scopo di sostenere e qualificare l'attività di volontariato. A tal fine erogano le proprie prestazioni sotto forma di servizi a favore delle organizzazioni di volontariato. In particolare, fra l'altro, approntano strumenti ed iniziative per la crescita della cultura della solidarietà, la promozione di nuove iniziative di volontariato ed il rafforzamento di quelli esistenti; offrono consulenza e assistenza qualificata nonché strumenti per la progettazione, l'avvio e la realizzazione di specifiche attività; assumono iniziative di formazione e qualificazione nei confronti degli aderenti ad organizzazioni di volontariato; offrono informazioni, notizie, documentazioni e dati sulle attività di volontariato locale e nazionale. Il secondo decreto,concernente l'istituzione dell'Osservatorio Nazionale per il volontariato a norma dall'art. 12della Legge 266, prescrive la composizione dell'Osservatorio stesso e le sue modalità organizzative. Presieduto dal Ministro degli Affari Sociali, sen. Rosa Russo Jervolino prevede, in qualità di componenti, oltre ai rappresentanti delle maggiori aggregazioni.di volontariato quali il Centro Nazionale del Volontariato, l'Associazione Nazionale per la P.A., la Federaz. Naz.le delle Misericordie, il Movi, la Caritas, l'Acap, l'Avo, la Conferenza permanente dei presidenti delle associazioni e federazioni nazionali del volontariato, i gruppi di volontariato Vincenziano della regione Calabria, le organizzazioni di volontariato per i beni culturali, artistici ed ambientali, il Prof. Achille Ardigò in qualità di esperto ed un rappresentante per ciascuna delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. Prevede altresì, in qualità di invitati permanenti rappresentanti delle Regioni e dei Comuni, il Presidente della Federazione nazionale delle cooperative sociali ed un rappresentante della Lega delle cooperative italiane. Per lo svolgimento della propria attività istituzionale l'Osservatorio potrà avvalersi di appositi 18 gruppi di lavoro, per l'espletamento dei suoi compiti si avvarrà dei mezzi e dei servizi messi a disposizione dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri - dipartimento per gli Affari Sociali. Per quanto riguarda infine il decreto concernente l'obbligo per le organizzazioni di volontariato ad assicurare i propri aderenti, che prestano attività di volontariato, contro gli infortuni e le malattie connessi allo svolgimento dell'attività stessa, nonché per la responsabilità civile per i danni cagionati a terzi dall'esercizio dell'attività medesima, viene prevista la possibilità che le assicurazioni vengano stipulate in forma collettiva o in forma numerica. Tali assicurazioni, in forza di un unico vincolo contrattuale, determinano una molteplicità di soggetti assicurati garantendo così tutti coloro che prestano attività di volontariato, sulla base delle risultanze del registro degli aderenti alla data di stipulazione delle polizze nonché coloro che aderiscono all'organizzazione in data successiva. Le organizzazioni di volontariato dovranno a tal fine comunicare all'ente assicuratore i nominativi degli aderenti e le variazioni contestualmente alla iscrizione al registro degli aderenti. Nel registro, numerato e bollato da un notaio, dovranno essere indicate per ciascun aderente le generalità complete, il luogo e la data di nascita e la residenza. Il registro dovrà essere barrato al termine di ogni giorno ed il soggetto preposto alla tenuta dello stesso deve apporre giornalmente la data e la propria firma. Le organizzazioni di volontariato dovranno comunicare a ciascuna Regione o Provincia autonoma nel cui territorio esercitano la propria attività ed all'Osservatorio Nazionale per il volontariato l'avvenuta stipulazione delle polizze entro i 30 giorni successivi alla data delle stesse. Il controllo verrà esercitato dall'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo (Isvap).

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